Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto. Questioni, risolte o ancora aperte, relative all’istituto di cui all’art. 625 bis c.p.p.
di Silvia Marin
(luglio 2015)
pubblichiamo il lavoro della dottoressa Silvia Marin, specializzata nella Scuola delle Professioni legali con sede amministrativa presso l’Università di Padova, su un istituto processuale penale di sempre maggiore rilevanza nella vita quotidiana della giurisdizione di legittimità, lavoro che si segnala per l’approfondimento della riflessione su alcuni aspetti della disciplina che attestano la sommarietà dell’originario approccio del Legislatore, in parte significativa non ancora colmato da consapevole giurisprudenza e dalla stessa prassi della medesima Corte di cassazione
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI
Università di Ferrara, Padova, Trieste e Venezia - Ca’ Foscari
a.a. 2014/2015
Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto.
Questioni, risolte o ancora aperte, relative all’istituto di cui all’art. 625 bis c.p.p.
Relatore: dott. Carlo Citterio
Specializzando: Silvia Marin
Indice
Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto.
Questioni, risolte o ancora aperte, relative all’istituto di cui all’art. 625 bis c.p.p.
Introduzione…………………………………………………………………pag. 5
Capitolo 1: L’introduzione dell’art. 625 bis c.p.p. ad opera
della legge n. 128/2001. Inquadramento generale
del nuovo rimedio..……………………………………………...pag. 7
1.1. La posizione della giurisprudenza prima del 2001 e la
sentenza n. 395/2000 della Corte Costituzionale..………..……………pag. 7
1.2. Il superamento dell’inoppugnabilità dei provvedimenti
della Corte di Cassazione, a tutela di esigenze di giustizia
sostanziale..…………………………………………………………...pag. 17
1.3. Le due anime dell’art. 625 bis c.p.p……………………………………pag. 20
1.3.1. Differenze tra errore materiale ed errore di fatto………………...pag. 23
1.4. Profili procedimentali…………………………………………………..pag. 25
1.4.1. Diversa natura e portata del ricorso in relazione al tipo
di errore rilevabile..……………………………………………..pag. 26
1.4.2. La verifica preliminare di ammissibilità del ricorso……………..pag. 28
1.4.2.1. Il concetto di manifesta infondatezza…………………….pag. 30
1.4.3. La fase rescindente e rescissoria, e la decisione resa a
seguito dell’udienza camerale..…………………………………pag. 32
Capitolo 2: La rettificazione dell’errore materiale…………………………pag. 34
2.1. Natura e caratteristiche dell’errore materiale, alla luce
anche del criterio definitorio di cui all’art. 130 c.p.p……………........pag. 34
2.2. La rilevabilità d’ufficio e legittimazione al ricorso…………………….pag. 38
2.3. Interferenza tra ricorso straordinario per errore di fatto e
rimedio correttivo di cui all’art. 130 c.p.p……………………………pag. 41
Capitolo 3: Il ricorso straordinario per errore di fatto……………………...pag. 44
3.1. Natura ibrida del ricorso………………………………………………..pag. 44
3.2. Ricostruzione dell’errore di fatto alla luce dell’art. 395 n. 4
c.p.c., come falsa percezione decisiva per la decisione
della Corte…………………………………………………………….pag. 47
3.2.1. Questione dell’omesso esame di un motivo di ricorso…………...pag. 49
3.2.2. Omesso esame di questioni rilevabili d’ufficio…………………..pag. 51
3.2.2.1. La prescrizione intervenuta prima della sentenza
della Cassazione sul ricorso ordinario..………………....pag. 52
3.2.2.2. Rilevabilità durante la fase rescissoria della
prescrizione sopravvenuta dopo la pronuncia
della Cassazione………………………………………...pag. 54
3.3. Legittimazione ad agire e favore del condannato come
presupposto dell’azione stessa………………………………………..pag. 57
3.3.1. In ordine alla necessità della procura speciale per il
difensore del condannato…………………………………...…...pag. 59
3.3.2. Il ricorso del condannato anche per le sole statuizioni
civili risarcitorie in favore della parte civile……………….…...pag. 61
3.4. L’ambito di applicazione del rimedio de quo. L’impugnabilità
oggettiva................................................................................................pag. 63
3.4.1. Sul ricorso avente ad oggetto la sentenza di annullamento
parziale con rinvio……………………….……………………...pag. 66
Capitolo 4: Breve commento alla sentenza della Cassazione
n. 46635/2014……………………………………...………….pag. 71
Conclusioni………………………………………………………………...pag. 80
Bibliografia………………………………………………………………...pag. 82
Introduzione
Con questo elaborato si intende esaminare un istituto tutto sommato recente per il nostro ordinamento, introdotto dopo circa 13 anni dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale.
La legge n. 128 del 2001, uno dei c.d. pacchetti sicurezza, ha previsto un eccezionale mezzo per censurare – entro determinati limiti – le sentenze della Corte di Cassazione: ovvero il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, di cui all’art. 625 bis c.p.p..
L’intervento del legislatore, come si vedrà, è stato sollecitato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 395 del 2000, ma si pone in realtà come tappa di un lungo percorso che aveva già visto l’introduzione di un rimedio similare in ambito civile.
La particolarità dell’istituto, che sembra scalfire il mito dell’intangibilità del giudicato penale, forse avrebbe suggerito un’azione più radicale, volta a mettere mano all’intero sistema delle impugnazioni.
In realtà le norme che fanno da cornice all’art. 625 bis c.p.p. sono rimaste immutate e la stessa disciplina del ricorso straordinario, racchiusa all’interno di un’unica disposizione, non si presenta come esaustiva.
Vi sono infatti diverse lacune che hanno dato luogo – come spesso accade – a dubbi ed interrogativi. A questi ultimi dottrina e giurisprudenza sono state chiamate fin dall’inizio a dare una risposta concreta: non sono un caso le diverse pronunce delle Sezioni Unite iniziate già nel 2002 per definire i contorni di tale strumento, che deve essere invero scisso in un mezzo di correzione ed uno di impugnazione.
Vedremo infatti che sotto l’apparenza di un rimedio unitario, si nascondono due istituti assolutamente eterogenei, contemplati nella medesima disposizione legislativa forse per sottolinearne l’ontologica differenza.
Senza pretesa di prendere in considerazione tutte le questione problematiche sorte in ordine al ricorso straordinario, si cercherà comunque di analizzare alcune di quelle che hanno impegnato maggiormente gli interpreti.
Parte di queste sembrerebbero aver già trovato una risposta – non sempre totalmente soddisfacente – grazie agli interventi delle sezioni Unite o comunque ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, ma su altre il dibattito non può dirsi chiuso.
Si partirà dunque da un inquadramento generale nel primo capitolo, per poi passare nel secondo e nel terzo a calarsi all’interno degli istituti approfondendo i singoli punti controversi.
Nel quarto capitolo, invece, si commenterà brevemente una sentenza della Cassazione del 2014, nella quale la VI sezione tratta dell’ammissibilità di una pluralità di ricorsi straordinari avverso la medesima sentenza di legittimità: un argomento sul quale ancora poco si sono spesi gli interpreti e che per questo risulta assolutamente aperto.
Peraltro, proprio nel momento in cui si sta scrivendo, è al vaglio del Parlamento un disegno di legge che prevede una modifica dell’art. 625 bis c.p.p.: tra non molto tempo, perciò, alcune delle problematiche che qui di seguito si affronteranno potrebbero trovare soluzione.
Capitolo 1: L’introduzione dell’art. 625 bis c.p.p. ad opera della legge n. 128/2001. Inquadramento generale del nuovo rimedio.
Sommario: 1.1. La posizione della giurisprudenza prima del 2001 e la sentenza n. 395/2000 della Corte Costituzionale; 1.2. Il superamento dell’inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di Cassazione, a tutela di esigenze di giustizia sostanziale; 1.3. Le due anime dell’art. 625 bis c.p.p.; 1.3.1. Differenze tra errore materiale ed errore di fatto; 1.4. Profili procedimentali; 1.4.1. Diversa natura e portata del ricorso in relazione al tipo di errore rilevabile; 1.4.2. La verifica preliminare di ammissibilità del ricorso; 1.4.2.1. Il concetto di manifesta infondatezza; 1.4.3. La fase rescindente e rescissoria, e la decisione resa a seguito dell’udienza camerale.
1.1. La posizione della giurisprudenza prima del 2001 e la sentenza n. 395/2000 della Corte Costituzionale.
Il rimedio (o meglio si dovrebbe dire i rimedi) di cui all’art. 625 bis c.p.p. avverso gli errori in cui sia incorsa la Corte di Cassazione nelle sue decisioni, è stato introdotto solo con la legge n. 128 del 20011.
L’intervento legislativo, peraltro inserito in uno dei c.d. “pacchetti sicurezza”, non è però giunto inaspettato, bensì esso è stato sollecitato da ultimo da una pronuncia della Corte Costituzionale, e in ogni caso da un dibattito giurisprudenziale e dottrinale che – già risalente all’abrogato codice – periodicamente si riaccendeva.
Il problema controverso riguarda (e riguardava) la rimediabilità degli errori di procedura o di giudizio commessi dalla Corte di Cassazione, le cui pronunce – in quanto Supremo Collegio – sono da sempre ritenute inoppugnabili: in effetti, nonostante le comprensibili ragioni che inducono a tutelare il giudicato, si è spesso riproposta la necessità di individuare degli strumenti per riparare agli errori del giudice di ultima istanza2.
Sebbene nel vigente codice di procedura penale manchi una norma espressa del tenore di quella di cui all’art. 552 c.p.p. del 19303 – “tutti i provvedimenti della Corte di cassazione in materia penale, anche se emessi dalle singole sezioni, sono inoppugnabili” –, risulta pur tuttavia confermata anche nell’attuale ordinamento l’inoppugnabilità di tutti i provvedimenti emessi dalla Corte di Cassazione. E tale principio pare non essere messo in discussione nemmeno con l’avvento dell’art. 625 bis c.p.p., il quale tutt’al più ne costituisce una deroga.
Infatti la Corte Costituzionale ha ribadito in una sentenza del 1995 che “il principio della irrevocabilità e della incensurabilità delle decisioni della Corte di Cassazione, oltre ad essere rispondente al fine di evitare la perpetuazione dei giudizi e di conseguire un accertamento definitivo […] è pienamente conforme alla funzione di giudice ultimo della legittimità, affidata alla medesima Corte di Cassazione dall’art. 111 Cost.”4: l’inoppugnabilità viene fatta discendere dalla posizione istituzionale dell’organo ed altresì all’esigenza di impedire il protrarsi indefinito del processo. Tale arresto viene richiamato anche dalla giurisprudenza di legittimità in sentenze successive5, in cui il medesimo principio viene ancorato al presupposto che le sentenze della Cassazione coprano il dedotto ed il deducibile, comprese pure le eventuali nullità ed inammissibilità incorse durante il giudizio, nonché le ipotesi di altri errori più o meno gravi idonei comunque a superare i confini del giudicato.
Di conseguenza, prima della recente riforma che ha introdotto l’art. 625 bis c.p.p., nei confronti delle decisioni della Corte era possibile proporre rimedi solo in caso di vera e propria inesistenza del provvedimento, oppure nel caso in cui ricorressero le ipotesi di utilizzazione del procedimento di revisione quale mezzo straordinario di impugnazione: nel sistema delineato dal codice di procedura attualmente vigente, il sostanziale divieto di impugnare viene dedotto non solo dalle norme che riconoscono l’insindacabilità delle decisioni della Cassazione, ma altresì dalla mancata predisposizione di mezzi di impugnazione espliciti in un impianto governato dalla tassatività di tali mezzi.
Questo divieto di impugnazione rappresenta indubbiamente un canone fondamentale del sistema processuale, anche perché esso è condicio sine qua non rispetto alla formazione del giudicato: sussiste insomma un nesso logico tra l’inoppugnabilità della pronuncia della Cassazione destinata a chiudere il processo ed il giudicato stesso. Quest’ultimo esige che il processo sia costruito come una serie chiusa di atti cronologicamente ordinati, in cui vi sia ad un certo punto una decisione immutabile (provvedimento finale), così da garantire che il procedimento abbia un termine: ne consegue che in un processo articolato per l’appunto in gradi diversi la pronuncia del giudice ultimo nasce già incontrovertibile.
È la stessa Costituzione a tutelare il giudicato come valore unitario, in cui l’imperatività della decisione e l’immutabilità del contenuto della stessa, si fondono nella sentenza irrevocabile6. Ciò si deduce in primo luogo dalla disposizione dell’art. 27, II comma, Cost., che stabilisce in modo chiaro che la presunzione di non colpevolezza può essere vinta solo da un provvedimento irrevocabile, da una sentenza definitiva. In secondo luogo viene in rilievo il canone della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, II comma Cost., che presuppone il divieto di rimettere in discussione il contenuto di una sentenza a tempo indefinito7. Conferma ulteriore che il giudicato rappresenta un valore di fondo dell’ordinamento viene dai trattati internazionali di tutela dei diritti dell’uomo, recepiti con legge ordinaria, la cui funzione è rafforzata dall’art. 117, I comma, Cost.: l’art. 4 Prot. n. 7 Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce esplicitamente il principio del ne bis in idem, ancorandolo alla sentenza definitiva.
Se dunque il giudicato è fornito di copertura costituzionale, parimenti dovrà ritenersi per l’inoppugnabilità della decisione di chiusura.
Ciò non significa tuttavia che questa regola debba necessariamente avere carattere assoluto, giacché la sussistenza dell’incontrovertibilità della decisione della Cassazione va tenuta distinta dalla portata dell’incontrovertibilità stessa.
L’irrilevanza dei vizi dei provvedimenti del Supremo Collegio fa sì che – come sopra già accennato – si pongano dei problemi in relazione soprattutto ai casi più eclatanti di violazione del diritto di difesa o di ingiustizia, in quanto essa rende innocua l’inosservanza della legge riconducibile proprio all’organo chiamato a vigilare sull’osservanza della legge medesima. La regola dell’inoppugnabilità è perciò destinata inevitabilmente ad entrare in conflitto con altri valori dotati del medesimo rango costituzionale.
Si è prospettato ad esempio un dubbio quanto alla compatibilità tra la regola dell’inoppugnabilità e il diritto inviolabile di difesa di cui all’art. 24, II comma, Cost., allorquando l’avviso dell’udienza sia stato notificato ad un difensore diverso da quello nominato dall’imputato. Oppure è stata prospettata la lesione del diritto al giudice naturale, di cui all’art. 25, I comma, Cost., nei casi di erronea designazione del giudice di rinvio da parte della Cassazione. Infine si è sollevata la questione dell’inesistenza di un meccanismo che consentisse di caducare l’erronea declaratoria di illegittimità del ricorso in Cassazione, lesiva del diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto all’art. 24, I comma, Cost..
In tutti i casi di impossibilità di porre rimedio ad errori tradottisi in macroscopiche lesioni di diritti costituzionalmente garantiti, se da una parte i giudici del palazzo della Consulta hanno sempre difeso l’inoppugnabilità intrinseca della decisione della Cassazione respingendo eccezioni di legittimità riguardanti divieti di impugnazione, dall’altra la giurisprudenza non ha mancato di introdurre alcuni temperamenti all’inderogabilità della regola in oggetto.
La Cassazione, in ciò a onor del vero pesantemente criticata da parte della dottrina, aveva fatto ricorso da un lato all’istituto della revoca per porre nel nulla le sue stesse ordinanze, e dall’altra aveva tentato di applicare estensivamente alle sentenze il rimedio della correzione degli errori materiali ex art. 130 c.p.p.8. Quest’ultimo rimedio è teso a correggere errori od omissioni che non determinano nullità e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell’atto.
Secondo le Sezioni Unite (sentenza n. 16103 del 27 marzo 2002) l’errore rimediabile con la procedura di cui all’art. 130 c.p.p. consiste, in buona sostanza, in una svista o lapsus espressivo, da cui deriva il divario tra la volontà del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica (“tra il pensiero del decidente e l’estrinsecazione formale dello stesso”), senza incidenza alcuna però sul processo cognitivo e valutativo da cui scaturisce la decisione.
Perciò l’ambito di applicazione elettivo dell’art. 130 c.p.p. è quello della semplice svista da parte del giudice o del mero lapsus calami, che può consistere sia nella mancata indicazione degli articoli di legge sia nell’errata indicazione di elementi descrittivi non influenti però sulla ricostruzione del fatto storico attribuito all’imputato: punto fondamentale è che l’errore materiale incida esclusivamente su elementi della pronuncia estranei al thema decidendum e che conseguano alla pronuncia stessa senza alcuna discrezionalità da parte del giudice9.
Ora, non è mai stata messa in discussione la possibilità di correggere gli errori materiali veri e propri delle decisioni rese in ultima istanza, giacché la norma ex art. 130 c.p.p. individua un rimedio di carattere generale e come tale applicabile a qualunque provvedimento (la disposizione parla di sentenze, ordinanze e decreti). Il problema tuttavia si è posto in particolar modo in riferimento al delicato nodo degli errori di fatto incorsi nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, essendo inoppugnabili le decisioni della Corte di Cassazione e non potendo tali errori farsi rientrare tra quelli materiali, dal momento che vanno a modificare direttamente la decisione: vizi simili abbisognano di un vero e proprio mezzo di impugnazione, tipico rimedio per eventuali errori di fatto o di diritto aventi influenza decisiva sulla sentenza, e non di una mera correzione/rettifica10. Eppure il Supremo Collegio, come sopra accennato, ha spesso cercato di ovviare attraverso degli escamotages che non disdegnavano strappi alla regola del dettato legislativo e con procedure extra ordinem, sempre in vista di asserite esigenze di giustizia sostanziale11.
