ORGANIZZAZIONE E PROCESSO LO STATO DELLA GIUSTIZIA CIVILE
Pescara 21 gennaio 2006 – Aula Magna Emilio Alessandrini
Intervento di Presentazione di Mario Fresa coordinatore del gruppo civile dell’ANM
Formulo anzitutto un sentito ringraziamento alle Autorità che, con la loro
presenza, nobilitano questa giornata nazionale di riflessione sullo stato della
Giustizia Civile nel nostro Paese.
E ringrazio il presidente dell’ANM distrettuale e gli organizzatori tutti, che
hanno reso possibile la realizzazione di questo Convegno in tempi brevi e in un
periodo non facile, successivo alle festività natalizie e antecedente alle
giornate di inaugurazione dell’anno giudiziario.
Non è un caso che l’ANM, nella prospettiva di formulare nuove proposte concrete
sulla Giustizia, abbia inteso iniziare tale attività propositiva con un
dibattito sui temi della Giustizia civile, che riguarda oggi almeno 12 milioni
di cittadini.
Non è un caso perché da tempo l’ANM è fortemente impegnata a dare nuova linfa
nei dibattiti politici, associativi, culturali, ad un settore della Giustizia
nel passato più volte dimenticato o segregato ai margini dei Congressi
nazionali. Settore che è invece il perno centrale della democrazia di ogni
popolo, perno intorno al quale devono trovare i propri equilibri le diverse
istanze sociali, le tensioni culturali, i conflitti potenziali o effettivi, le
pulsioni economiche e la tutela dei singoli consumatori, il progresso del
mercato del lavoro e le garanzie di occupazione, che sono tutti aspetti della
primaria esigenza, secondo cui i diritti trovino una pronta e adeguata tutela
giurisdizionale, dinanzi ad un giudice imparziale, soggetto soltanto alla legge
e, in primo luogo, alla Costituzione.
Dicevano gli antichi romani che il diritto trovava la sua ragion d’essere “ne
cives ad arma ruant”, affinché i cittadini non corrano alle armi e,
nell’affermare questo concetto, i nostri precursori facevano, anzitutto,
riferimento, alla tutela civile dei diritti. E’ un fatto storico che, in epoca
romana, la responsabilità civile per fatto illecito (la lex Aquilia de damno)
sia sorta prima del c.d. ius criminale.
Correndo ai giorni nostri, un processo civile rapido e giusto, conforme al
dettato costituzionale, sarebbe in grado di limitare quanto più possibile i
crimini e far progredire la nostra civiltà verso la agognata “Pax sociale”,
evitando il ricorso all’autotutela dei diritti e ad altre forme di
organizzazione che operano nello Stato, parallelamente allo Stato o contro lo
Stato.
La tutela civile dei diritti così intesa ha invero il fine di prevenire il
fenomeno della moltiplicazione del contenzioso, di prevenire la consumazione di
alcuni tipi di reati e di riportare nei giusti termini l’ancestrale rapporto tra
la Forza e il Diritto, ove la Forza non può essere utilizzata senza il Diritto e
il Diritto non è efficace (e non ha ragione di essere) se non è forte. Un
processo civile che invece - come oggi avviene - sia lento e inadeguato a
tutelare i diritti soggettivi produce sfiducia nelle Istituzioni ed avvalora sia
le tendenze, sempre risorgenti, alla limitazione dell’autonomia della funzione
giudiziaria, sia il progetto che prefigura la magistratura ordinaria con compiti
residuali rispetto ad altre “stanze di compensazione”, che non sono solo
arbitrati o magistrature “atipiche”, magistrature “politiche” o “Authority”, ma
anche altri, più oscuri metodi di regolazione dei conflitti, che costituiscono
il “diritto negativo” vigente in determinate aree del Paese. In altre parole, un
processo civile che non funziona spinge il cittadino “a farsi ragione da sé” o a
trovare altri più rapidi mezzi di “regolamento dei conti”, rispetto ai quali non
debba più intromettersi quel terzo incomodo che è il giudice.