Lo sconfinamento ha talvolta prodotto una sorta di sindacato sul merito, consistente in un vero e proprio controllo sul travisamento del fatto – cioè quel vizio riconducibile ad una ricostruzione storica smentita dagli atti processuali12 –, nonostante formalmente si richiedesse soltanto una rettifica. Si sottolinea tra l’altro come, sotto la vigenza del codice di procedura del 1930, aveva trovato costante riconoscimento il controllo del giudice di legittimità sul travisamento del fatto, nonostante la mancanza dell’espressa previsione di un motivo di ricorso per Cassazione in tal senso; invece con il nuovo codice – nella sua versione originale, anteriore alla c.d. legge Pecorella del 2006 – l’operato della Suprema Corte era stato ristretto al controllo del vizio della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, cosicché si riteneva preclusa finanche la semplice comparazione tra le doglianze e gli atti del procedimento. È evidente quindi la rilevanza di quell’orientamento favorevole ad allargare le maglie dell’art. 130 c.p.p., che andava a sopperire alla chiusura della Cassazione sulla deduzione del vizio in questione.
Tra le numerose pronunce si ricorda quella resa dalle Sezioni Unite nel caso Radulovic, in cui si è ritenuto possibile far “ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all’art. 130 c.p.p. per emendare la sentenza che abbia erroneamente statuito in tema di condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria per l’inammissibilità”, pur avendo cura di precisare che trattavasi di rettifica non incidente sul contenuto intrinseco della decisione bensì su una pronuncia conseguenziale ed accessoria ad essa, non implicante alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice13. In una sentenza della III sezione del 1993, addirittura esplicitamente si afferma che “il disposto dell’art. 130 c.p.p. va interpretato più estensivamente con riguardo alle decisioni della Corte di Cassazione, in considerazione della loro inoppugnabilità, di tal che in ordine ad esse deve ritenersi possibile la correzione anche nell’ipotesi di un giudizio basato su una mancata cognizione dei fatti storici che investono elementi essenziali della decisione”14.
In senso contrario all’indirizzo testé esposto, la sentenza delle Sezioni Unite n. 387/1996 ha stabilito invece di non potersi “ricorrere alla procedura per la correzione degli errori materiali al fine di emendare gli errori di fatto in cui sia incorso il giudice: in tal modo, infatti, verrebbe dato ingresso ad un mezzo volto non già ad un’emenda del testo della sentenza, ma ad una non consentita modifica della decisione, in violazione dei principi di definitività delle sentenze della Corte di Cassazione nonché dei canoni imposti dall’art. 130 c.p.p.”15.
La Corte Costituzionale, dal canto suo, sebbene come sopra ricordato abbia sempre respinto le questioni di legittimità volte a far prevalere sull’inoppugnabilità delle decisioni della Cassazione altri diritti costituzionalmente garantiti, ha più volte invitato il legislatore a valutare l’opportunità di introdurre un rimedio straordinario per porre nel nulla gravi lesioni dei diritti fondamentali consumate nel giudizio di ultimo grado.
Inoltre, in ambito civile, allorquando la questione dell’inoppugnabilità è stata sollevata con specifico riferimento all’errore di fatto revocatorio previsto dall’art. 395, I comma n. 4, c.p.c., il Giudice delle leggi ha abbandonato totalmente la posizione di chiusura trovando una composizione tra i valori di cui si discute.
La norma appena citata dispone che “Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: […] 4) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì il punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
Sono state le Sezioni Unite civili a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 395 c.p.c., per non essere l’ipotesi di errore di cui al n. 4 estesa anche alle decisioni della Cassazione. Con l’ordinanza di rimessione è stato sostenuto che, se l’esigenza che il processo abbia un termine può di certo giustificare l’inimpugnabilità delle sentenze di ultima istanza, non può però essere ritenuta “appagante, con riguardo specifico all’errore di fatto, ove si rifletta che questo, sebbene non giunga a quel punto di estraneità al giudizio che caratterizza l’errore materiale …, è pur sempre un errore che si manifesta al di fuori di ciò che è stato il dibattito processuale o che ad esso appartiene per legge (questioni rilevabili d’ufficio), in quanto investe un fatto pacifico, incontrovertibile nella sua esistenza o inesistenza”16. In sostanza l’errore di fatto sarebbe un vizio manifesto, con la cui eliminazione non si rimette in discussione la valutazione del giudice – di per sé censurabile all’infinito – bensì si sopprime un presupposto indubbiamente erroneo su cui si basa il ragionamento.
La Corte Costituzionale, nel pronunciarsi con una declaratoria in incostituzionalità della norma nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze della Corte di Cassazione affette dall’errore di cui al n. 4 dell’art. 395 c.p.c., ha affermato che “il diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento garantito dall’art. 24, II comma, Cost., sarebbe gravemente offeso se l’errore di fatto, così come descritto nell’art. 395, n. 4, non fosse suscettibile di emenda sol per essere stato perpetrato dal giudice cui spetta il potere-dovere di nomofilachia”17.
Successivamente, con la legge n. 353 del 26 novembre 1990, è stato introdotto nel codice di procedura civile l’apposito art. 391 bis, che reca in rubrica “Correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione”, e che rinvia in ogni caso all’art. 395, n. 4, c.p.c..
Sul fronte del processo penale, pur non essendo ipotizzabile una sentenza additiva per la mancanza di una impugnazione analoga alla revocazione per errore di fatto, i giudici della Consulta sono comunque giunti a ribadire sostanzialmente il medesimo pensiero con la sentenza n. 395/2000.
Nel caso di specie era stata sollevata dalla Corte di Cassazione “questione di legittimità costituzionale degli artt. 629, 630 e ss. del codice di procedura penale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione18, nella parte in cui non prevedono e non disciplinano la revisione delle decisioni della Corte di Cassazione per errore di fatto (materiale e meramente percettivo) nella lettura di atti interni al giudizio”19. La medesima Corte aveva precedentemente dichiarato – con ordinanza del 21 dicembre 1998 – l’inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di appello proposto dal difensore dell’imputato contumace, sul presupposto della mancanza di specifico mandato. L’imputato chiedeva a quel punto la revoca del provvedimento, segnalando l’esistenza del mandato, risultante agli atti del procedimento; il Procuratore Generale, dal canto suo, chiedeva procedersi alla correzione dell’errore materiale a norma dell’art. 130 c.p.p. e così, qualificato proprio in questi termini il procedimento, in sede di udienza camerale veniva promosso d’ufficio l’incidente di costituzionalità di cui sopra.
Il giudice a quo sottolineava l’impossibilità di procedere ex art. 130 c.p.p., giacché oggetto del relativo procedimento possono essere soltanto gli errori che lasciano immutato il contenuto decisorio della pronuncia, l’emenda avendo la finalità di “armonizzare l’estrinsecazione formale della decisione al suo reale contenuto”. Inoltre si rammentavano alla Corte Costituzionale le sue stesse pronunce in merito all’art. 395 c.p.c..
La Corte Costituzionale ha dichiarato fondata la preliminare eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato: dal momento che la richiesta di revoca del ricorrente era stata trattata e qualificata come domanda di correzione ex art. 130 c.p.p., una eventuale pronuncia sulle norme di cui agli artt. 629 e 630 e ss. c.p.p. – formale oggetto dello scrutinio – non avrebbe comunque assunto alcuna rilevanza agli effetti della decisione della Corte di Cassazione rimettente. Pur tuttavia il giudice delle leggi non ha terminato le sue considerazioni con questa statuizione, bensì ha proseguito analizzando in maniera generale la tematica degli errori e dei vizi riguardanti il giudizio di Cassazione, già peraltro oggetto di precedenti interventi: ha così precisato che “l’errore di tipo percettivo in cui sia incorso il giudice di legittimità, e dal quale sia derivata l’indebita declaratoria di inammissibilità del ricorso (con l’ovvia conseguenza di determinare l’irrevocabilità della pronuncia oggetto di impugnativa) rappresenta eventualità tutt’altro che priva di conseguenze per il rispetto dei principi costituzionali coinvolti”20. Una simile evenienza si pone in aperto e palese contrasto non solo con l’art. 3 e 24 Cost., ma altresì con l’art. 111 Cost., che prevede che contro tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale “è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge”: ciò significa che vi è un vero e proprio diritto a fruire concretamente del controllo di legittimità, cioè un diritto al processo di Cassazione.
Qualora, a causa di un errore di tipo percettivo del giudice di legittimità, venga compromesso tale diritto, secondo la Consulta si dovrà dunque avere un necessario ed idoneo rimedio; rimedio la cui individuazione all’interno del sistema viene attribuita alla Corte di Cassazione, nello svolgimento della sua funzione nomofilattica. Con un revirement rispetto alle precedenti pronunce21, la Corte Costituzionale in qualche modo suggerisce alla rimettente la possibilità di poter astrattamente utilizzare finanche l’istituto di cui all’art. 130 c.p.p., la cui idoneità allo scopo dovrà essere in ogni caso attentamente vagliata.
Viene quindi proposta la strada da percorrere, l’eventuale soluzione ermeneutica, individuandola nell’istituto di cui all’art. 130 c.p.p.. Ed in tal modo viene altresì espressa approvazione per quelle deviazioni giurisprudenziali che spesso avevano forzato la portata della procedura per la correzione degli errori materiali, per poter rimediare agli errori di fatto addebitabili alla Cassazione22.
1.2. Il superamento dell’inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di Cassazione, a tutela di esigenze di giustizia sostanziale.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 395/2000 testé ricordata ha un aspetto di assoluta originalità: essa segna infine il superamento in ambito penale del dogma dell’intangibilità del giudicato della Cassazione, principio prima considerato inderogabile dalla giurisprudenza del giudice delle leggi23: anche la pronuncia divenuta nel frattempo irrevocabile può essere modificata per porre rimedio agli errori materiali e percettivi occorsi nel giudizio di legittimità.
Le aperture di cui alla sentenza n. 395/2000 sono poi state immediatamente accolte dal legislatore che, con l’art. 6 comma 6 della legge 26 marzo 2001 n. 128, ha inserito nel codice di procedura penale il nuovo articolo 625 bis disciplinante il “Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto”: il primo comma dispone che “è ammessa, a favore del condannato, la richiesta per la correzione dell’errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di Cassazione”.
Non si è così dato modo alla Cassazione di “rispondere” alla pronuncia della Corte Costituzionale individuando all’interno del sistema normativo lo strumento più idoneo a riparare all’errore di fatto percettivo: a risolvere l’impasse è intervenuto con tempestività non consueta il legislatore.
L’art. 625 bis c.p.p. introduce per la prima volta nell’ordinamento penale la possibilità di impugnare – e non solo di correggere – le sentenze della Corte di Cassazione.
Ma la novità sta altresì nell’aver dato rilevanza ad un tipo di vizio della decisione non contemplato nemmeno tra i casi di revisione. In relazione a quest’ultimo istituto, le ipotesi enucleate nel codice postulano il sopravvenire di una situazione giuridica nuova (o comunque la considerazione di una prova preesistente ma mai valutata prima)24, mentre il ricorso straordinario consente una sorta di “rivisitazione” della sentenza mantenendo in sostanza i medesimi elementi a fondamento del convincimento dell’organo giudicante. Si è quindi inteso fornire un peso concreto a quelle garanzie processuali che devono necessariamente accompagnare sia le sequenze procedimentali che la formazione della decisione25.
Si è voluto insomma rendere effettivo l’art. 111, VII comma, Cost., laddove esso prevede il ricorso per Cassazione per violazione di legge: se la decisione è giusta (legalità del giudizio) solo qualora sia possibile un controllo della stessa da parte dell’organo nomofilattico, evidentemente si vuole che tale controllo sia reale e cioè che non si fondi su un errore. Il rimedio introdotto sarebbe quindi teso a garantire concretamente proprio quel dovere di controllo imposto dalla Costituzione26: la disposizione di cui all’art. 625 bis c.p.p. mira a ricondurre anche la pronuncia della Cassazione all’interno dei canoni di “giusta decisione”, ancorata alla legalità del giudizio quale rafforzata tutela del principio di presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, III comma, Cost..
Eppure, nonostante l’assoluta novità per l’ordinamento processuale penale italiano, purtroppo l’intervento operato dal legislatore con la legge n. 128/2001 non attua una auspicabile risistemazione di tutto il sistema delle impugnazioni, bensì si limita ad introdurre un nuovo rimedio; e tale mancanza è riscontrabile in particolare in riferimento all’art. 648 c.p.p. quale norma che definisce il giudicato27.
In effetti la ricostruzione che colloca il rimedio di cui all’art. 625 bis a valle del giudicato e quindi come deroga all’irrevocabilità delle sentenze, pur essendo pacifica, non è priva di ostacoli.
L’art. 648 c.p.p. dispone al suo primo comma che “sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione”, e al secondo comma che “se vi è stato ricorso per Cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso”. Il difetto di coordinazione delle due statuizioni con la norma di cui all’art. 625 bis è palese, se si considera che oggi contro le sentenze della Cassazione è per l’appunto ammesso il ricorso per errore di fatto: tale rimedio è esperibile solo entro un certo termine in pendenza del quale, stando al primo comma dell’art. 648 c.p.p., le sentenze non potrebbero essere considerate definitive; mentre, stando al secondo comma dell’art. 648 c.p.p., già dal momento in cui il ricorso in Cassazione è dichiarato inammissibile oppure è rigettato, la sentenza diviene irrevocabile28.
Trattasi indubbiamente di una “svista”, che la dottrina – indagando sulle regole generali che presiedono al formarsi della cosa giudicata – risolve collocando il momento del passaggio in giudicato all’esaurimento dei mezzi di impugnazione qualificabili come “ordinari”, e non all’esito dell’infruttuoso esperimento dell’ultimo rimedio astrattamente concesso.
Dovremmo andare quindi a collocare il ricorso ex art. 625 bis c.p.p. tra le impugnazioni straordinarie insieme alla revisione, in ciò adeguandoci alla rubrica della disposizione; tuttavia prima di fare questo è necessario analizzare in modo più approfondito questo nuovo rimedio e la sua disciplina, che in realtà non è così chiara e lineare, i difetti di coordinazione con le altre norme non essendo l’unica asperità da superare.
1.3. Le due anime dell’art. 625 bis c.p.p..
Il primo punto su cui occorre far luce attiene alla natura del nuovo rimedio. All’apparenza esso sembra avere carattere unitario, essendo volto alla “correzione dell’errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di Cassazione” (I comma). In realtà, come peraltro chiaramente esplicitato anche in successivi arresti delle Sezioni Unite, bisogna scindere l’errore materiale dall’errore di fatto; anzi, ancora meglio, è necessario distinguere la correzione dell’errore materiale, dal ricorso straordinario per errore di fatto29.
Sotto la previsione dell’art. 625 bis c.p.p. sono dunque ricompresi istituti eterogeni: accanto alla nuova impugnazione per errore di fatto, è stata data nuova veste alla già nota procedura per la correzione dell’errore materiale di cui siano afflitte le sentenze della Cassazione30.
L’errore materiale sarebbe riconducibile alla figura di cui all’art. 130 c.p.p. (che parte della dottrina ritiene norma generale, rispetto all’art. 625 bis c.p.p., che quanto all’errore materiale costituirebbe lex specialis31), già analizzato: esso cioè consisterebbe in un errore non incidente sul processo formativo della decisione e determinante semplicemente la mancata corrispondenza tra la volontà e la sua estrinsecazione grafica; il vizio risolvendosi quindi in una forma inadeguata di espressione della volontà effettiva.
Invece, quanto all’errore di fatto, l’art. 625 bis c.p.p. è manchevole di una definizione che delimiti tale categoria, potendosi solo fare riferimento all’“errore” come enucleato in generale dalla dottrina: e cioè una divergenza tra la realtà e la sua rappresentazione soggettiva, in quanto “falsa conoscenza della realtà, naturalistica o normativa”32.
Fin dalle prime battute la giurisprudenza ha perciò fatto utile riferimento alla nozione di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c., così qualificando l’errore di fatto come “un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco, nel quale la Corte di Cassazione è incorsa nella lettura degli atti del giudizio di legittimità, ed è connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dalla inesatta percezione delle risultanze processuali, il cui svisamento conduce ad una decisione diversa da quella che sarebbe adottata senza l’errore di fatto”33.
Prendendo a modello l’errore revocatorio, si ha errore di fatto ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p. quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, o quando si suppone a contrario l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Ciò porta con sé due indiscutibili corollari: lo sviamento della volontà del giudice deve essere decisivo, in quanto determinante per il convincimento del giudice stesso espresso nella soluzione adottata; inoltre deve essere di oggettiva ed immediata rilevabilità, nel senso che dal controllo degli atti processuali deve trasparire ictu oculi che la decisione è stata condizionata da un errore di percezione.
Pertanto all’errore di fatto è estranea qualunque implicazione valutativa, la sua dimensione essendo meramente percettiva: esso quindi prende totalmente distanza dall’errore di giudizio, che è invece dovuto ad un’interpretazione asseritamente non corretta degli atti del processo di Cassazione34.
Detto ciò non si può non osservare come, anche nell’articolazione della disposizione di cui all’art. 625 bis c.p.p., il legislatore abbia preso a modello l’art. 391 bis c.p.c. (“Correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione”), che rinvia alla definizione di errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4.
Tuttavia, se la distinzione tra errore materiale ed errore di fatto ha un senso se compiuta all’interno dell’art. 391 bis c.p.c., non altrettanto può dirsi in ambito processualpenalistico, in cui la possibilità di correggere gli errori materiali è già contemplata in via generale dall’art. 130 c.p.p.. Parte della dottrina ha affermato che non avrebbe senso ritenere che il legislatore abbia voluto ribadire nell’art. 625 bis c.p.p. quanto già previsto all’art. 130 c.p.p.: e che di conseguenza parrebbe assai più ragionevole pensare che il legislatore abbia inteso introdurre un unico rimedio volto alla riparazione dell’errore materiale di fatto (come unico errore)35.
Tale concezione consentirebbe certo di risolvere i problemi di convivenza – di cui si darà conto nel prosieguo – tra l’istituto della correzione contemplato dall’art. 130 c.p.p. e la rettificazione di cui all’art. 625 bis c.p.p.; inoltre anche il nuovo istituto potrebbe così essere concepito come un rimedio a carattere correttivo in senso lato dotato di una certa flessibilità.
Senonché, questa lettura si scontra con degli ostacoli insuperabili sia di ordine letterale che di ordine sistematico. Innanzitutto l’intenzione di diversificare i due errori emerge dall’utilizzo della congiunzione disgiuntiva “o”: “errore materiale o di fatto”. Inoltre, se si prosegue nella lettura dei commi dell’articolo successivi al primo, viene subito in evidenza una distinzione tra i due rimedi quanto alla legittimazione e ai limiti temporali di presentazione del ricorso.
L’aver disciplinato congiuntamente due fattispecie tanto diverse potrebbe allora derivare proprio da una volontà di contrapporle nettamente così da non ingenerare più confusione nella pratica come accadeva prima della legge n. 128/2001.
1.3.1. Differenze tra errore materiale ed errore di fatto.
Errore materiale ed errore di fatto paiono coincidere solo se li si consideri da una prospettiva statica: entrambe le tipologie di errore risultano estranee al giudizio, dal momento che si parla pur sempre di una “svista” in cui è incorso il giudice.
Le differenze però emergono immediatamente non appena si guardi il fenomeno in una prospettiva dinamica: sulla base delle definizioni si deduce abbastanza agilmente che mentre l’errore di fatto si genera a monte della decisione, essendo le stesse premesse di quest’ultima ad essere non corrette, l’errore materiale invece interviene a valle dell’avvenuto giudizio, nel momento della formazione dell’atto che contiene il provvedimento.
Il discrimen tra le due fattispecie sta essenzialmente nell’influenza (per l’errore di fatto) o meno (quanto all’errore materiale) dell’errore rispetto al processo cognitivo dell’organo giudicante, e di conseguenza rispetto alla decisione: l’eliminazione del vizio di conseguenza, e per riprendere le parole dell’art. 130 c.p.p., potrà comportare o meno una modifica essenziale dell’atto36. Nel caso di errore di fatto, perciò, la Cassazione dovrà necessariamente modificare o sostituire la pronuncia; laddove invece nel correggere l’errore materiale non si inciderà sul contenuto o sull’esistenza del provvedimento.
Queste considerazioni hanno un effetto direttamente sulla legittimazione attiva. Qualora si debba solo far emergere il reale contenuto della decisione, non essendoci alcun bisogno di ritornare sul dictum con una nuova valutazione discrezionale, può ipotizzarsi anche un intervento d’ufficio da parte del medesimo organo che ha emesso la sentenza. E in effetti il terzo comma dell’art. 625 bis c.p.p. dispone che “l’errore materiale di cui al comma 1 può essere rilevato dalla Corte di Cassazione, d’ufficio”, esattamente come prevede l’art. 130 c.p.p..
D’altro canto, si deve presupporre una iniziativa della parte interessata se vi è la necessità di investire un giudice del controllo critico di un provvedimento: la richiesta per correggere l’errore di fatto può essere avanzata infatti, ai sensi del secondo comma, solo dal procuratore generale o dal condannato, senza la possibilità che l’errore venga rilevato d’ufficio37.
Ulteriore fondamentale differenza discendente dall’ontologica diversità dei due errori e dei rispettivi rimedi attengono ai limiti temporali dell’attivazione dei rimedi medesimi. Il terzo comma, dopo aver stabilito per l’errore materiale la rilevabilità d’ufficio, prosegue disponendo che ciò possa avvenire “in ogni tempo”: ancora una volta la disciplina dell’errore materiale di cui all’art. 625 bis c.p.p. ricalca quella dettata dall’art. 130 c.p.p., e così non sussistono limiti di tempo per ricondurre a quello che è il reale contenuto della sentenza quanto esteriormente appare nell’atto.
Per quanto attiene invece al ricorso per errore di fatto, il condannato o il procuratore generale hanno 180 giorni dal deposito del provvedimento per presentarlo, a norma di quanto disposto dal secondo comma dell’articolo: la richiesta proposta fuori da tale termine, comporta l’inammissibilità del ricorso secondo quanto stabilito dal quarto comma38.
Dopo questa prima disamina delle differenze, non dovrebbero tendenzialmente sussistere più dubbi sul fatto che l’art. 625 bis c.p.p. disciplini due istituti nettamente differenti (anche se la distinzione risulta come spesso accade più sfumata sul piano dell’applicazione pratica), e di ciò si darà ulteriormente conto anche nei prossimi paragrafi attinenti ai profili procedimentali.
1.4. Profili procedimentali.
L’art. 625 bis c.p.p. individua un peculiare procedimento quanto al ricorso per errore materiale o di fatto: dispone infatti il quarto comma che “quando la richiesta è proposta fuori dell’ipotesi prevista al comma 1 o, quando essa riguardi la correzione di un errore di fatto, fuori del termine previsto al comma 2, ovvero risulti manifestamente infondata, la Corte, anche d’ufficio, ne dichiara con ordinanza l’inammissibilità; altrimenti procede in camera di consiglio, a norma dell’articolo 127 e, se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l’errore”. La procedura si articola perciò in un preventivo vaglio di ammissibilità e in una successiva fase di verifica della sussistenza dell’errore, con conseguente ed eventuale adozione del rimedio ad hoc.
Dal momento che nel capo secondo del titolo sul ricorso per Cassazione, è già dettata una disciplina agli artt. 610 e 611 c.p.p. quanto al vaglio di ammissibilità dei ricorsi (ordinari) presso la c.d. “sezione filtro”, bisogna chiedersi se queste norme siano comunque applicabili, o direttamente o in via analogica, o se non altro per andare ad integrare la lacunosa disciplina di cui all’art. 625 bis c.p.p..
Ma prima ancora è importante capire la portata del ricorso introduttivo rispetto all’errore lamentato, se di fatto o materiale, alla luce di quanto sopra esposto sull’intrinseca diversità delle due fattispecie.
Per quanto attiene invece agli aspetti della legittimazione ad agire e al presupposto del favor per il condannato, si rinvia ai capitoli successivi, in cui questi profili saranno trattati in riferimento alla singola tipologia di errore emendabile.
1.4.1. Diversa natura e portata del ricorso in relazione al tipo di errore rilevabile.
Innanzitutto, a ben guardare, il fatto di contemplare due species errorum trascende il piano della mera differenziazione tipologica, per approdare a quello della diversità ontologica che nasce non solo dalla diversità dell’errore emendando ma anche dalla portata gnoseologica del mezzo di correzione esperibile.
L’emendatio di errori materiali integrerebbe uno strumento di rettifica del testo scritto della decisione viziata, rientrando esso nell’ampio genus dell’emenda degli atti di cui all’art. 130 c.p.p.: null’altro quindi “che uno strumento di correzione, speciale rispetto a quello previsto dall’art. 130 c.p.p.” 39, della forma espressiva della volontà del giudice, non implicante un nuovo giudizio.
Per converso, qualora il provvedimento sia affetto da error facti, essendo necessaria – come sopra specificato – una modifica o una sostituzione della decisione, la correzione dello stesso ha natura impugnativa: attesa la funzione di contestazione dell’ingiustizia sostanziale della sentenza, occorre un vero e proprio mezzo di impugnazione in senso tecnico40. Sulla natura ordinaria o straordinaria di tale impugnazione, si dirà oltre, atteso che la qualifica di impugnazione straordinaria generalmente accolta (al di là della mera lettera della rubrica) genera in realtà più di qualche dubbio. Nonostante ciò, il rimedio de quo si pone in ogni caso come la vera eccezione all’inoppugnabilità delle sentenze della Corte di Cassazione, l’unico che rimette in discussione il giudicato precedentemente formatosi; giacché nel correggere un errore materiale il contenuto del decisum rimane immutato, nessun problema può porsi rispetto all’irrevocabilità del provvedimento41, ed infatti è prevista in tal caso una emendabilità senza limiti temporali.
Tuttavia, e al di là di questi rilievi, dal testo dell’art. 625 bis c.p.p., sembra dedursi dal punto di vista strettamente formale una omogeneità procedurale, tendente quindi ad assimilare sotto il medesimo procedimento correttivo entrambe le tipologie di errore42.
In realtà da tale differenza ontologica potrebbe ricavarsi anche una differenziazione dal punto di vista formale. Dal momento che la correzione dell’errore materiale non ha nulla a che vedere con il genus delle impugnazioni, il termine ricorso ben potrebbe assumere in questo contesto un senso del tutto atecnico, equivalente come significato all’istanza o alla richiesta: una richiesta del procuratore o del condannato per la correzione dell’errore materiale.
L’errore materiale peraltro può essere corretto anche d’ufficio, perciò la domanda potrebbe avere anche solo la funzione di sollecitare la Corte di Cassazione in tal senso, non abbisognando a fortiori l’istanza di particolari requisiti formali43; inoltre, per colmare le lacune nella disciplina di cui all’art. 625 bis c.p.p. in ordine allo strumento rettificatorio, si potrebbe far riferimento alle regole poste dall’art. 130 c.p.p., che non richiede la predisposizione di un vero e proprio ricorso.
Con riferimento alla impugnazione volta a rimediare all’errore di fatto, al contrario, il modello al quale si deve rifare il ricorso straordinario è quello fissato in via generale proprio per le impugnazioni dall’art. 581 c.p.p.; trattasi di uno schema peraltro presidiato a pena d’inammissibilità dall’art. 591 c.p.p..
1.4.2. La verifica preliminare di ammissibilità del ricorso.
Quanto al vaglio preliminare di ammissibilità, questo si effettua sia per l’errore di fatto (per tutte e tre le ipotesi di inammissibilità disciplinate) che per l’errore materiale (soltanto per due delle ipotesi, rimanendo fuori quella del vincolo temporale), in ciò tra l’altro individuando una specialità rispetto all’istituto di cui all’art. 130 c.p.p..
La disposizione di cui al quarto comma dell’art. 625 bis c.p.p. si dimostra invero abbastanza lacunosa quanto alle modalità con cui si deve procedere allo scrutinio preliminare. Nella seconda parte del comma è disposto che, se la Corte non deve emettere un’ordinanza di inammissibilità, allora si prosegue nel merito con le forme della camera di consiglio partecipata ex art. 127 c.p.p.. La prima parte del comma dispone invece che la Corte, sussistendo una delle ipotesi di inammissibilità individuate, dichiari anche d’ufficio l’inammissibilità con ordinanza. La locuzione “altrimenti” posta tra la prima e la seconda parte, sembra voler sottolineare una contrapposizione anche di forma del procedimento di verifica preliminare rispetto alla seconda fase di vera e propria indagine sull’errore.
La giurisprudenza sembra in effetti essersi assestata nel senso di una delibazione preliminare condotta de plano, senza l’instaurazione di alcun contraddittorio, e in ciò concordano anche le Sezioni Unite nella più volte citata sentenza n. 16103/200244: avremmo di conseguenza un’ordinanza di inammissibilità emessa d’ufficio e de plano.
Ora, nella prima parte del quarto comma non è richiamato l’art. 127 c.p.p., perciò si può ammettere che siano escluse le forme caratteristiche del procedimento garantito in camera di consiglio: alle parti quindi non sarebbe assicurato alcun contraddittorio orale45. Pur tuttavia, ciò non è sufficiente per asseverare la natura de plano dell’indagine sull’ammissibilità.
Infatti, restringendo l’analisi al ricorso per errore di fatto, questo, sia pur qualificato come ricorso straordinario, è diretto contro la Corte di Cassazione (diversamente da quanto avviene per la revisione); per l’esame sull’ammissibilità dei ricorsi per Cassazione, il codice disciplina un meccanismo peculiare, imperniato sull’assegnazione della causa ad una “sezione filtro” e sul contraddittorio cartolare. Il nucleo della questione perciò starebbe nel definire i rapporti tra le previsioni di cui agli artt. 610, I comma, e 611 c.p.p., rispetto all’art. 625 bis, IV comma, c.p.p.46.
Quanto alla disposizione di cui all’art. 610, I comma, c.p.p., che assegna la competenza ad esercitare il sindacato di ammissibilità ad una apposita sezione, essa pare essere diretta a favorire la formazione di una giurisprudenza uniforme in tema di inammissibilità: ad un tale fine può essere attribuito carattere generale, e se così fosse dunque non vi sarebbero ragioni per escludere l’operatività della norma in relazione al ricorso straordinario.
Con il rinvio all’art. 611 c.p.p., si prevede inoltre che il vaglio nella sezione filtro avvenga con le forme del contraddittorio cartolare. L’art. 625 bis c.p.p. non introduce alcuna deroga espressa al meccanismo disegnato dalle due disposizione menzionate: deroga che sarebbe necessaria quanto meno per escludere il contraddittorio, se si assegnasse carattere tendenzialmente generale alla previsione di uno spazio allo stesso riservato.
Oltretutto, al canone della garanzia del contraddittorio l’art. 111 della nostra Carta fondamentale assegna un valore costituzionale: nonostante il rimedio che stiamo esaminando sia un’impugnazione indubbiamente non ordinaria, si potrebbe anche pensare che tale canone debba comunque ricevere una seppur minima tutela.
Alla luce di quanto esposto, non sarebbe scorretto affermare che pure il ricorso straordinario per errore di fatto debba essere sottoposto al vaglio preventivo di inammissibilità secondo le regole di cui agli artt. 610, I comma, e 611 c.p.p.47.
In ordine al sindacato preliminare sulla sussistenza delle due cause di ammissibilità rilevanti nell’ambito della correzione dell’errore materiale (manifesta infondatezza e proposta che travalica l’ipotesi di errore materiale), non sembra invece ci siano dubbi sul fatto che debba avvenire de plano. Non vi sarebbe infatti alcuna ragione per ritenere operante il meccanismo di cui agli artt. 610 e 611 c.p.p..
1.4.2.1. Il concetto di manifesta infondatezza.
Una delle ipotesi d’inammissibilità previste dall’art. 625 bis, IV comma, c.p.p. è la manifesta infondatezza della richiesta di correzione dell’errore materiale o del ricorso per errore di fatto.
Per quanto attiene all’errore materiale, la disciplina di cui all’art. 625 bis c.p.p., sotto il profilo dell’inammissibilità per manifesta infondatezza, dimostra di essere effettivamente speciale rispetto a quella dettata dall’art. 130 c.p.p.: infatti l’inammissibilità potrebbe essere dichiarata in tale ipotesi, solo nei casi in cui fosse espressamente prevista. Invece, nel caso di richiesta diretta a lamentare un errore non materiale (altra causa di inammissibilità), vista la natura dell’ipotesi, non vi sono problemi di coordinamento rispetto all’art. 130 c.p.p..
Per quanto attiene invece all’errore di fatto, il vaglio sulla manifesta infondatezza si presta ad indebite anticipazioni di merito “e, quindi, il rischio da scongiurare è che, attraverso arbitrari sconfinamenti del giudizio sul limite ammissivo del ricorso, di fatto se ne sterilizzi la portata innovativa”48.
Necessitando quindi di chiarire il concetto di manifesta infondatezza, sembra opportuno fare riferimento a quanto elaborato dalla giurisprudenza con riguardo al giudizio di revisione: l’art. 634, I comma, c.p.p. prevede infatti anch’esso tra le cause di inammissibilità della richiesta di revisione la manifesta infondatezza; inoltre pure in tal caso si assiste ad un vaglio preliminare d’ufficio e de plano, in linea con l’affinità dei due giudizi – ricorso straordinario e revisione – rispondenti alle medesime esigenze assiologiche (sebbene sentenza ingiusta ed errore giudiziario vengano in rilievo sotto un profilo ben diverso).
È stato quindi precisato dalle Sezioni Unite in tema di revisione che la verifica della condizione di manifesta infondatezza “ha carattere non astratto ma concreto, in diretta immediata correlazione col tema di indagine proposto dalla richiesta di revisione” e che la valutazione preliminare di inammissibilità “non può comportare un approfondimento valutativo tale da dar luogo ad un’anticipazione del giudizio di merito proprio della fase rescissoria"; e tale valutazione deve riflettere l’evidente inidoneità della domanda ad introdurre il giudizio di revisione, senza che possano assumere rilevanza regole di giudizio proprie della fase rescissoria, così da evitare la sovrapposizione di due procedimenti che devono rimanere distinti49.
Siffatta definizione non può essere trasferita sic et simpliciter nella valutazione dell’ammissibilità del ricorso straordinario, in ragione della natura dell’errore percettivo di fatto. L’indagine su quest’ultimo, per costante giurisprudenza, deve rimanere circoscritta agli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo; ma lo sviamento della volontà deve essere decisivo e di oggettiva ed immediata rilevabilità.
Allora, il requisito dell’evidenza e dell’immediata rilevabilità ictu oculi sembra essere posto, in modo identico, a fondamento sia della manifesta infondatezza che della rilevanza dell’errore di fatto.
Ebbene l’oggetto di verifica delle cause di inammissibilità dovrebbe coprire un’area diversa da quella del meritum causae, così come sopra affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite: e cioè l’esistenza e la rilevanza risolutiva dell’errore in relazione alla sentenza inficiata dal ricorso straordinario.
Dunque in sede di vaglio preliminare di ammissibilità, la valutazione del rapporto tra errore percettivo e decisione dovrà necessariamente svilupparsi in senso prognostico, e perciò “sul piano dell’astratta idoneità del vizio a vulnerare la decisione impugnata”50.
In definitiva la Corte è chiamata a prendere atto che i motivi del ricorso straordinario sono ictu oculi privi di qualsiasi pregio, così da poter concludere che il ricorso stesso sia solamente apparente ed inidoneo a produrre la costituzione di una impugnazione.
1.4.3. La fase rescindente e rescissoria, e la decisione resa a seguito dell’udienza camerale.
Per quanto attiene al procedimento funzionale a valutare nel merito la sussistenza dell’errore, l’art. 625 bis c.p.p. richiama l’art. 127 c.p.p.: sul punto la disciplina dell’errore di fatto e dell’errore materiale sono identiche, è garantito il pieno contraddittorio delle parti all’udienza camerale.