Se così è, rafforzare il Diritto non è questione solo dei magistrati, ma è
questione di tutti.
Tutti gli operatori del diritto hanno oggi la forte responsabilità di dare un
messaggio nuovo ai cittadini col comune obiettivo di assicurare una Giustizia
migliore, che impegni a dare pronte e decise risposte alle tre fondamentali
domande dei cittadini, che chiedono:
1) Maggiore efficienza della giustizia.
2) Più certezza del diritto.
3) Migliore professionalità dei magistrati, degli avvocati e degli altri
operatori del diritto.
L’idea di fondo, emersa nell’iniziale convegno su “Processo e organizzazione”,
tenutosi a Roma del dicembre 2003, che rappresenta una rivoluzione “copernicana”
nell’approccio alle tematiche della Giustizia, è appunto quella di una
inversione nella individuazione delle priorità da perseguire per il
miglioramento della giurisdizione.
Se è vero che il processo civile ha bisogno di riforme e di interventi idonei ad
apportare alla disciplina processuale i miglioramenti suggeriti da un lungo
periodo di sperimentazione delle riforme del ‘90, è anzitutto vero che queste
riforme processuali vanno precedute, e non inseguite, attraverso una più
generale riforma della cultura e del modo di approccio alla giurisdizione da
parte di tutti i soggetti protagonisti.
Riforma culturale che passa attraverso la consapevolezza che nessuna riforma
processuale, pur pregevole che sia, potrà restituire ai cittadini la fiducia
nello Stato e la garanzia di essere trattati in condizione di sostanziale ed
effettiva uguaglianza.
Il recupero di efficienza della giurisdizione civile deve allora essere
perseguito, in primo luogo, sul terreno delle risorse e dell’organizzazione, sia
assicurando strumenti e mezzi indispensabili al buon funzionamento della
giustizia, sia con l’impiego efficace e razionale degli strumenti esistenti. In
altre parole, distinguendo gli aspetti della amministrazione per la
giurisdizione, da quelli della amministrazione della giurisdizione.
Bisogna essere coscienti che il buon funzionamento del singolo processo non
basta se lo studio delle cause non viene abbinato con lo studio dei problemi
organizzativi più generali, relativi ai rapporti con l’utenza, i difensori e
l’intero ufficio nelle sue articolazioni amministrative. Così, la prospettiva
deve passare dalla professionalità del singolo giudice all’efficienza
dell’intero ufficio giudiziario, ove è decisiva la funzione del magistrato
dirigente, garante del processo produttivo dell’intera “macchina giudiziaria” di
cui è a capo, ma è parimenti decisiva l’opera dei dirigenti amministrativi e
degli avvocati.
Per questo il gruppo civile dell’ANM - “allargato” al decisivo apporto di molti
avvocati, dirigenti amministrativi, professori universitari, scienziati
dell’organizzazione - ha organizzato una serie di incontri nelle varie sedi
distrettuali, volto, da una parte, a comprendere la natura e l’entità degli
strumenti e dei mezzi indispensabili a garantire il buon funzionamento della
giustizia nelle sedi stesse; dall’altra parte, a cercare di individuare proposte
utili ad una migliore organizzazione degli uffici e ad una migliore gestione e
utilizzazione delle risorse e degli strumenti esistenti.
Con l’idea quindi di poter migliorare l’organizzazione giudiziaria anche a
legislazione invariata e fare fronte in qualche modo allo “tsunami” dei
procedimenti che ogni anno vengono iscritti e che, nell’ultimo anno, hanno
raggiunto punte di circa 4.200.000 iscrizioni.