Per quel che concerne la struttura del processo in caso di ricorso straordinario per errore di fatto, essa risulta abbastanza flessibile, infatti momento rescindente e momento rescissorio (momento di caducazione del provvedimento impugnato e successiva fase di emissione di un nuovo provvedimento che va a sostituire il primo) possono essere unificati, oppure separati (è l’orientamento anche delle Sezioni Unite): è quindi ipotizzabile un giudizio in cui l’udienza camerale prevista, possa legittimamente già concludersi con l’immediata pronuncia della nuova decisione.
Una volta conclusa la fase rescindente con il controllo penetrante della fondatezza del ricorso straordinario, per quanto riguarda la fase rescissoria è la stessa disposizione di legge a lasciare massima discrezionalità. Il quarto comma infatti dispone che, in caso di accoglimento della richiesta, vengano adottati i “provvedimenti necessari per correggere l’errore”.
È chiaro pertanto che il contenuto di tali provvedimenti varierà in base alla portata dell’errore percettivo individuato. Ad esempio, in caso venga travolta la declaratoria di inammissibilità di un pregresso ricorso in Cassazione, si determinerà la risoluzione del giudicato formatosi e si dovrà dare modo al condannato – che assumerà nuovamente la qualifica di imputato – di avere quel giudizio di legittimità che gli era stato precluso. Con riferimento a questa fattispecie, le due fasi rimarranno solitamente ben distinte, pur potendo anche svolgersi nel corso della medesima udienza51.
Quanto alla forma della decisione, non si pongono dubbi per il ricorso per errore di fatto: una volta concluso il vaglio preliminare e avviata l’udienza camerale, la decisione finale dovrà assumere necessariamente forma di sentenza.
Per la correzione dell’errore materiale invece, sebbene la giurisprudenza sembra propendere comunque per una sentenza, parte della dottrina sostiene la possibilità che la Corte si esprima con ordinanza – similmente a quanto avviene a valle del rimedio ex art. 130 c.p.p. –, trattandosi di una rettifica del provvedimento52.
Capitolo 2: La rettificazione dell’errore materiale
Sommario: 2.1. Natura e caratteristiche dell’errore materiale, alla luce anche del criterio definitorio di cui all’art. 130 c.p.p.; 2.2. La rilevabilità d’ufficio e la legittimazione al ricorso; 2.3. Interferenza tra ricorso straordinario per errore di fatto e rimedio correttivo di cui all’art. 130 c.p.p..
2.1. Natura e caratteristiche dell’errore materiale, alla luce anche del criterio definitorio di cui all’art. 130 c.p.p..
Già si è visto nel precedente capitolo come il ricorso per errore di fatto ed il ricorso per la correzione dell’errore materiale siano due rimedi assolutamente eterogenei. Il primo costituisce una impugnazione vera e propria, mentre il secondo ha natura strettamente correttiva, cioè non va ad incidere sulla sostanza del provvedimento inficiato dall’errore: l’eliminazione di quest’ultimo quindi non richiederebbe un nuovo giudizio.
Prova ne è il fatto che il rimedio è attivabile d’ufficio e senza alcun vincolo cronologico per la sua proposizione: due tratti caratterizzanti dai quali si deduce come l’istituto sia diretto a soddisfare tendenzialmente un interesse pubblico, e che non si pone in contrasto con esigenze di tutela del giudicato.
Più problematica, rispetto alla natura del ricorso per errore materiale, appare invece l’ambito di operatività della fattispecie in analisi.
Quanto alla definizione teorica dell’errore materiale sembra esservi un certo consenso: come già più sopra delineato, comunemente si ritiene che sia un errore che interviene soltanto nella formazione documentale, comportando un contrasto palese tra la volontà correttamente formatasi e la formula nella quale la stessa si estrinseca53.
Essendo nondimeno presente nel codice di procedura penale una disposizione generale che descrive gli elementi dell’errore materiale, sembra opportuno far riferimento ad essa: secondo l’art. 130 c.p.p. sono correggibili d’ufficio senza limiti di tempo quegli “errori od omissioni che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell’atto”.
Quanto all’assenza di nullità, tale limite sarebbe implicitamente desumibile dal fatto che le nullità vanno a costituire dei motivi di impugnazione; il requisito si risolverebbe quindi nella possibilità di correggere i soli provvedimenti affetti da mere irregolarità (per cui non occorre impugnazione ma solo una semplice rettifica). Secondo parte della dottrina parrebbe però preferibile, per individuare il discrimen del rimedio correttivo, far riferimento al fatto che l’errore è desumibile ictu oculi dal contesto del provvedimento (“materialità” dell’errore)54 e non tanto all’assenza di nullità: ciò perché alcuni vizi apparentemente causa di nullità, diventano irregolarità solo perché ricavabili direttamente dal documento e non frutto di volizione.
Il secondo criterio definitorio della modificazione non essenziale dell’atto, è probabilmente quello che ha creato maggiori problemi agli interpreti. Innanzitutto è opportuno rapportare l’oggetto del divieto all’atto materiale, cioè alla decisione, e non al supporto documentale.
Tra gli errori la cui eliminazione non implica una variazione essenziale della decisione, si possono annoverare sia quelli che non comportano alcuna modifica, sia quelli che provocano una modifica non essenziale. I primi corrispondono agli errori materiali in senso stretto, cioè quelli che “attengono alla redazione dell’atto”: è logico che un errore di scrittura non potrà mai condurre ad alterare il decisum. Per asserire la sussistenza di un tale errore, è necessario che sia “contestuale”, e perciò quando risulti ictu oculi dalla lettura complessiva dell’atto cha la volontà del giudice è stata solo “mal esplicitata nel supporto documentale”55. Si registra tuttavia una tendenza nella prassi ad allargare, rispetto ad alcuni tipi di errore materiale, il contesto di riferimento dato dallo stesso provvedimento: l’estensione del contesto, seppur non esclusa a priori, va valutata nel modo più rigoroso possibile, visto che il criterio della contestualità consente di distinguere l’errore materiale dall’errore di fatto56.
Per quanto attiene invece agli errori la cui rimozione postula sì un mutamento della decisione, ma non essenziale, è necessario che l’interprete stabilisca quale sia l’essenza dell’atto.
Ora, dal combinato disposto degli artt. 546, III comma, e 547 c.p.p., sembra si possa ritenere che la modifica non essenziale sia quella che riguardi gli elementi accidentali del dispositivo della sentenza: infatti il codice autorizza il giudice a correggere la sentenza il cui dispositivo sia incompleto in uno dei suoi elementi non essenziali; mentre commina la nullità nel caso di lacune tra gli elementi essenziali del dispositivo. Questi ultimi sarebbero costituiti dalla dichiarazione di assoluzione o proscioglimento, unitamente alla causa della stessa, oppure dalla dichiarazione di responsabilità con l’indicazione della pena.
L’art. 535, IV comma, c.p.p., inoltre, ammette la correzione ex art. 130 c.p.p. dell’omessa statuizione sulle spese57: sembrerebbe perciò assegnata natura non essenziale a questa pronuncia58. E, volendo dare a tale disposizione maggior rilievo, si potrebbero anche ricavare da essa i caratteri distintivi delle pronunce non essenziali in genere, da considerarsi non necessariamente cumulativi: obbligatoria consequenzialità della pronuncia rispetto alla decisione sul tema principale, e quindi assenza di una statuizione discrezionale del giudice59; estraneità rispetto al thema decidendum, cioè ai punti fondamentali del dispositivo summenzionati60.
Così opinando si potrebbe ammettere che l’errore sulla pronuncia accessoria sia correggibile tanto quando si concreta in un’omissione, tanto quando si concreta in una decisione erronea, purché non derivante da un errore di giudizio: ma l’errore non di giudizio da cui deriva l’ingiustizia della pronuncia potrebbe essere astrattamente riconducibile all’errore di fatto, che degrada però ad errore materiale se relativo ad una decisione accessoria.
In sintesi, sotto la locuzione “errore materiale” di cui all’art. 130 c.p.p., sarebbe compreso un insieme non omogeneo di errori: irregolarità, errori contestuali o materiali in senso stretto ed errori di fatto intervenuti in sentenze accessorie. Tale disposizione quindi si dovrebbe porre come generale all’interno del sistema dei rimedi rettificatori61, di cui fa parte anche l’art. 625 bis c.p.p..
Eppure la disciplina di cui all’art. 130 c.p.p. e quella di cui all’art. 625 bis c.p.p. non sono perfettamente sovrapponibili sotto alcuni aspetti, e da ciò nascono i problemi di coordinamento.
Innanzitutto l’art. 625 bis c.p.p. non ribadisce i limiti tradizionali dell’errore materiale (assenza di nullità e divieto di modifica essenziale), ed inoltre non richiama le omissioni.
Quanto al criterio dell’assenza di nullità, si ritiene essere ancora valido il meccanismo di degradazione ad irregolarità delle nullità formali delle decisioni della Suprema Corte; perciò non è scorretto il mancato richiamo.
Quanto al divieto di modifica essenziale, non si pongono dubbi in relazione all’errore materiale in senso stretto: quest’ultimo, come si è visto, non modifica per nulla la decisione, quindi a nulla rileverebbe la mancata menzione del divieto.
Invece per gli errori sulle pronunce accessorie, l’assenza del richiamo potrebbe essere interpretata come previsione di una più ampia portata operativa dell’art. 625 bis c.p.p., non limitata ad una correzione non comportante una modificazione essenziale della sentenza62. In realtà il divieto in oggetto si desume implicitamente dall’assenza di limiti temporali all’attivazione del rimedio rettificatorio: “ovvie esigenze di certezza impedirebbero di consentire la modifica sostanziale del provvedimento destinato a chiudere il processo, magari a distanza di anni dalla sua adozione”63.
Dunque la nozione di errore materiale di cui alla nuova norma sul ricorso straordinario, si può affermare essere corrispondente a quella tratteggiata dall’art. 130 c.p.p.; e se così è, anche l’assenza di un cenno alle omissioni, sarebbe assolutamente irrilevante64.
In ordine poi all’ambito di applicazione del rimedio, va rilevato che l’art. 625 bis c.p.p. – visto il riferimento al condannato – limita la proponibilità del ricorso alle decisioni della Cassazione che perfezionano il giudicato di condanna (vedi più ampiamente sul punto il prossimo capitolo). Perciò questo strumento correttivo sarebbe escluso per i provvedimenti emessi all’esito di procedimenti incidentali o per quelli che rendono irrevocabile una sentenza diversa dalla condanna. Tuttavia ciò sarebbe irragionevole, in quanto questa scelta restrittiva ha un senso solo se rapportata al ricorso per errore di fatto, che comporta la sostituzione del decisum, mentre il rimedio correttivo può solo comportare al massimo un cambiamento non essenziale del provvedimento.
Tutt’al più, si potrebbe comunque ammettere che, al di fuori delle ipotesi di rettificazione “speciale”, possa continuare a trovare applicazione la disposizione generale di cui all’art. 130 c.p.p.65.
2.2. La rilevabilità d’ufficio e la legittimazione al ricorso.
Il terzo comma dell’art. 625 bis c.p.p. riconosce al giudice di legittimità il potere di attivarsi d’ufficio senza limiti di tempo per la correzione del lapsus espressivo.
Il secondo comma, però, prescrive altresì che il ricorso possa essere presentato soltanto dal condannato o dal procuratore generale.
Nonostante non sia espressamente previsto, di norma la legittimazione soggettiva dovrebbe andare a costituire una condizione di ammissibilità (generale, rispetto a quelle specifiche individuate nel quarto comma), così da assumere carattere esclusivo.
Ebbene, la circostanza che il giudice possa rilevare anche d’ufficio l’errore materiale, non sembra essere compatibile con un vaglio preliminare di ammissibilità per quanto concerne il profilo della legittimazione soggettiva. In effetti, anche a voler dichiarare inammissibile un’istanza di rettifica non presentata dai soggetti di cui al secondo comma, la Corte stessa potrà pur sempre attivarsi in un secondo momento66.
Evidentemente il tipo di interesse sotteso trascende la sfera soggettiva delle parti, ed è questa la ragione dell’affidamento della sua tutela al giudice (che ha il potere ed il dovere di intervenire): in tal caso perciò, chiunque potrà rivolgersi alla Corte per sollecitarla.
Ciò può essere confermato dalla disposizione di cui all’art. 130 c.p.p., che attribuisce il potere di iniziativa in via principale direttamente al medesimo giudice che ha emesso il provvedimento, considerato l’interesse superindividuale di conformità del documento alla decisione, o di regolarità formale degli atti, oppure ancora di giustizia delle decisioni complementari (secondo l’orientamento summenzionato)67. E non paiono esservi ragioni perché le medesime considerazioni non valgano anche limitatamente all’art. 625 bis c.p.p., nonostante il potere della Corte sembri essere qualificato dal legislatore come meramente sussidiario.
In conclusione per l’errore materiale non sarebbe configurabile una vera e propria legitimatio ad causam e di conseguenza non sarà esperibile alcun vaglio di ammissibilità sul punto, pur dovendo in ogni caso sussistere un interesse ad impugnare in capo al ricorrente.
Un’ulteriore questione che si allaccia alla legittimazione ad agire attiene al fatto che il rimedio di cui all’art. 625 bis c.p.p. può operare – a norma del primo comma – solo “a favore del condannato”. Ci si potrebbe chiedere perciò se questa restrizione, rispetto alla correzione ex art. 130 c.p.p. (che non prevede alcuna limitazione in tal senso), operi come una condizione di ammissibilità della rettifica.
Ora, in dottrina è stato sostenuto che tale vincolo in realtà integrerebbe, per questa tipologia di errore, solo una “condizione apparente”: ciò perché “correggere una sentenza affetta da errore materiale non ha effetti né favorevoli né contrari al condannato” visto che il contenuto precettivo dell’atto rimarrebbe in ogni caso invariato68.
Non tutti concordano con l’accennato indirizzo, giacché altra parte della dottrina ritiene di poterlo condividere solo con riferimento alle irregolarità e agli errori materiali in senso stretto: trattasi infatti di errori in relazione ai quali non si può parlare di interesse di una parte a farli emergere. Invece, per gli errori di fatto su questioni complementari, il problema continuerebbe a porsi. Ad esempio, nel caso di omessa condanna alle spese ex art. 616 c.p.p., essendo l’integrazione sfavorevole al condannato, si dovrebbe escludere che financo la Cassazione possa applicare il rimedio ex art. 625 bis c.p.p. a tale ipotesi.
Questo esito, tuttavia, appare altrettanto irragionevole qualora si ritenga che possa sempre operare in via residuale il rimedio generale ex art. 130 c.p.p.69.
2.3. Interferenza tra ricorso straordinario per errore di fatto e rimedio correttivo di cui all’art. 130 c.p.p..
Una parte della giurisprudenza ha pensato che lo strumento correttivo di cui all’art. 130 c.p.p. potesse trovare applicazione anche agli errori di fatto in senso stretto, qualora non rientrino tra le ipotesi in cui possa funzionare in via diretta il rimedio di cui all’art. 625 bis c.p.p..
Si ritiene in sostanza che il rimedio correttivo generale possa avere una funzione di “supplenza” rispetto al ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, a prescindere dalla tipologia di errore lamentato.
In effetti, subito dopo l’entrata in vigore della legge n. 128/2001, si è fatto ricorso proprio all’art. 130 c.p.p. per correggere degli errori di fatto che, o erano relativi a decisioni precedenti l’avvento del ricorso straordinario70, oppure erano attinenti ad una sentenza della Cassazione non perfezionante un giudicato di condanna71.
Un simile orientamento, che riprende quello antecedente il 2001 in cui venivano forzati i limiti di cui all’art. 130 c.p.p., non può trovare accoglimento: avendo introdotto con l’art. 625 bis c.p.p. un’eccezione all’inoppugnabilità delle decisioni della Corte di Cassazione, non si può eludere la volontà legislativa riparando un errore di fatto al di fuori delle ipotesi previste.
Sul punto è intervenuta anche la sentenza delle Sezioni Unite n. 16103/2002, che ha chiarito che “il rigore e la coerenza dell’indirizzo limitativo dell’ambito di operatività dell’istituto della correzione degli errori materiali risultano tanto più giustificati” a maggior ragione oggi con l’introduzione dell’art. 625 bis c.p.p..
Eppure, nonostante in questa pronuncia si statuisca come ricorso straordinario per errore di fatto ed errore materiale vadano tenuti ben distinti, tuttavia tra i due istituti ben possono sussistere aree di sovrapposizione. Il riferimento va non solo all’errore di fatto che rende ingiusta una pronuncia complementare, ma anche all’error in computando che renda ingiusta la decisione della Cassazione: ciò può accadere ad esempio nel caso di una svista nel computo del tempo necessario alla prescrizione.
L’errore di calcolo è tradizionalmente concepito siccome rientrante nel genere dell’errore materiale. L’art. 391 bis c.p.c., in effetti, dispone la correzione della decisione della Cassazione “affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’art. 287”; l’art. 287 c.p.c. (in un certo senso la disposizione corrispondente all’art. 130 c.p.p. in ambito penale), prevede la correzione delle sentenze contro le quali non sia stato disposto appello e delle ordinanze non revocabili, da parte del medesimo giudice che le ha pronunciate, “qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo”. Deve trattarsi, in ogni caso, di un puro errore nell’operazione aritmetica basato su dati emergenti dallo stesso provvedimento, e non un errore di giudizio o derivante da assunzione di premesse non corrette.
Ora, un primo indirizzo interpretativo dopo l’introduzione dell’art. 625 bis c.p.p., ha qualificato come errore materiale quello commesso nel computo del termine prescrizionale: la sentenza n. 30751 del 24 giugno 2002 lo indica espressamente come “mero errore materiale di calcolo”, discendente da una svista aritmetica e non da un errore percettivo sul contenuto degli atti72.
Questo orientamento è stato oggetto di critica in quanto, in un’ipotesi come quella della citata sentenza in cui la Corte non annulla la condanna non ritenendo decorso il periodo di prescrizione (pur partendo da premesse corrette), l’eliminazione dell’errore postula necessariamente la modifica essenziale della decisione e del dispositivo. Dal momento che si tratta di sostituire la sentenza di rigetto del ricorso con una sentenza di annullamento senza rinvio (come richiesto dall’allora imputato), non sarebbe possibile applicare un rimedio correttivo, tramutandosi in tal caso l’errore di calcolo in errore di fatto73.