Dunque, preso atto delle situazioni esistenti sul territorio, l’ANM - onde
migliorare l’amministrazione per la giurisdizione - ha più volte richiesto al
Ministro della Giustizia dotazioni per gli uffici giudiziari di organici
sufficienti, in relazione a magistrati e personale amministrativo, di mezzi e
strumenti adeguati sul piano delle strutture edilizie, di locali disponibili, di
mobili e arredi dignitosi, di strumenti di cancelleria, di quelli informatici,
ecc.. Lo stesso Ministro è rimasto inerte dinanzi a tali richieste e la sua
scarsa considerazione per questi aspetti si è evidenziata anche nella recente
relazione al Parlamento, ove ha dedicato alla Giustizia civile solo mezza delle
venticinque cartelle scritte.
L’ANM poi - per migliorare l’amministrazione della giurisdizione - ha rilanciato
un dialogo ed una collaborazione con il Consiglio superiore della magistratura
per migliorare il circuito del governo autonomo, velocizzando le procedure di
copertura dei posti banditi a concorso e, anzitutto, degli uffici direttivi e
semidirettivi vacanti, con nomina di aspiranti in possesso delle necessarie
attitudini organizzative e gestionali; individuando strumenti tabellari duttili
ed efficaci; facendo buon uso di applicazioni e supplenze; organizzando incontri
di studio e formazione su tematiche diverse da quelle tradizionali, improntate
ad approfondire gli aspetti concreti del funzionamento della macchina-giustizia.
D’altra parte, tenendo presente che il sistema del governo autonomo non è
costituito soltanto dal CSM (che pure ne è l’organo centrale), ma dagli organi
dell’autogoverno locale e, in ultima analisi, dall’intero corpus dei magistrati,
a cominciare dai dirigenti degli uffici e delle sezioni, per finire al meno
anziano degli uditori, l’ANM ha poi stimolato, nelle diverse sedi, lo studio e
l’attuazione di soluzioni interpretative di norme processuali e ordinamentali,
di circolari consiliari e ministeriali; interpretazioni capaci di dare nuova
linfa alla gestione dei processi civili.
Con questo fine si sono diffuse le prassi virtuose che l’ANM aveva contribuito a
individuare tempo fa in un “libro bianco” e che, emerse e precisate nei singoli
distretti grazie anzitutto all’opera degli “Osservatori sulla giustizia civile”,
si sono tradotte anche in specifici “protocolli” di intesa per la gestione delle
udienze civili. Di fronte a gravi problemi di funzionamento della giustizia in
sedi come Salerno, Reggio Calabria, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo,
Verona, Bologna gli operatori del diritto si sono dotati di strumenti semplici
ma efficaci, onde rendere le udienze civili più dignitose, celeri, proficue, in
sintesi più utili all’accertamento della verità ed alla effettiva tutela dei
diritti. Strumenti che, ora, alla luce delle recenti modifiche legislative
intervenute, dovranno essere adeguati, rafforzati e non certo abbandonati. In
vista della realizzazione di un vero e proprio “ufficio per il processo”, quale
strumento organizzativo finalizzato all’aumento di efficienza e produttività,
con affidamento di specifiche funzioni e definizione di correlative
responsabilità a tutti gli operatori che concorrono all’erogazione del
servizio-giustizia.
Particolare attenzione è stata dedicata allo studio di nuovi metodi di
rilevazione statistica, all’esame dei flussi di lavoro, all’approfondimento
delle nuove tecnologie informatiche in vista dell’avvento del processo
telematico civile, passaggi tutti attraverso i quali si sta realizzando la
rivoluzione culturale ed operativa.
Il problema della “misurazione” della giustizia in termini nuovi ed efficaci è
oggi oggetto di attenzione istituzionale e viene affrontato da una Commissione
mista CSM-Ministero nel tentativo di giungere ad una corretta conoscenza dei
dati di flusso degli uffici giudiziari e di rilevare in maniera obiettiva i dati
stessi attraverso una serie di c.d. indicatori relazionali.
Il CSM ha infatti bisogno di dati affidabili, non solo per valutare i singoli
magistrati, ma anche per valutare le necessità organizzative degli uffici e per
rendere questi, per quanto possibile, efficienti. Ugualmente, il Ministero deve
conoscere le esigenze reali degli uffici dopo averle adeguatamente comparate,
onde soccorrere meglio di quanto abbia sinora fatto con un adeguato
approvvigionamento di mezzi e risorse.
E’ stato detto che, come dal “cruscotto” di un’automobile dipende la capacità di
rilevarne il buon funzionamento, così dalla rilevazione statistica derivante
dall’incrocio dei dati di flusso (relativi al processo ed ai sui singoli momenti
procedurali) e dei dati strutturali (gli organici) dipende il buon funzionamento
della macchina giudiziaria.
Per questo il futuristico strumento di rilevazione-dati che la Commissione mista
sta cercando di realizzare è stato definito, dall’impresa che vi collabora, “il
cruscotto”.
E’ evidente che “il cruscotto” sarà il frutto della moderna tecnologia
informatica, ma è anche evidente che questa sofisticata tecnologia potrà dare
risultati apprezzabili solo se sarà preceduta da una accorta e precisa
immissione dei dati rilevanti e da una giusta scelta e combinazione dei dati
stessi.
Di qui l’estrema importanza di adeguate sinergie tra aspetti
tecnologici-informatici ed aspetti gestionali-organizzativi.
Di qui la necessità della diffusione della cultura informatica all’interno degli
uffici giudiziari, tra gli operatori amministrativi ma anche fra gli stessi
giudici, che devono essere capaci di gestire le incredibili utilità che possono
derivare dall’uso di questi strumenti per attività di ricerca e di diffusione
dei dati, tenuto conto che lo scopo del processo telematico civile é quello di
allontanare da giudici e cancellerie adempimenti di routine, recuperando tempi
per studio, preparazione, decisione dei casi.
Il processo telematico non può essere solo la tecnica per semplificare le
comunicazioni tra i soggetti del processo, ma deve rappresentare un sistema
sinergico cancellerie-magistrato, che consenta di realizzare in unico contesto
obiettivi diversi.
Lo sviluppo e l’attuazione del processo telematico diventano centrali nel
sistema della giustizia civile e lascia sgomenti il taglio drastico dei fondi
(60%/70%) destinati alle spese di manutenzione, disposto ieri dal governo.
Degli aspetti relativi ai “flussi” dei processi, si è occupata la recente
circolare del CSM per la formazione delle tabelle relative al biennio 2006-2007,
alla quale sono stati allegati appositi schemi di rilevazione dei dati
statistici, differenziati per tipologia di ufficio, atti a garantire uniformità
di monitoraggio.
Nella circolare consiliare è prevista una maggiore partecipazione di tutte le
componenti alla predisposizione del programma tabellare: al fine di meglio
utilizzare i dati sui flussi dei procedimenti ed in merito alle richieste di
utilizzazione di v.p.o. e g.o.t. sono previsti apporti del dirigente
amministrativo e del presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati.
Interessante è poi la specifica previsione per cui il dirigente dell’ufficio, a
fronte di evidente riduzione del numero e delle pendenze complessive di una
sezione o di un settore, può disporre la sospensione dell’attività di una o più
sezioni o di uno o più collegi.
Il dibattito odierno approfondirà questi aspetti per individuare le linee di un
percorso che dovrebbe assicurare - come detto - risposte più adeguate alle
istanze di tutela ed a rendere effettive le garanzie dei diritti.
Il nostro dibattito non ignorerà, tuttavia, che questo percorso è posto in
pericolo non solo dal tentativo di torsione dell’assetto costituzionale della
magistratura, ma anche da una congerie di riforme e di riti che hanno perso
ormai ogni contatto con la realtà e con i bisogni di giustizia.
Come sapete, in forza degli artt. 1 e 2 del decreto legge n. 271 del 2005,
l'entrata in vigore delle novità relative al processo civile, di cui alle leggi
nn. 80 e 263 del 2005, è stata differita al 1° marzo 2006.
Lo slittamento dell’entrata in vigore delle norme di modifica del processo è
quanto mai opportuno e rende possibili oggi alcune considerazioni.