Dovremmo perciò essere in presenza di una vera e propria impugnazione, come recentemente confermato anche dalle Sezioni Unite (sentenza n. 37505/2011), che si sono piuttosto soffermate – come vedremo nel prossimo capitolo – sulla riconducibilità dell’errore sulla prescrizione all’errore di giudizio ovvero a quello di fatto percettivo.
Capitolo 3: Il ricorso straordinario per errore di fatto.
Sommario: 3.1. Natura ibrida del ricorso; 3.2. Ricostruzione dell’errore di fatto alla luce dell’art. 395 n. 4 c.p.c., come falsa percezione decisiva per la decisione della Corte; 3.2.1. Questione dell’omesso esame di un motivo di ricorso; 3.2.2. Omesso esame di questioni rilevabili d’ufficio; 3.2.2.1. La prescrizione intervenuta prima della sentenza della Cassazione sul ricorso ordinario; 3.2.2.2. Rilevabilità durante la fase rescissoria della prescrizione sopravvenuta dopo la pronuncia della Cassazione; 3.3. Legittimazione ad agire e favore del condannato come presupposto dell’azione stessa; 3.3.1. In ordine alla necessità della procura speciale per il difensore del condannato; 3.3.2. Il ricorso del condannato anche per le sole statuizioni civili risarcitorie in favore della parte civile; 3.4. L’ambito di applicazione del rimedio de quo. L’impugnabilità oggettiva; 3.4.1. Sul ricorso avente ad oggetto la sentenza di annullamento parziale con rinvio.
3.1. Natura ibrida del ricorso.
Già si è avuto modo di definire l’errore di fatto, nel primo capitolo, quale errore percettivo in cui è incorsa la Cassazione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità, e che inficia a monte in modo decisivo ed evidente il processo formativo della volontà della Corte: la decisione viziata da un simile errore risulta diversa da quella che il giudicante avrebbe assunto se non avesse ritenuto sussistente un fatto incontrastabilmente escluso, o inesistente un fatto la cui positiva esistenza emerge in realtà dagli atti.
Ne consegue che il rimedio necessario ad emendare l’errore, dovendo andare a contestare l’ingiustizia sostanziale della sentenza, ha natura di impugnazione in senso tecnico74, contrariamente alla richiesta di correzione dell’errore materiale.
A questo punto pare opportuno verificare se tale impugnazione abbia natura ordinaria o straordinaria. Questa distinzione non è mai stata recepita nel codice in modo espresso; pur tuttavia la dottrina ha da sempre ritenuto che il discrimen fra le due tipologie di rimedi stia soprattutto nel loro rapporto rispetto al giudicato: si dicono ordinarie le impugnazioni esperibili contro decisioni non ancora irrevocabili, impedendone così il passaggio in giudicato; sono straordinarie, invece, quelle volte ad attaccare pronunce che abbiano già acquisito stabilità75.
Perciò l’accertamento in ordine alla natura dell’impugnazione risulterebbe strettamente connesso all’individuazione del momento di formazione del giudicato formale.
Si è più sopra specificato a tal proposito che l’art. 648 c.p.p. non è mutato con la legge n. 128/2001: pur continuando a prevedere al primo comma che “sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione”, la seconda parte del secondo comma aggiunge che “se vi è stato ricorso per Cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso”.
In effetti l’opinione assolutamente maggioritaria ritiene che il ricorso straordinario per errore di fatto sia qualificabile come un’impugnazione straordinaria. Il mezzo rappresenta – a detta delle stesse Sezioni Unite – “una evidente eccezione ad uno dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale: quello della inoppugnabilità delle decisioni della Corte di Cassazione”76.
Inoltre sembrerebbe militare in tal senso, primo fra tutti, il nomen iuris di “ricorso straordinario”; in secondo luogo l’art. 625 bis c.p.p. si riferisce esplicitamente al condannato, sia per quanto attiene alla legittimazione sia per il carattere unilaterale dell’impugnazione (unicamente a favore del condannato): ciò lascia intendere che la decisione di legittimità oggetto dell’impugnazione debba aver definitivamente concluso il giudizio di cognizione e raggiunto le soglie del giudicato.
L’elemento però che più di altri farebbe propendere per il carattere straordinario dell’impugnazione, è rappresentato dall’esclusione dell’effetto sospensivo del ricorso, disposta dal secondo comma dell’art. 625 bis c.p.p. nell’ultima parte: “La presentazione del ricorso non sospende gli effetti del provvedimento, ma, nei casi di eccezionale gravità, la Corte provvede con ordinanza alla sospensione”. La norma si porrebbe in contrasto con quella prevista in generale per le impugnazioni all’art. 588 c.p.p., a mente del quale “Dal momento della pronuncia, durante i termini per impugnare e fino all’esito del giudizio di impugnazione, l’esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa, salvo che la legge disponga altrimenti”: non vi sarebbe spazio alcuno per impugnazioni ordinarie prive di effetto sospensivo giacché la presunzione di innocenza viene meno solo con la condanna definitiva, a cui solamente è possibile dare esecuzione77.
Pur tuttavia, se si guarda al quadro normativo complessivo della disposizione ex art. 625 bis c.p.p., la conclusione sopra delineata, potrebbe suscitare più di qualche perplessità. Innanzitutto viene in rilievo il fatto che la proposizione sia sottoposta al termine perentorio di 180 giorni dal deposito del provvedimento: normalmente i mezzi straordinari di impugnazione sono svincolati dall’osservanza di un termine, e sono proponibili in ogni tempo; la revisione infatti, a norma dell’art. 629 c.p.p., non soffre di limiti temporali.
Oltretutto l’errore correggibile con il ricorso straordinario sembrerebbe avere la medesima natura ontologica di quello che generalmente è posto a fondamento delle impugnazioni ordinarie: l’errore revocatorio di fatto, differenziandosi anche in questo dall’istituto della revisione, va a censurare un “difetto di formazione del processo cognitivo e volitivo del giudice” di legittimità. Il relativo giudizio si fonderà perciò sui medesimi elementi posti a fondamento della sentenza impugnata, non su un quid novi, ed andrà a colpire la sentenza di legittimità contra reum, non beninteso la cosa giudicata sostanziale78.
Inoltre, l’enunciazione della mancanza di sospensione degli effetti del provvedimento in seguito alla presentazione del ricorso potrebbe essere letta anche in un’ottica diversa rispetto a quella sopra riportata. Si è sottolineato infatti che, se non si vuole ritenere ridondante la previsione di cui al secondo comma, l’esplicita esclusione potrebbe significare che, in assenza della stessa, l’impugnazione sarebbe in grado di determinare l’effetto sospensivo di cui all’art. 588, comma 1, c.p.p.79. In effetti risulta evidente la differenza rispetto alla disciplina della revisione, in cui non vi è una regola sull’esclusione della sospensione del provvedimento, semplicemente disponendo l’art. 635 c.p.p. che l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza possa essere sospesa in qualunque momento dal giudice rescindente.
In definitiva, da un lato il ricorso per errore di fatto ex art. 625 bis c.p.p., visto il suo carattere di eccezione all’inoppugnabilità del giudicato, ben potrebbe essere definito un’impugnazione straordinaria. Dall’altro lato, la sussistenza di caratteristiche riconducibili alle impugnazioni ordinarie e le differenze tangibili rispetto alla revisione, non permetterebbero invece una qualificazione netta come rimedio extra ordinem. In accordo con parte della dottrina – sempre che non si voglia aderire comunque alla tesi della straordinarietà dell’istituto – si potrebbe perciò parlare di un ricorso di natura ibrida, oppure quanto meno di un’impugnazione non-ordinaria.
3.2. Ricostruzione dell’errore di fatto alla luce dell’art. 395 n. 4 c.p.c., come falsa percezione decisiva per la decisione della Corte.
La norma di cui all’art. 625 bis c.p.p., già si è avuto modo di specificarlo più volte, purtroppo presenta diverse lacune, che giurisprudenza e dottrina hanno tentato di colmare fin dall’introduzione del relativo rimedio. Forse la più evidente attiene alla definizione di errore di fatto, per qualificare il quale vi sono ben pochi appigli nella disposizione in esame.
La giurisprudenza fin dalle prime pronunce (si veda in particolare la sentenza delle sezioni Unite n. 16103/2002) ha inteso fare riferimento alla nozione di errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c.: in effetti l’errore di cui all’art. 625 bis c.p.c. parrebbe coincidere con l’errore di percezione, che si contrappone a quello di giudizio (o di valutazione); parimenti, la formula che troviamo nel codice di procedura civile tende a separare il vero e proprio errore di fatto – rimediabile tramite revocazione –, rispetto a quello di apprezzamento del fatto medesimo – che può costituire invece motivo di ricorso in Cassazione.
D’altro canto, visto che ci troviamo di fronte ad una impugnazione che mette in discussione lo stesso giudicato, è ragionevole ritenere che l’unica eccezione plausibile all’inoppugnabilità dei provvedimenti della Cassazione possa essere costituita dalla correzione dell’errore percettivo: se così non fosse, il ricorso straordinario si trasformerebbe in un quarto grado di giudizio, sacrificando l’ineludibile necessità di porre fine al processo.
L’errore revocatorio è una fattispecie complessa e la disposizione di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c. consta di due periodi: il primo stabilisce che è ammesso il rimedio qualora la sentenza sia “l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa”; il secondo invece definisce l’errore di fatto prevedendo che “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
Il primo periodo pone una doppia condizione di rilevanza del vizio: l’impugnazione è possibile solo se tale errore è legato da un nesso causale alla sentenza e se esso risulta dagli atti o documenti di causa. Questo secondo requisito in realtà sembra discendere dalla stessa definizione di errore di fatto, come falsata percezione, che necessariamente sarà riferita a tutto il materiale a disposizione della Cassazione ai fini della decisione80.
Vi è invece sostanziale unanimità in giurisprudenza nel richiedere che il vizio sia essenziale e decisivo: deve sussistere un nesso tra percezione erronea e decisione, tale per cui il provvedimento sarebbe stato diverso senza quel vizio, che si colloca a monte del ragionamento del giudice inficiandolo. Eppure non sarebbe sufficiente che l’errore abbia in qualunque modo influito sul contenuto della decisione, in quanto sembrerebbe necessaria che la decisione sia anche in giusta o invalida.
L’errore di fatto potrebbe così essere visto come la somma tra un errore protocollare e l’invalidità o ingiustizia del provvedimento.
L’errore protocollare è quello che viene definito errore revocatorio, e che sussisterebbe quando la premessa ultima di un discorso coincide con una proposizione che risulta incontrovertibilmente falsa “sulla scorta di un confronto con la realtà cartolare”. Da tale asserzione si ricava l’ulteriore corollario per cui l’errore deve presentare un carattere di assoluta immediatezza, senza che siano necessarie a rilevarlo particolari argomentazioni induttive e indagini ermeneutiche81.
Quanto all’invalidità o ingiustizia del provvedimento, la prima si determinerebbe in caso di vizio di costruzione della decisione, la seconda in caso di vizio di contenuto, comunque determinati da errore protocollare. Dal momento che il ricorso straordinario si pone come eccezione al canone di intangibilità del giudicato, il rimedio – per mantenere un bilanciamento dei diversi valori costituzionali in gioco – dovrebbe sostanzialmente essere circoscritto a quelle ipotesi in cui il vizio si concreti nella lesione del diritto al sindacato di legittimità o del diritto di difesa, oppure nell’ingiustizia sostanziale della decisione sul merito.
3.2.1. Questione dell’omesso esame di un motivo di ricorso.
Il ricorso per omesso esame di un motivo di ricorso rappresenta uno dei momenti in cui è stato possibile apprezzare la differenza tra errore materiale ed errore di valutazione. Il problema sorge dalla qualificazione di errore di fatto quale errore di natura essenzialmente percettiva, in accordo per l’appunto con la definizione di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c., che per alcuni non poteva assolutamente attagliarsi alla censura sull’omesso esame di un motivo di ricorso82.
È stato necessario l’intervento sul punto delle Sezioni Unite, sviluppatosi proprio da un caso di omessa considerazione – nel corso del giudizio di legittimità – di uno dei motivi di ricorso proposti dalla difesa.
Due gli orientamenti a confronto: il primo riconosceva nell’omissione un errore di fatto di natura percettiva emendabile ex art. 625 bis c.p.p., in quanto la proposizione del motivo di ricorso non sarebbe stata rilevata; il secondo qualificava la mancanza come un difetto di motivazione, una lacuna motivazionale che non poteva essere sottoposta a censura dal momento che riguardava una decisione della Suprema Corte.
Innanzitutto le Sezioni Unite sottolineano come la mancanza della presa in considerazione di un motivo di ricorso non causa un errore di fatto, né una incompletezza nella motivazione, qualora la censura “debba considerarsi implicitamente disattesa” (incompatibilità rispetto alla motivazione, alla ratio decidendi) oppure la Corte abbia ritenuto tale censura assorbita in seguito all’esame di un altro motivo addotto.
È configurabile invece un errore di fatto quando l’omesso esame del motivo “sia dipeso da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura, la cui presenza, viceversa, sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso”83.
La sentenza prosegue precisando che la svista deve essere in ogni caso determinante ai fini della decisione: quindi bisogna accertare che il processo avrebbe avuto esito diverso, nel caso si fosse esaminato quel motivo di ricorso per mero equivoco non preso in considerazione dal collegio.
Secondo le Sezioni Unite non è quindi sufficiente la sussistenza di un nesso eziologico tra il presupposto erroneo ed il difetto di motivazione: per poter annullare la pronuncia ex art. 625 bis c.p.p., dovrebbe altresì sussistere un medesimo nesso eziologico anche tra la svista ed il contenuto della decisione; e un simile legame evidentemente manca laddove i motivi non rilevati siano infondati, inconferenti o non dedotti con l’appello84.
L’errore insomma deve essere decisivo, non bastando l’identificazione di un errore di fatto a giustificare l’accoglimento di un ricorso straordinario: esso deve aver avuto una reale influenza sull’esito del processo ed una incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento; ciò anche per evidenti ragioni di economia processuale, per cui non avrebbe senso – in ipotesi di mancato esame di un motivo infondato – rescindere una decisione per sostituirla con una di identico contenuto85.
3.2.2. Omesso esame di questioni rilevabili d’ufficio.
È opportuno non trascurare l’ipotesi in cui la contraddittorietà, tra quanto documentato negli atti di causa e le proposizioni assunte come base argomentativa della decisione, derivi da una attività cognitiva che la Cassazione pone in essere nell’esercizio dei suoi poteri d’ufficio, e non da una espressa sollecitazione in tal senso da parte dei ricorrenti.
Viene in rilievo in particolare l’art. 129 c.p.p., I comma, a norma del quale “In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza”.
Per quanto riguarda il giudizio in Cassazione, spesso la Corte si troverà a valutare l’estinzione del reato per prescrizione e, qualora vi siano elementi che permettano di considerare ormai spirato il relativo termine, sarà suo dovere dichiararla.
In questi casi però è complesso capire se la Cassazione sia incorsa in un errore di fatto piuttosto che in un errore di diritto, giacché è molto più probabile che la Corte escluda implicitamente l’operare di una causa di estinzione senza previamente fare alcun riferimento alle evidenze documentali86. La valutazione sulla sussistenza dell’errore risulta più agevole invece sulle questioni che nascono da esplicite doglianze portate dal ricorrente di fronte alla Cassazione.
3.2.2.1. La prescrizione intervenuta prima della sentenza della Cassazione sul ricorso ordinario
Indubbiamente la causa estintiva che maggiormente viene in rilievo è la prescrizione del reato. Ci si è posti il problema, fin dall’introduzione del ricorso ex art. 625 bis c.p.p., della natura del vizio che deriva dalla mancata rilevazione da parte della Corte di Cassazione adita con ricorso ordinario della maturata prescrizione del reato; cioè se la fattispecie sia inquadrabile nell’errore di fatto per cui sia possibile proporre il ricorso straordinario87.
Dopo un cospicuo dibattito giurisprudenziale, è intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite n. 37505/2011, che ha infine chiarito come non si possa escludere in radice la configurabilità di un errore di fatto sulla prescrizione.
Nel solco tracciato dalle sentenze delle Sezioni Unite del 2002 che hanno disegnato i confini dell’errore di fatto ex art. 625 bis c.p.p., si erano creati due indirizzi in ordine all’errore sull’accertamento dell’intervenuta prescrizione88. Il primo – più restrittivo – negava che la mancata rilevazione della prescrizione del reato in sede di legittimità fosse riconducibile alla nozione di errore di fatto generalmente accolta89: l’individuazione del momento di maturazione della prescrizione veniva in ogni caso ricollegata ad una attività di contenuto valutativo del giudice.
Le Sezioni Unite accolgono invece un secondo filone giurisprudenziale, più aderente all’impostazione propria delle Sezioni Unite del 2002: in sostanza nella sentenza si afferma come non si possa escludere a priori la configurabilità e la rilevanza dell’errore di fatto sulla prescrizione, “purché la statuizione sul punto sia l’effetto esclusivo dell’errore percettivo causato da una svista o da un equivoco, in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata in mancanza dell’errore”. Pur tuttavia, qualora sia necessaria un’analisi degli eventi dai quali potersi desumere la presenza di cause di sospensione o di interruzione, sarebbe al più configurabile un errore valutativo, non suscettibile di emenda90.
Perciò la riconducibilità o meno all’errore di fatto della mancata rilevazione della prescrizione, in buona sostanza richiederà di verificare se nel caso di specie le statuizioni sulla maturazione del relativo termine siano frutto di un errore commesso nel corso della relativa valutazione, oppure se siano frutto di una errata percezione a monte dei dati processuali di cui agli atti di causa91.
3.2.2.2. Rilevabilità durante la fase rescissoria della prescrizione sopravvenuta dopo la pronuncia della Cassazione.
A questo punto si tratterebbe di capire se la Corte debba tener conto delle cause di estinzione del reato nel frattempo verificatesi, come anche dello ius superveniens di natura sostanziale, e perciò riconoscendo l’operatività delle leggi posteriori che abbiano operato una abolitio criminis, e di quelle sopravvenute più favorevoli all’imputato.