L’ANM ha già più volte espresso perplessità in ordine alla tecnica legislativa
adottata che si è tradotta nell’ennesimo intervento parziale sul codice di
procedura civile e sulla legge fallimentare, al di fuori di una visione organica
e coerente cui dovrebbe essere ricondotto ogni intervento riformatore. Ciò è
stato fatto con le solite, deprecabili tecniche dei maxi emendamenti e della
questione di fiducia, che hanno impedito la effettiva discussione parlamentare
dei testi legislativi, che si sono sovrapposti tra loro, con pluralità di
modifiche contraddittorie anche delle stesse norme in pochi mesi.
Il risultato di questo caotico modo di legiferare è, dunque, quello di leggi
parziali ed incomplete, che recheranno non pochi problemi di interpretazione e
coordinamento a giudici ed avvocati ed alimenteranno quella incertezza del
diritto di cui il Paese non ha certo bisogno e che i cittadini non vogliono.
E non pare finita qui, perché pende in Commissione giustizia alla Camera l’esame
di altro disegno di legge (n. 6232) in tema di riforma delle esecuzioni
mobiliari, presentato il 15 dicembre 2005, e che è teso a modificare numerose
norme dell’esecuzione, tra cui, per l’ennesima volta in poco tempo, l’art. 492
c.p.c. e le norme relative, soprattutto, alla forma ed alle modalità del
pignoramento.
Anche a seguito delle modifiche da ultimo adottate con le leggi nn. 80 e 263 del
2005 - parte delle quali, riguardanti il processo di cognizione ordinario ed il
processo esecutivo, peraltro opportune e richieste dalla stessa ANM - continua a
mancare ogni sostegno sul piano delle strutture, dei mezzi, delle risorse
necessarie per il funzionamento della giustizia e si continua ad accantonare
ogni intervento diretto a contrastare le dilazioni ingiustificate e l’abuso del
processo. Le modifiche alla disciplina del processo non si fanno carico delle
ripercussioni che potranno determinare sulla funzionalità degli uffici e sugli
adempimenti delle cancellerie, con il rischio di parziale inutilizzabilità degli
attuali sistemi di informatizzazione che dovrebbero essere radicalmente
modificati, con costi altissimi, pena ancor più gravi disfunzioni.
E mentre per via di decreto legge vengono introdotte proroghe alla durata degli
incarichi dei got e giudici di pace, nulla si fa per appagare l’indifferibile
esigenza di una revisione organica della magistratura onoraria nella logica
complessiva del buon funzionamento della Giustizia e nella cornice dei principi
costituzionali di riferimento. E’ opportuno ricordare, tra l’altro, che -
secondo le ultime tabelle del Consiglio superiore della magistratura - i
magistrati onorari sono in organico complessivamente 11772 (a fronte dei 9660
posti coperti), mentre i magistrati ordinari sono attualmente in organico 10109
(di cui in servizio presso gli uffici giudiziari solo 8553).
Quanto alle innovazioni prospettate per il giudizio di cassazione, che devono
essere oggetto di approvazione di apposito decreto legislativo, esse sono avulse
dal contesto di una revisione organica del sistema delle impugnazioni e dallo
stesso contesto originario in cui erano state concepite e comporteranno gravi
effetti sulla possibilità di funzionamento della Corte, già oggi compromessa
dalla enorme mole dei ricorsi.
Certo, vi sono modifiche opportune: la nuova disciplina dell’impugnazione delle
sentenze del giudice di pace, la individuazione del “fatto controverso” quale
oggetto della critica alla motivazione della sentenza, la codificazione dei
principi in tema di autosufficienza del ricorso e la tecnica di formulazione del
ricorso stesso, la nuova disciplina del meccanismo di selezione ed esame dei
ricorsi suscettibili di rapido scrutinio, con relativa modifica del procedimento
in camera di consiglio.