Chi propende per una risposta positiva di solito rileva che, comportando l’accoglimento del ricorso per errore di fatto (fase rescindente) la rimozione del preesistente provvedimento viziato, il condannato riacquisterebbe la posizione di imputato ed il processo verrebbe ripristinato nello status quo ante.
La questione principalmente attiene alla possibilità di computare, nel calcolo del tempo della prescrizione del reato, anche l’intero periodo intercorso tra la pronuncia viziata da errore e la proposizione del ricorso straordinario (qualora l’originario ricorso in Cassazione non sia in realtà da dichiarare inammissibile).
Parte della giurisprudenza e della dottrina sembrano ammettere che sia pacificamente computabile anche il tempo trascorso tra la sentenza della Cassazione inficiata da errore di fatto ed il momento in cui il procedimento riapre.
Si fa riferimento ai particolari effetti che discenderebbero dall’accoglimento del ricorso straordinario, dal quale deriverebbe “una sorta di ritorno al passato”, a prima che si determinasse l’errore di fatto. Dal momento che il nuovo giudizio viene visto alla stregua di una continuazione del precedente processo in Cassazione, tutte le sopravvenute cause di estinzione del reato potranno e dovranno essere dichiarate dal giudice92.
Anche nella sentenza della Cassazione, sezione IV, n. 7660/2006 viene rilevata la prescrizione sopravvenuta, dichiarando così estinto il reato, ma ciò avviene senza alcuna motivazione, dando quindi il tutto per scontato. L’oggetto della causa atteneva all’omissione dell’avviso al difensore dell’imputato della data dell’udienza di trattazione in Cassazione; omissione di cui non si accorgeva la Corte che rigettava il ricorso null’altro rilevando, confermando in tal modo la condanna della Corte d’appello: proponeva allora ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. il condannato a mezzo del suo difensore non munito peraltro di procura speciale.
La Corte prima di tutto incredibilmente inquadra la svista nell’errore materiale, nonostante essa sia potenzialmente in grado – una volta emendato il vizio – di causare una modifica dell’esito del giudizio: sembra si possa invero affermare si tratti di un errore di fatto, lesivo del diritto dell’imputato ad ottenere un concreto sindacato di legittimità93. Di conseguenza ritiene poi ammissibile il ricorso sottoscritto dal difensore anche se non munito di procura speciale, in parallelo con la disciplina di cui all’art. 130 c.p.p..
Nella fase più propriamente rescissoria la Cassazione, subito dopo aver revocato la sentenza viziata, annulla senza rinvio la pronuncia della Corte d’appello, semplicemente rilevando che nella more tra la prima decisione del giudice di legittimità e la proposizione del ricorso, era nel frattempo maturato il termine di prescrizione del reato. La Corte risolve la questione, come già accennato, senza fare particolari sforzi per motivare la scelta adottata94; pur tuttavia pare corretto avanzare qualche rilievo critico.
In effetti, una volta che ci si avveda della sussistenza dell’error in procedendo commesso dalla Corte di legittimità per un equivoco nella percezione, l’oggetto del giudizio nella fase rescissoria dovrebbe attenere all’eventuale diversità del risultato della pronuncia qualora fossero state rispettate tutte le norme procedimentali: la Cassazione avrà sì autonomia valutativa e pieni poteri decisori, ma dovrebbe porsi come se fosse il primo giudice di legittimità e così cercare di compiere “una valutazione dell’originario ricorso ora per allora”95. Interpretato in tal modo il requisito della decisività dell’errore, ne consegue che nella valutazione della prescrizione non si dovrebbe tener conto del tempo sopravvenuto rispetto alla sentenza viziata, sul cui contenuto per forza di cose il periodo intercorso tra la stessa e l’introdotto rimedio straordinario non può aver minimamente influito.
Anche effettuando una interpretazione sistematica, gli indici sembrano abbracciare un orientamento diverso da quello prescelto dai giudici nella sentenza in esame. Nel caso di instaurazione di un nuovo giudizio in seguito a richiesta di revisione – l’altra impugnazione straordinaria – non ha alcun rilievo il sopravvenuto decorso del tempo, ai fini di un eventuale esito liberatorio: l’art. 629 c.p.p., col consentire la revisione dei provvedimenti divenuti irrevocabili “anche se la pena […] è estinta”, di fatto esclude ab origine che si possa tener conto del tempo decorrente dal momento in cui la condanna passa in giudicato; con la pronuncia della Corte di Cassazione inizia infatti a decorrere il secondo e diverso termine relativo all’estinzione della pena.
Inoltre vi è chi sottolinea come l’art. 159 c.p., riferendosi al procedimento penale pendente, non consentirebbe di ritenere che possa decorrere un termine di prescrizione del reato qualora il procedimento non sia più in corso essendo ormai intervenuta una sentenza irrevocabile della Corte suprema96.
Tutto ciò considerato, parrebbe forse più coerente con il sistema che non si tenga conto, ai fini della prescrizione, del tempo che intercorre tra la decisione viziata della Cassazione e la proposizione del ricorso straordinario.
3.3. Legittimazione ad agire e favore del condannato come presupposto dell’azione stessa.
Contrariamente a quanto previsto limitatamente all’errore materiale, la legittimazione ad agire per far valere l’errore di fatto spetta ex lege soltanto al procuratore generale o al condannato: il rimedio quindi non può essere attivato d’ufficio97, e tanto meno dalle altre parti private.
Inoltre esso si presenta quale mezzo “a senso unico”: può essere infatti rivolto unicamente “a favore del condannato”, andando così a costituire tale requisito un ulteriore presupposto di ammissibilità del ricorso98.
Il doppio riferimento al condannato ha, fin dalle prime interpretazioni (si veda anche la sentenza delle Sezioni Unite n. 16103/2002), assunto il significato di rendere impugnabile esclusivamente la decisione della Cassazione che renda definitiva una sentenza di condanna (vedi più ampiamente sul punto i paragrafi sull’impugnabilità oggettiva)99.
Questa soluzione così restrittiva – tra l’altro sotto due punti di vista – ha fin da subito suscitato perplessità e dubbi sulla compatibilità rispetto alla Costituzione: l’errore in realtà, nella sua valenza oggettiva, sembrerebbe danneggiare “chiunque partecipi al processo”, e per questo dovrebbe “poter essere rimosso a vantaggio di qualunque parte”. Inoltre risulterebbe incomprensibile anche la circostanza che all’imputato, prosciolto per mezzo di un provvedimento viziato da un errore di fatto, sia preclusa la possibilità di ottenere eventualmente una formula di proscioglimento più ampia100.
Recentemente è stata dedotta (nuovamente) una questione di legittimità costituzionale relativamente all’art. 625 bis c.p.p., commi 1 e 2, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., “nella parte in cui la norma impugnata esclude la legittimazione della parte civile a proporre ricorso straordinario e nella parte in cui esclude, del pari, la legittimazione a ricorrere del Procuratore Generale, anche su istanza di parte, allorché sia deducibile un interesse facente capo ad una parte processuale diversa dall’imputato condannato”.
La questione, dedotta dal ricorrente ex art. 625 bis c.p.p. quale parte civile, viene però dalla Cassazione ritenuta manifestamente infondata, basando la propria motivazione su precedenti conformi pronunce: in sostanza la preclusione della parte civile sarebbe legittima in quanto “il titolare di una situazione giuridica di natura civilistica ha la facoltà di ricorrere alla tutela giurisdizionale senza necessità di intervento nel processo penale”; inoltre la disposizione non potrebbe subire una interpretazione estensiva stante il suo carattere eccezionale, e non sarebbe in contrasto col principio di uguaglianza, vista la straordinarietà del mezzo incidente sulla nozione di giudicato101.
3.3.1. In ordine alla necessità della procura speciale per il difensore del condannato.
L’art. 625 bis c.p.p., al secondo comma, non fa menzione del difensore, tra i legittimati ad agire, accanto al condannato. Questa omissione avrebbe un carattere decisivo secondo i giudici di legittimità in quanto, da un lato la norma in questione ha carattere straordinario ed è quindi di stretta interpretazione; dall’altro non potrebbe operare la norma di carattere generale di cui all’art. 571, comma 3, c.p.p., la quale attribuisce al difensore dell’imputato – che sia tale al momento del deposito del provvedimento, oppure nominato allo specifico fine – la possibilità di impugnare. Sembrerebbe dunque che il ricorso per errore di fatto sia un atto personalissimo, devoluto al solo condannato.
Si è però ammessa la possibilità per il condannato di attribuire al proprio difensore il potere di proporre ricorso, mediante il rilascio di una procura speciale, analogamente a quanto dispone per la revisione l’art. 633, comma 1, c.p.p.: questo assunto sembra peraltro essere unanimemente condiviso dalla giurisprudenza102.
In realtà l’affermazione avrebbe bisogno di essere maggiormente argomentata. Infatti il testo della norma non nomina affatto il procuratore speciale; eppure una previsione espressa in tal senso potrebbe sembrare necessaria alla luce dell’art. 122 c.p.p., secondo il quale parrebbe possibile per le parti farsi rappresentare soltanto “quando la legge consente che un atto sia compiuto per mezzo di un procuratore speciale”. Il problema è che la disciplina sul punto si presenta alquanto lacunosa, se solo si pensa che il codice in altre parti prevede espressamente che un atto possa essere compiuto “personalmente o a mezzo di procuratore speciale” quando vuole riservarlo al soggetto interessato ed escludere l’autonoma legittimazione del difensore103.
Si potrebbe pensare di estendere, anche per il ricorso straordinario, la scelta operata all’art. 633 c.p.p. per la revisione, che può essere richiesta personalmente o per mezzo di un procuratore speciale: questa sembra la via implicitamente adottata dalla giurisprudenza di legittimità. In effetti già le Sezioni Unite nella sentenza n. 16103/2002 hanno specificato come la scelta del legislatore in punto di legittimazione attiva sia chiaramente ispirata al modello della revisione. Inoltre i due rimedi condividono la caratteristica di essere due impugnazioni – almeno formalmente – straordinarie: la regola sembrerebbe essere quella per cui al difensore della fase di cognizione è preclusa la possibilità di perpetuare le sue funzioni oltre i limiti del passaggio in giudicato; venendo meno il rapporto fiduciario tra condannato ed avvocato che lo ha assistito, non sarebbe possibile applicare la regola di cui all’art. 571, comma 3, c.p.p..
Invero in dottrina vi è chi non concorda con tale impostazione, e ritiene applicabile la disposizione da ultimo citata, che prevede l’autonoma legittimazione all’esercizio dell’impugnazione da parte del difensore (anche non munito di procura speciale). Ciò viene motivato basandosi sul fatto che il ricorso straordinario assomiglierebbe per molti aspetti alle impugnazioni ordinarie più che a quelle straordinarie: esso infatti deve essere proposto entro un termine di 180 giorni e risponde ad una logica di “critica della decisione”, più che di rinnovamento del processo. Di conseguenza il condannato si porrebbe, in relazione alla possibilità di esperire il ricorso di cui all’art. 625 bis c.p.p., nella stessa condizione di chi è ancora imputato e può ancora impugnare in via ordinaria: si sottolinea che in questa circostanza in realtà ben potrebbe permanere il rapporto fiduciario tra avvocato e condannato, eventualmente immaginando una sorta di prorogatio del difensore, in considerazione del lasso di tempo determinato entro cui può essere attivato il rimedio104.
3.3.2. Il ricorso del condannato anche per le sole statuizioni civili risarcitorie in favore della parte civile.
Già non molto tempo dopo l’introduzione del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., era sorto un contrasto intorno all’inquadramento dei soggetti legittimati a proporre il ricorso stesso: in particolare ci si chiedeva se fosse ammissibile la proposizione del ricorso straordinario per errore di fatto da parte del soggetto nei confronti del quale risultino confermate le sole statuizioni civili di condanna.
La sentenza delle Sezioni Unite n. 16103/2002 sembrava accogliere un orientamento restrittivo in base al quale sarebbe stato legittimato il solo condannato ad una sanzione penale, in parallelo con l’affermazione per cui oggetto del ricorso potevano essere le sole sentenze di condanna per l’appunto ad una sanzione penale.
A questo orientamento se ne contrapponeva un secondo, che invece prevedeva la possibilità di proporre ricorso sia avverso le sentenze di condanna penale sia contro quelle di condanna ai soli effetti civili.
In tali pronunce favorevoli all’estensione105 si rilevava innanzitutto come il termine “condannato” fosse giuridicamente e semanticamente riferibile sia alle decisioni sull’azione penale sia a quelle in ordine all’azione civile: tale lettura sembrava ammissibile alla luce anche del fatto che l’art. 625 bis c.p.p. non fornisce alcun elemento idoneo a restringere il significato dell’espressione.
Il giudice penale, peraltro, emette non solo pronunce sulla responsabilità penale ma altresì su quella civile, qualora vi sia un esercizio della relativa azione in sede penale. Dal momento che il soccombente rispetto all’azione risarcitoria esercitata nella sede che le è propria, può far valere l’errore di fatto sulla base dell’art. 395 n. 4 c.p.c., sembrerebbe irragionevole precludere la medesima possibilità a chi risulti soccombente rispetto all’azione del danneggiato proposta in sede penale.
Le sentenze che invece aderivano ad un orientamento negativo, escludendo la legittimazione attiva del condannato ai soli effetti civili, facevano leva soprattutto sul carattere tassativo del ricorso straordinario, la cui definizione normativa non sarebbe di conseguenza suscettibile di applicazione analogica: l’interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 625 bis c.p.p. suggerirebbe, si era osservato, che tale ricorso sia esperibile soltanto avverso pronunce della Cassazione che rendano incontrovertibile l’accertamento dei presupposti della potestà punitiva statale in termini di condanna ad una sanzione penale106.
A comporre il contrasto è intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite n. 28719 del 21/06/2012, nella quale si enuncia il principio di diritto secondo cui “è legittimato alla proposizione del ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. il condannato al solo risarcimento dei danni in favore della parte civile che prospetti un errore di fatto nella decisione della Corte di Cassazione relativa a tale capo”.
Le Sezioni Unite aderiscono perciò totalmente all’indirizzo positivo e nella motivazione viene spiegato come esso risulti maggiormente rispondente ai principi costituzionali. Nella pronuncia della Corte Costituzionale n. 395/2000 si sottolineava infatti come l’impossibilità di far valere un errore di fatto commesso dalla Cassazione nella lettura degli atti interni al giudizio, si ponesse in aperto contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.: quest’ultimo nello specifico garantisce il concreto diritto a fruire del processo in Cassazione107. Il fatto che i medesimi valori e principi di primaria rilevanza, siano stati più volte ribaditi anche in ambito civile, sarebbe la dimostrazione che gli stessi debbono porsi a presidio dell’effettività del giudizio di legittimità, a prescindere dalla sede penale o civile.
Inoltre il collegio precisa che l’imputato chiamato a resistere anche all’azione civile subisce la scelta del danneggiato di richiedere il risarcimento in sede penale invece che nella apposita sede civile: di conseguenza non sarebbe possibile far dipendere dalla mera scelta delle sede in cui esercitare l’azione di danno, la possibilità per il condannato per il solo capo civile (e prosciolto sul capo penale) di far emendare eventualmente l’errore di fatto compiuto dalla Cassazione108.
Nel caso di specie le Sezioni Unite revocavano infine la sentenza limitatamente alla conferma delle statuizioni civili, così eliminandole: la Corte di Cassazione investita del ricorso ordinario non si era infatti avveduta che il reato si era già prescritto ancora prima della sentenza di primo grado, precludendo in tal modo l’applicazione dell’art. 578 c.p.p. in appello, che consente al giudice dell’impugnazione di decidere sugli effetti civili pur dichiarando l’estinzione del reato.
3.4. L’ambito di applicazione del rimedio de quo. L’impugnabilità oggettiva.
Si affronta ora il tema dell’individuazione dei provvedimenti contro i quali è ammesso il ricorso straordinario. Già si è detto della natura di tale rimedio, volto a censurare quelle pronunce che abbiano acquisito il massimo grado di stabilità.
Questo requisito necessita però di un chiarimento, giacché qui non vengono in rilievo le sentenze di merito in cui vi è perfetta coincidenza tra giudicato formale e sostanziale (l’incontrovertibilità dell’accertamento si fonda sull’immodificabilità dello stesso): in base alla lettera della norma, il ricorso straordinario ha di mira le sentenze di legittimità contra reum; esso quindi non tende all’annullamento di una sentenza di merito definitiva, come invece la revisione109.
Le decisioni della Cassazione hanno nella maggior parte dei casi carattere rescindente, quindi si potrebbe sostenere che passino solo in giudicato formale; inoltre esse nascono comunque immutabili: si potrebbe pensare di conseguenza ad un rimedio rivolto sì contro un provvedimento immutabile, ma non idoneo a fondare un giudicato in senso materiale. In sede civile in effetti, la revocazione ex art. 391 bis c.p.c. può essere chiesta in ogni caso dalla “parte interessata”, e dunque finanche contro sentenze od ordinanze meramente interlocutorie o incidentali.
L’art. 625 bis c.p.p. invece stabilisce che l’impugnazione può operare soltanto “a favore del condannato”, ed inoltre essere attivata dal condannato stesso o dal procuratore generale. Questo duplice richiamo al condannato va ad assumere il significato di rendere impugnabile unicamente le decisioni della Cassazione che rendano incontrovertibile l’accertamento del dovere di punire, cioè quelle che perfezionano la fattispecie giuridica complessa del giudicato: si afferma dunque che in ambito penale “il rimedio agli errori di fatto della Cassazione è stato configurato come un mezzo straordinario in senso stretto”110, sul modello della revisione, proprio per il nesso comunque sussistente rispetto al giudicato sostanziale. Consegue, come corollario alla scelta di limitare il ricorso alle sole decisioni determinanti il passaggio in giudicato delle sentenze o del decreto penale di condanna, che la sentenza irrevocabile di assoluzione deve ritenersi del tutto intangibile.