Ma, accanto ad esse, ve ne sono altre che si pongono in chiara controtendenza
con l’impianto complessivo della riforma, che appare avere di mira la
riaffermazione della funzione nomofilattica. Destano in effetti preoccupazione,
per la inevitabile moltiplicazione dei ricorsi che ne seguirà, la tendenziale
equiparazione fra motivi di ricorso ordinario e straordinario ex art. 111 Cost.
e la deducibilità del vizio di violazione di norme di diritto anche con
riferimento ai contratti e accordi collettivi.
Preoccupante, altresì, è la modifica che afferma la forza vincolante,
all’interno della Corte, del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite,
che incide sul principio della dipendenza del giudice solo dalla legge e delinea
una valenza di vertice alle sezioni unite, sminuendo la portata della
nomofilachia della cassazione nel suo complesso.
Siamo in attesa poi dell’entrata in vigore delle norme riguardanti la riforma
fallimentare di cui al d.lgs. del 22 dicembre 2005, attuativo della legge n. 80.
Le norme entreranno in vigore fra alcuni mesi, ma il decreto restituisce subito
ai falliti la possibilità di partecipare alle prossime elezioni. Vengono
aggredite nel frattempo la giurisdizione e la terzietà dei soggetti che con la
magistratura collaborano nella gestione dei beni altrui e nella risoluzione dei
conflitti: il curatore è sfiduciabile dalla maggioranza di capitale dei
creditori, con pericolo di caduta della sua autonomia di giudizio, il giudice
viene confinato ad un compito di controllo, senza reali poteri di informazione
costante sull’andamento della procedura, il comitato dei creditori, portatore di
interessi in conflitto, guida la procedura.
Nell’ambito di una privatizzazione delle procedure concorsuali si assegna alla
magistratura il compito riduttivo di ratificare i rapporti di forza che sulle
scelte di merito gli interessi privati decidono di conformare. Nasce un metodo
di valutazione degli atti d’impresa che neutralizza e svilisce l’interesse
pubblico, preso a mero pretesto per garantire efficacia verso i dissenzienti
delle scelte della maggioranza dei creditori.
In sintesi, bisogna ancora una volta prendere atto che, sul tema dei riti
civili, il legislatore naviga a vista.
Le linee di riforma sembrano sfuggire ad una impostazione coerente sul piano
sistematico, oltre che ad una visione generale dei problemi della giustizia. La
recente produzione legislativa suscita complessi problemi di coordinamento, con
una tutela a cognizione piena che può essere perseguita con diversi riti per
scelta concordata dalle parti (quello ordinario e quello societario previsto dal
d.lgs. n. 30 del 2005, poi esteso alla materia dei brevetti industriali). Per
effetto dell’art. 70-ter disp. att. c.p.c., infatti, può venirsi a creare una
situazione di coesistenza - per la tutela di un medesimo diritto - di due riti a
cognizione piena, caratterizzati da diversità di poteri processuali del giudice
e delle parti, da diversa scansione delle preclusioni, da diverso rapporto tra
fase di trattazione e fase istruttoria, l’uno dei quali tendente ad attuare la
concentrazione del processo e l’altro, antagonistico al primo, caratterizzato
dal ritorno al processo scritto.
L’ANM ritiene che proprio l'irrazionalità di questa caotica produzione
legislativa, della pioggia scoordinata di interventi caratterizzati dalla
mancanza di qualsiasi misura capace di incidere sulle condizioni organizzative,
debba costituire il punto di partenza di una riflessione volta a formulare
proposte capaci di aggregare il consenso di magistrati, avvocati, dirigenza e
personale amministrativo, di almeno una parte dell’accademia, dei sindacati,
degli imprenditori, delle associazioni dei cittadini e dei movimenti dei
consumatori, insomma dell’intero mondo che ruota intorno al “pianeta giustizia”.
Lo scopo di questo convegno è dunque quello di passare dal piano della critica a
quello dell’individuazione di proposte concrete, sul piano organizzativo e
processuale. Proposte da presentare poi, offrendole alla discussione, al
prossimo Congresso Nazionale dell’ANM, insieme a quelle che l’ANM avrà elaborato
anche nei settori della giustizia penale e dell’ordinamento giudiziario.