Ora, le pronunce idonee a determinare il passaggio in giudicato della sentenza di condanna sono indubbiamente quelle negative di inammissibilità o di rigetto, quelle di annullamento senza rinvio, oppure quelle di riforma, con cui la Cassazione modifica direttamente le singole statuizioni del provvedimento impugnato; sorgono pur tuttavia dei dubbi quanto ad altre ipotesi, tra cui quella di annullamento con rinvio o di annullamento parziale, che vedremo nel prossimo paragrafo.
Quanto alle pronunce della Cassazione da ritenersi inattaccabili dal ricorso straordinario, dovrebbe trattarsi di provvedimenti che determinano non il sorgere del giudicato, bensì una semplice preclusione: vengono in rilievo soprattutto quelli resi nell’ambito di procedimenti incidentali, o di esecuzione, oppure ancora di sorveglianza111.
Invero, inizialmente era stata accolta un’interpretazione estensiva per cui rientravano nel campo di applicazione della norma ex art. 625 bis c.p.p. anche le decisioni su procedimenti incidentali, quale quella su ricorsi in materia di misure cautelari. L’intervento delle Sezioni Unite nel 2002 ha però confutato tale orientamento, disponendo che “oggetto del ricorso straordinario possono essere soltanto le sentenze di condanna e che l’estensione a decisioni emesse all’interno di procedimenti incidentali trova insuperabile preclusione nel divieto dell’interpretazione analogica”112.
Eppure tale esclusione dell’applicabilità alle decisioni della Cassazione emesse in procedimenti de libertate, o in generale su questioni incidentali, ha fatto sorgere più di un dubbio, sulla scorta del rilievo per cui “situazioni identiche a quelle che contraddistinguono le sentenze di condanna, possono riguardare anche i provvedimenti emessi nei procedimenti de libertate ed in generale quelli emessi all’esito di procedimenti incidentali”113.
Recentemente è stata in proposito sollevata una questione di legittimità costituzionale, da parte della Cassazione (con ordinanza del 15 ottobre 2013), dell’art. 625 bis c.p.p., commi 1 e 2, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, comma 1 (in relazione all’art. 6 CEDU), Cost. “nella parte in cui non consente alla persona indagata di attivare la procedura di correzione dell’errore materiale o di fatto commesso dalla Corte Suprema di Cassazione nel procedimento de libertate”. In effetti nel caso di specie l’indagato si era visto sostituire dal G.i.p. la misura della custodia domiciliare con quella della custodia cautelare in carcere; il Tribunale confermava la decisione e anche l’impugnazione veniva respinta dalla Corte di Cassazione. Il decreto di citazione di fronte alla Suprema Corte però non veniva inviato al difensore dell’indagato, il quale subiva una evidente menomazione delle garanzie processuali. Per questo motivo veniva presentato ricorso, due volte ex art. 625 bis c.p.p., e una volta anche ex art. 130 c.p.p., nel corso di uno dei quali veniva deliberata l’ordinanza di rimessione alla Consulta.
Con l’ordinanza n. 184/2014, la Corte Costituzionale dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in ciò costretta più che altro dalle non poche lacune motivazionali dell’ordinanza introduttiva. Pur tuttavia non sembra si debba necessariamente escludere a priori che l’oggetto del ricorso straordinario possano essere anche i provvedimenti cautelari: infatti il soggetto sottoposto a misura cautelare sarebbe impossibilitato a far valere quegli stessi errori materiali o di fatto che viziano le sentenze di condanna definitive, “pur incidendo le relative pronunce su situazioni nella sostanza analoghe o comunque equiparabili”114.
3.4.1. Sul ricorso avente ad oggetto la sentenza di annullamento parziale con rinvio.
Come si è visto, dalla scelta di far operare il rimedio straordinario soltanto a favore del condannato, sarebbe ricavabile la regola per cui con il ricorso per errore di fatto possono essere impugnate solo le pronunce della Cassazione che rendono irrevocabile la sentenza di condanna.
Una questione sulla quale dottrina e giurisprudenza si sono lungamente interrogate – quanto meno fino a che di recente non sono intervenute le Sezioni Unite – attiene alla possibilità di rilevare con il rimedio ex art. 625 bis c.p.p. l’errore contenuto in una sentenza di annullamento (totale) con rinvio e di annullamento parziale con o senza rinvio. Il problema ruota attorno, come è facilmente intuibile, alla determinazione del momento in cui insorge lo status di condannato, e in cui quindi possa dirsi intervenuto il passaggio in giudicato della statuizione di condanna.
Fin dall’introduzione dell’art. 625 bis nel codice di procedura penale parte della dottrina esprimeva perplessità in ordine alla mancata previsione di applicabilità in generale dell’errore revocatorio alle sentenze di annullamento con rinvio. In effetti, qualora il ricorso ordinario in Cassazione venga accolto, esso non contiene alcuna statuizione di condanna, bensì rinvia al giudice di merito affinché emetta una nuova pronuncia che tenga luogo di quella annullata: di conseguenza non sarebbe possibile esperire il ricorso straordinario, che dovrebbe avere ad oggetto dei provvedimenti che rendono definitiva una condanna115.
Ciò non toglie, tuttavia, che una sentenza di annullamento con rinvio non possa essere inficiata da errore di fatto causato da una svista e rilevabile ictu oculi: le conseguenze in tal caso non parrebbero essere dissimili da quelle riscontrabili in caso di provvedimenti determinanti l’immediato passaggio in giudicato della decisione di condanna; la sentenza “interlocutoria” è potenzialmente idonea sia a provocare una riforma in peius sia ad espandere i suoi effetti sulla sentenza conclusiva della Cassazione.
Oltretutto la pronuncia della Suprema Corte, sebbene di annullamento con rinvio, produce in ogni caso delle conseguenze irreparabili, in quanto vincola proprio il giudice di merito cui viene rinviata la decisione: quest’ultimo è obbligato ad uniformarsi “alla sentenza della Corte di Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa” (art. 627, comma 3, c.p.p.); ed ha altresì il divieto di occuparsi di “nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari” (art. 627, comma 4, c.p.p.). Alla fine sembrerebbe quasi una preclusione, una irrimediabilità, che assomiglia a quella nascente dal giudicato116.
Nel tentativo di trovare una soluzione, escludendosi un’interpretazione analogica per il carattere tassativo dell’art. 625 bis c.p.p., si è prospettata anche la possibilità di esperire il ricorso straordinario per errore di fatto avverso la successiva decisione definitiva (si intende, deducendo il medesimo errore già rilevato nella prima sentenza di legittimità)117. La praticabilità di questo indirizzo non pare però sostenibile: innanzitutto la decisione conclusiva adottata nell’ulteriore giudizio di Cassazione dovrebbe essere immune dall’errore originario; inoltre tutto ciò andrebbe a discapito della ragionevole durata ed efficienza del processo, dovendo attendere altri due gradi di giudizio, che poi potrebbero essere travolti da annullamento.
Non si è mancato, tuttavia, di rilevare fin da subito, come la prospettiva fosse diversa nel caso di annullamento parziale, laddove l’errore percettivo non cada nella parte di sentenza che annulla quella di merito. Si è infatti affermato che l’imputato-condannato potesse proporre ricorso straordinario direttamente avverso la sentenza di annullamento con rinvio, in quelle ipotesi in cui con l’annullamento parziale venga reso incontrovertibile il punto relativo all’an della responsabilità penale, lasciando al giudice di rinvio il solo compito di stabilire il quantum della pena118. In effetti, così opinando, il soggetto sembra acquisire già lo status di condannato richiesto dalla normativa, in quanto la statuizione sulla colpevolezza è definitiva.
Nel 2012, con la sentenza n. 28717, sono infine intervenute le Sezioni Unite: la pronuncia prende avvio da una vicenda processuale in cui la Corte di Cassazione aveva annullato parzialmente con rinvio la sentenza della Corte d’appello, soltanto in riferimento alla questione relativa alla sussistenza di una circostanza aggravante (e quindi alla rideterminazione della pena inflitta), confermando invece il punto sulla sussistenza della responsabilità penale. A questo punto il condannato (o ancora imputato) proponeva ricorso straordinario per far valere un errore di fatto percettivo commesso dalla Cassazione nella decisione di annullamento parziale con rinvio, provocando l’intervento per l’appunto delle Sezioni Unite in ordine all’ammissibilità di una siffatta impugnazione.
Il primo orientamento preso in considerazione è quello che nega la legittimazione di chi è stato condannato tramite sentenza oggetto di parziale annullamento: si ritiene in sostanza che permanga la condizione di imputato, che verrebbe meno solo con l’irrevocabilità della sentenza nel suo complesso, e quindi con la completa definizione del processo119.
Le Sezioni Unite non sposano l’orientamento appena menzionato, ed aderiscono invece a quello positivo120. Il ragionamento muove dalla nozione di giudicato progressivo, cui è riconducibile l’annullamento parziale pronunciato in sede di legittimità, visto che in riferimento alle parti della sentenza non connesse con la parte annullata può dirsi ormai esaurito il potere cognitivo del giudice nonché il potere di impugnare: le parti della sentenza non annullate assumono quindi valore di cosa giudicata, divenendo irrevocabili.
Qualora a divenire intangibile sia il punto sull’affermazione della responsabilità penale, dovrebbe di conseguenza venir meno la presunzione di non colpevolezza, trasformando così l’imputato in condannato, anche se a pena da definire poi in sede di giudizio di rinvio121.
Viene quindi affermato il principio per cui “deve ritenersi legittimata alla proposizione del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto anche la persona condannata con sentenza annullata con rinvio in relazione alla sussistenza di una circostanza aggravante”; proposizione che potrebbe in caso comportare l’adozione di un’ordinanza di sospensione del giudizio di rinvio in modo da evitare “la prosecuzione di un giudizio che, in linea teorica, può essere integralmente posto nel nulla dalla decisione sul ricorso straordinario”.
Capitolo 4: Breve commento alla sentenza della Cassazione n. 46635/2014.
Nella sentenza n. 46635/2014 della VI sezione della Cassazione, si affronta una questione che è ben lungi dall’essere risolta: ovvero la proposizione di un secondo ricorso straordinario per errore di fatto, successivo ad un precedente, entro il termine di 180 giorni; si verte quindi in tema di ammissibilità di una pluralità di ricorsi straordinari avverso la medesima sentenza.
Nel caso di specie il procuratore speciale del condannato proponeva ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., avverso la sentenza della Cassazione che aveva precedentemente dichiarato inammissibile il ricorso originario contro la pronuncia della Corte di appello di Catanzaro. Il condannato, a mezzo del suo difensore, enunciava la sussistenza di un errore di fatto-percettivo, per essere stata omessa la considerazione del motivo di ricorso sull’inesistenza di un’aggravante.
La Corte di Cassazione però – adita personalmente dal condannato con ricorso ex art. 625 bis c.p.p. – già si era espressa in ordine al medesimo asserito errore di fatto, deliberando nel senso dell’inammissibilità per manifesta infondatezza con ordinanza emessa de plano ai sensi del IV comma.
È stata ritenuta assorbente la causa di palese inammissibilità del ricorso, avendo la Corte già deliberato con pronuncia di manifesta infondatezza su un precedente ricorso straordinario avverso la stessa sentenza, sia per il medesimo errore di fatto che per i medesimi motivi.
Ora, la disciplina dell’errore di fatto, pur prevedendo un termine di presentazione di 180 giorni, non prevede d’altro canto alcun termine per l’assunzione della decisione da parte della Cassazione: essa può intervenire non solo dopo la scadenza dei 180 giorni, ma anche prima.
Data la natura non ordinaria del ricorso ex art. 625 bis c.p.p., non troverebbero infatti immediata applicazione la disciplina e i principi propri delle impugnazioni ordinarie, tra cui le norme sui termini per impugnare e sull’integrazione dei motivi di impugnazione.
A tal proposito l’art. 585, IV comma, c.p.p. dispone che “Fino a 15 giorni prima dell’udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice delle impugnazioni motivi nuovi nel numero di copie necessarie per tutte le parti. L’inammissibilità dell’impugnazione si estende ai nuovi motivi”. Dal momento che i termini per la proposizione degli atti di impugnazione ordinari sono particolarmente ristretti (si va da 15 giorni fino ad un massimo di 45 giorni ai sensi del primo comma dell’art. 585 c.p.p.), va da sé che il momento integrativo di cui trattasi sia tale da poter anche avvenire dopo la scadenza dei termini stessi.
In effetti la giurisprudenza ha precisato come i nuovi motivi debbano in ogni caso essere riferiti ai capi o ai punti della sentenza enunciati nell’originario atto d’impugnazione; diversamente opinando, si eluderebbero i termini previsti a pena di decadenza. Mentre, prima che sia trascorso il tempo previsto per l’impugnazione, dovrebbe essere sempre possibile modificare estensivamente l’ambito di cognizione del giudice preposto a decidere sull’impugnazione presentata.
Unendo queste considerazioni, ad altre norme endoprocessuali che dispongono l’instaurazione del contraddittorio dopo la presentazione della richiesta formale di impugnazione, ne consegue che la decisione sul gravame debba necessariamente intervenire una volta spirati i termini delle richiesta stessa.
Legittimamente, invece, la decisione sul ricorso ex art. 625 bis c.p.p. ben potrebbe intervenire anche quando non sia ancora scaduto il termine perentorio di 180 giorni: questo accadrà soprattutto qualora la Cassazione dichiari de plano l’inammissibilità del ricorso, ma non è detto che non possa accadere anche quando si passi a discutere il merito in camera di consiglio in tempi piuttosto rapidi. Ad esempio un ricorso evidentemente fondato, presentato da condannato in stato di detenzione, potrebbe indurre la Cassazione a passare celermente all’udienza camerale e così alla sentenza.
Tale eventualità che si giunga ad una conclusione ben prima della perenzione del lungo termine di presentazione del ricorso (ben 6 mesi), porta con sé l’astratta possibilità di presentare una nuova impugnazione ex art. 625 bis c.p.p. successiva alla pronuncia sulla prima, e di conseguenza anche la questione di cui sopra sull’ammissibilità di una pluralità di ricorsi straordinari contro lo stesso provvedimento.
La sentenza in commento dichiara inammissibile il ricorso straordinario per intervenuta consumazione dell’azione di annullamento: dal momento che la precedente ordinanza aveva dichiarato l’inammissibilità di un ricorso sostanzialmente identico al secondo, quanto ad oggetto e motivazioni, si è concretata una vera e propria ri-proposizione dell’azione.
Dottrina e giurisprudenza sul punto paiono non avere dubbi e concordano per l’inammissibilità di un secondo ricorso in cui non sussista un quid novi rispetto al primo. Già la sentenza della IV sezione n. 33153 del 17/06/2004 affermava come debba escludersi “la proponibilità di un nuovo ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., fondato sui medesimi asseriti errori materiali o di fatto, avverso la decisione con cui la Corte di Cassazione abbia dichiarato inammissibile un precedente e analogo ricorso straordinario”.
Parimenti tende ad affermare la dottrina, che richiama a sostegno l’art. 641 c.p.p. in tema di revisione, il cui disposto detta una particolare disciplina sugli effetti dell’inammissibilità: “L’ordinanza che dichiara inammissibile la richiesta o la sentenza che la rigetta, non pregiudica il diritto di presentare una nuova richiesta fondata su elementi diversi”. L’istanza di cui parla la norma è non solo nuova, ma soprattutto diversa rispetto alla precedente, perché diversi sono gli elementi su cui si fonda; ne consegue che una mera ri-proposizione, cioè una seconda domanda di revisione che non apporti alcun argomento differente rispetto a quanto dedotto nella prima, sarebbe in ogni caso inammissibile.
Ed il punto è che per l’errore di fatto, che per sua natura ha consistenza documentale irripetibile, non sembra nemmeno plausibile poter proporre una nuova impugnazione fondata su elementi diversi122. Per questo la preclusione rispetto all’ulteriore ricorso straordinario, sussisterebbe certamente – secondo quanto si afferma nella sentenza n. 46635/2014 – nel caso di richiesta di correzione del medesimo errore di fatto, “ancorché sulla base di argomentazioni diverse”; e deriverebbe dalla circostanza che il condannato ha esercitato la prima azione di annullamento “nella pienezza dei suoi diritti e delle sue potenzialità”, avendo già a disposizione integralmente tutti i documenti di cui possa legittimamente servirsi per valutare la sussistenza di un errore di fatto.
La sentenza inoltre sottolinea che, anche qualora si impostasse il ragionamento in termini di ne bis in idem, per intervenuto giudicato interno una volta che la Corte si sia pronunciata per l’inammissibilità o il rigetto, il risultato finale non cambierebbe.
La questione diviene più complicata qualora il nuovo ricorso intervenga a denunciare un diverso errore di fatto, fermo restando l’eventuale inammissibilità della domanda per l’avvenuto decorso del termine perentorio previsto per la proposizione del ricorso stesso. La pronuncia che qui si commenta affronta il problema in un obiter dictum, che conclude per la negazione dell’ammissibilità di una pluralità di ricorsi pur aventi ad oggetto errori di fatto tra loro diversi.
La conclusione non è però univocamente accolta nell’attuale giurisprudenza di legittimità. La preclusione dell’azione è negata ad esempio dalla recente sentenza della II sezione n. 21216 del 09/04/2014, che ha riconosciuto l’astratta ammissibilità di un nuovo ricorso ex art. 625 bis c.p.p., a seguito di sentenza dichiarativa di inammissibilità di un primo ricorso straordinario “solo se fondato su errori materiali o di fatto non dedotti nel ricorso precedente”.
Pur tuttavia la soluzione adottata non viene approfonditamente argomentata: proprio nella pronuncia n. 46635/2014 la VI sezione non manca di evidenziare come in quella n. 21216/2014 la possibilità di presentare un nuovo ricorso su diverso errore nei 180 giorni venga ritenuta – in modo sostanzialmente apodittico – “indiscutibile”; ed inoltre come la medesima decisione richiami, semplicemente argomentando a contrario, la sentenza n. 33153/2004 (cui si è sopra fatto cenno), che aveva escluso la proponibilità di un nuovo ricorso straordinario proprio in quanto fondato sui medesimi errori già denunciati in un primo ricorso dichiarato inammissibile.
Argomenti invero per niente solidi, che non riescono a rispondere alla domanda se la preclusione da consumazione dell’azione abbia una efficacia generale tale da impedire la riproposizione di un diverso e successivo ricorso ex art. 625 bis c.p.p., quale che sia l’oggetto devoluto.
La dottrina, pur esponendosi poco sul punto, in parte sembra incline ad adottare argomentazioni non dissimili da quelle di cui alla sentenza n. 21216/2014; e in parte sembra invece escludere totalmente l’ammissibilità di un nuovo ricorso straordinario successivo alla pronuncia di inammissibilità/rigetto del primo123.
Le ragioni in quest’ultimo caso addotte sono sia di ordine sistematico che assiologico. Innanzitutto si richiama il principio di insanabilità delle inammissibilità che troverebbe espresso riconoscimento, in relazione ai rimedi impugnatori, nell’art. 591, IV comma, c.p.p.: sarebbe in effetti strano che il codice prima escluda qualunque sanatoria in tema di inammissibilità, e poi invece tolleri che lo stesso risultato pratico consegua attraverso la riproposizione di una impugnazione ex art. 625 bis c.p.p., solo eventualmente caratterizzata da un identico oggetto (errore di fatto), ma pur sempre indirizzata a mettere in discussione la medesima sentenza della Cassazione che ha reso irrevocabile una pronuncia di condanna.
Inoltre si sottolinea che, con la disciplina delle impugnazioni, l’ordinamento intende perseguire due valori fondamentali che devono trovare bilanciamento tra loro: ovvero la giustizia e la certezza. È la predisposizione stessa del rimedio che risponde ad esigenze di giustizia; e l’introduzione del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. è proprio teso a venire incontro a concrete esigenze di giustizia sostanziale.
Tuttavia permangono in ogni caso pressanti ragioni di certezza e di economia processuale: la legge infatti pone delle limitazioni al potere di impugnare sia in relazione al profilo temporale, che alle modalità del suo esercizio, e alla titolarità dello stesso.
Ebbene, queste esigenze di certezza non possono certo venir meno in riferimento al ricorso straordinario: anzi, proprio in quanto tale strumento si pone come eccezione all’inoppugnabilità delle pronunce della Cassazione, come eccezione quindi alla granitica certezza della regola del giudicato penale, la sua ammissibilità va valutata in modo particolarmente restrittivo.
In effetti, pare opportuno partire proprio dalle caratteristiche del ricorso ex art. 625 bis c.p.p. per arrivare ad una possibile soluzione della questione.
Innanzitutto sussiste a monte un giudicato di condanna, che in sé precluderebbe qualunque azione volta a porlo in tutto o in parte in discussione. È stata invero introdotta la possibilità – per il condannato ed il procuratore generale – di rimuovere il giudicato, ma solo attraverso un rimedio eccezionale, non ordinario, dal cui potere di esercizio si decade dopo 180 giorni dal deposito del provvedimento della Cassazione. Peraltro non vi è alcun limite esterno quanto al contenuto dell’atto di impugnazione e perciò alla determinazione dell’oggetto dell’impugnazione, purché la denuncia riguardi un errore di fatto percettivo in cui sia incorsa la Suprema Corte. Inoltre, dal momento che il ricorso straordinario va ad attaccare un vizio manifesto del provvedimento, un errore che deve emergere ictu oculi dagli atti e documenti di causa (e non un vizio occulto o di giudizio), chi vuole proporre l’impugnazione ha necessariamente a disposizione tutto ciò che gli occorre, avendo – con il deposito della sentenza – una conoscenza integrale della decisione e degli atti oggetto di cognizione da parte della Corte.
Non sembrano perciò esservi appigli per poter asserire in modo convincente – data anche l’assenza di espresse disposizioni sul punto – che sussista la possibilità di avviare una pluralità di procedure avverso il medesimo provvedimento, senza intaccare i canoni costituzionali di ragionevolezza quanto alla durata del processo e alle soluzioni interpretative.
Non si può tra l’altro mancare di osservare come il termine di 180 giorni (6 mesi), sia estremamente più lungo rispetto ai termini ordinari di impugnazione. Da ciò sembrerebbe plausibile ricavarne che la volontà del legislatore sia quella di permettere al condannato (che nella prassi è colui che propone plurimi ricorsi) di studiare la sentenza della Cassazione in modo compiuto e di vagliare tutte le sue implicazioni per un tempo abbastanza esteso. Ma da ciò si potrebbe altresì dedurre che, avendo tutto il tempo a disposizione per effettuare approfondimenti e redigere un atto di impugnazione in linea con tutti i parametri di ammissibilità e fondatezza, non gli potrebbe poi essere consentito di ulteriormente ritornare sui propri passi. Nemmeno qualora l’impugnazione sia stata celermente presentata ben prima della scadenza del termine, tanto da consentire una decisione nei 180 giorni, non si ravvisa alcuna lesione del diritto di difesa nella preclusione della proposizione di un nuovo ricorso: è una scelta discrezionale, presa nella piena consapevolezza e libertà di ricostruzione dell’errore di fatto (o degli errori di fatto), quella di non usufruire di tutto l’arco di tempo previsto dalla legge.
È appena il caso di ricordare che per le impugnazioni ordinarie, a fronte di un termine molto più contenuto per la presentazione del gravame, è prevista invece la possibilità di integrazione dei motivi nei limiti già delineati nella prima parte di questo capitolo.
A fronte delle osservazioni effettuate, dovremmo ritenere in ogni caso inammissibile la presentazione di una pluralità di ricorsi straordinari avverso il medesimo provvedimento, risolvendo così la questione che ci siamo posti in senso negativo a prescindere che la richiesta si riferisca allo stesso errore di fatto o meno. In sostanza sembra si debba concludere per la consumazione del potere di proporre l’azione di annullamento, una volta depositato il ricorso ed intervenuta decisione sullo stesso.
In realtà, potrebbe anche essere prospettata una seconda soluzione in linea con le considerazioni di cui sopra e in ogni caso non esclusa dalla lettera dell’art. 625 bis c.p.p.: ovvero precludere alla Corte la possibilità di valutare nel merito la sussistenza dell’errore di fatto prima che siano trascorsi i 180 giorni; in tal modo si potrebbero eventualmente riunire in un unico atto tutti i ricorsi proposti nel termine decadenziale, evitando così la pluralità di impugnazioni e di giudizi124.
La scelta dell’una o dell’altra opzione non è senza risvolti pratici. Ciò è intuibile se si allarga il campo di analisi a tutte le varianti di pluralità di ricorsi straordinari che potrebbero presentarsi in concreto.
Finora si è sempre fatto riferimento ad uno schema del tipo: primo ricorso straordinario per errore di fatto, declaratoria di inammissibilità o sentenza di rigetto, secondo ricorso avverso la medesima pronuncia nel termine di 180 giorni.
Ma l’iter potrebbe ben essere diverso. Ad esempio il primo ricorso potrebbe essere fondato e condurre ad una sentenza che riforma parzialmente il giudicato: un eventuale nuovo ricorso straordinario, se accolto, porrebbe seri problemi in termini di ricostruzione del giudicato. Se si accoglie la tesi della consunzione del potere di impugnare, la preclusione dovrebbe necessariamente essere estesa anche alle pronunce di accoglimento del ricorso, e perciò pure nell’ipotesi di corretto utilizzo del suddetto potere.
Anche aderendo alla soluzione di attendere 180 giorni, però, potrebbero porsi dei problemi qualora il ricorso (a prescindere che sia il primo o meno a questo punto) sia effettivamente fondato e ciò risulti chiaramente anche ad un semplice esame preliminare della richiesta. Infatti, se il condannato si trova in stato di reclusione in carcere, parrebbe ragionevole (nonché più in linea con i valori costituzionali) arrivare nel più breve tempo possibile alla decisione della Corte, soprattutto nel caso in cui ciò comporti la rimessione in libertà.
A ciò tuttavia potrebbe ovviare la possibilità di sospendere con ordinanza gli effetti del provvedimento della Cassazione di cui si chiede la revoca – prevista nella seconda parte del secondo comma dell’art. 625 bis c.p.p. – fino a che non intervenga la sentenza definitiva.
Tornando alla consumazione del potere di impugnare, nel caso si abbracciasse questa tesi, ci si dovrebbe chiedere altresì se essa operi in senso unilaterale: qualora il procuratore generale presenti un ricorso straordinario sul quale intervenga pronuncia prima dello scadere dei 180 giorni, la preclusione dovrebbe ritenersi operante solo per l’impugnante, oppure si tratta di una preclusione operante in modo oggettivo e quindi anche per il condannato?125
Se si accogliesse la prospettazione di una preclusione oggettiva, il condannato potrebbe veder leso il suo diritto di difesa, soprattutto qualora il ricorso del procuratore venga dichiarato de plano inammissibile più per mancanza di forma che di sostanza. D’altro canto, se la preclusione fosse unilaterale, probabilmente si riproporrebbero in parte i medesimi problemi derivanti dall’avere una pluralità di ricorsi straordinari.
Alla luce anche di queste ultime considerazioni, forse la soluzione che meglio risponde a tutte le diverse istanze potrebbe essere quella che la Cassazione attenda in ogni caso lo spirare del termine dei 180 giorni per provvedere in ordine al ricorso straordinario proposto; e qualora ricorrano casi di estrema gravità, la Corte ben potrebbe prontamente sospendere gli effetti del provvedimento impugnato, per non far subire, a colui che è stato condannato, una pronuncia probabilmente ingiusta per ulteriori 6 mesi.
Conclusioni
Al termine di questa dissertazione sugli istituti di cui all’art. 625 bis c.p.p., si può notare come la ricostruzione degli stessi non risulti affatto semplice a causa delle molte lacune e ambiguità del testo della disposizione.
Questa norma, con tutti suoi limiti, segna in ogni caso l’introduzione della emendabilità delle sentenze della Cassazione contra reum: si è sottolineato come ciò rappresenti una tappa del percorso che il nostro ordinamento sta cercando di compiere per concretizzare il principio di legalità sostanziale. Sembra essere la stessa Costituzione ad imporre tale strada, giacché essa sembra richiedere un bilanciamento delle esigenze di certezza e di economia processuale con quelle di un equo trattamento delle parti, con il diritto di difesa e con l’effettività del giudizio in Cassazione.
Un così ambizioso intento avrebbe indubbiamente suggerito un intervento legislativo diverso: la scelta di disciplinare in modo unitario sia il rimedio per l’errore materiale sia quello per l’errore di fatto dei provvedimenti della Corte di Cassazione, riproponendo la medesima struttura della norma ex art. 391 bis del codice di procedura civile, non è stata probabilmente delle più opportune.
Quanto alla correzione dell’errore materiale, sembra sia stato riprodotto (quanto meno negli elementi fondamentali) l’istituto di cui all’art. 130 c.p.p., che per la sua portata generale non soffrirebbe nell’ambito oggettivo di applicazione.
Per questo il legislatore del 2001 avrebbe probabilmente potuto – lasciando la disciplina dell’errore materiale al solo art. 130 c.p.p. – concentrarsi soltanto sull’impugnazione per errore di fatto.
La natura di tale impugnazione è probabilmente la questione più complessa e nello stesso tempo apparentemente più facile da risolvere, grazie al nomen iuris utilizzato (solamente) in rubrica.
In realtà, fatta eccezione per l’espressione “ricorso straordinario”, in fin dei conti vi è un solo elemento sicuramente idoneo a sostenere il carattere straordinario dell’azione: cioè la forza di mettere in discussione il giudicato nel caso il ricorso venga accolto; tutti gli altri elementi sembrerebbero invece ricondurre il mezzo ad una impugnazione ordinaria.
È pur vero che non esiste una distinzione ufficiale tra mezzi ordinari e straordinari, ma alcune caratteristiche sono ricorrenti: ad esempio, per quelli ordinari, la previsione di un termine di impugnazione, nonché la limitazione del gravame entro gli stessi termini del giudizio pregresso.
E proprio dal confronto tra ricorso ex art. 625 bis c.p.p. e revisione – un indubbio rimedio extra ordinem – emergono le nette differenze tra questi due istituti, che avvicinerebbero piuttosto il ricorso straordinario per errore di fatto ad una sorta di quarto grado di giudizio ordinario.
Tale natura ibrida si può constatare anche nella valutazione dell’ammissibilità di una pluralità di ricorsi straordinari presentati avverso il medesimo provvedimento ed entro la scadenza del termine decadenziale. Prima di giungere alla soluzione che si è prospettata come più opportuna nel caso di specie – cioè quella di precludere alla Cassazione di pronunciarsi prima che siano trascorsi i 180 giorni, facendo confluire tutte le impugnazioni in un unico atto – si è brevemente confrontata la disciplina dettata per il ricorso straordinario sia con quella prevista in generale per gli strumenti di impugnazione ordinaria sia con quella della revisione.
Nessuna di esse, vuoi per la tipologia di errore censurabile vuoi per i particolari profili procedimentali di cui all’art. 625 bis c.p.p., si è dimostrata veramente idonea ad essere applicata al ricorso straordinario per errore di fatto, dal momento che in esso si fondono caratteristiche riconducibili alle impugnazioni ordinarie come a quelle straordinarie.
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1 La legge 26 marzo 2001 n. 128, Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini: manovra denominata “pacchetto sicurezza”, volta a fornire una risposta ad esigenze avvertite sì dall’opinione pubblica, ma di sicuro lontane dalle questioni attinenti al giudizio di Cassazione e ad eventuali errori nei provvedimenti definitivi.
2 Gialuz M., Ricorso straordinario per Cassazione, in Enciclopedia del diritto – Annali, Giuffrè, 2010. L’autore ricorda che la necessità di individuare strumenti eccezionali per riparare gli errori in cui può incorrere la Corte di Cassazione, era già emersa cent’anni prima dell’introduzione del ricorso straordinario, in particolare in quelle ipotesi in cui la stessa Corte dichiarava inammissibile un ricorso invero regolarissimo, o per errore materiale o per non essersi avveduta di un documento della causa.
3 Anche in passato, sotto la vigenza del codice Rocco, sul punto aveva avuto modo di pronunciarsi la Corte Costituzionale, che aveva ribadito la legittimità dell’art. 552 c.p.p., pur a fronte della denunciata violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24, II comma, Cost. per le implicazioni derivanti da provvedimenti sostanzialmente e formalmente ingiusti.
4 Così Corte Costituzionale, sentenza n. 294 del 1995, in www.giurcost.org (decisioni)
5 Tra le altre, Corte di Cassazione, I sezione, sentenza n. 6233 del 13 novembre 2001 (depositata il 20 dicembre 2001), in Cassazione penale, Giuffrè, 2002, n. 7-8, pagg. 2315-2316: “Per individuare l’effettivo ambito di applicazione del ricorso straordinario per errore di fatto, è opportuno precisare che l’inserimento nell’ordinamento processuale di un mezzo apprestato per rimediare a determinate tipologie di errori eventualmente presenti nei provvedimenti della Corte di cassazione rappresenta il punto di arrivo di un lungo e serrato dibattito sviluppatosi già nella vigenza del codice di procedura penale del 1930, il cui art. 552 c.p.p. dichiarava espressamente inoppugnabili tutti i provvedimenti emessi dal giudice di legittimità in materia penale. Pur mancando nel codice vigente un’analoga disposizione, in dottrina e in giurisprudenza non è stata mai dubbia l’inoppugnabilità di tali provvedimenti, ritenuti irrevocabili ed incensurabili in base all’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche e alla necessità di evitare la perpetuazione dei giudizi, oltre che alla “funzione di giudice ultimo di legittimità affidata alla medesima Corte di cassazione dall’art. 111 Cost.” (C. Cost., 5 luglio 1995, n. 294, e, nel vigore del codice del 1930, C.cost., 4 febbraio 1982, n. 21). Tuttavia, la generale irrimediabilità degli errori esistenti nelle decisioni della Corte di cassazione, salvo quelli emendabili con la procedura di correzione degli errori materiali, ha fatto sorgere argomentate perplessità sulla compatibilità del principio di assoluta inoppugnabilità con il sistema costituzionale, tant’è che la stessa Corte di cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 629 e 630 c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e24 Cost., nella parte in cui non prevedono la possibilità di revisione delle decisioni della Corte di Cassazione per errore di fatto”.
6 La sentenza irrevocabile “pone una norma giudiziale individuale che è imperativa, nella parte in cui traduce in atto una situazione giuridica prevista astrattamente dalla legge, ed è incontrovertibile, in quanto vale indipendentemente dal fatto che siano state rispettate le regole del decidere”. GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, in Trattato di procedura penale - diretto da Ubertis e Voena, Giuffrè, 2005, vol. 39.
7 Il canone della ragionevole durata del processo “impone il giudicato, l’irrevocabilità della decisione quale barriera ad una pretesa di ricerca della verità che, assunta come unico riferimento, porterebbe all’esperienza del processo senza fine”. FERRUA P., Garanzia del contraddittorio e ragionevole durata del processo, in Questione giustizia, Franco Angeli Edizioni, 2003, pag. 459.
8 GIALUZ M., Ricorso straordinario per Cassazione, cit.. La scelta restrittiva di escludere qualsiasi mezzo di natura lato sensu impugnatoria avverso le pronunce della Cassazione, ha portato la Cassazione medesima ad individuare due rimedi per riparare ad alcuni errori macroscopici: l’art. 130 c.p.p. e la revoca.
9 Corte di Cassazione, III sezione, n. 93 del 13 gennaio 2000, in Cassazione penale, Giuffrè, 2001, pag. 896, con nota di SONSINI M., La correzione degli errori materiali e la modifica del decisum.
10 L’art. 130 c.p.p., consentendo la semplice emenda del testo e non la modifica della decisione, mai potrebbe essere utilizzato per correggere gli errori di fatto nei quali sia incorso l’organo giudicante. L’istituto in questione e quello dell’impugnazione, il cui scopo è quello di rimediare ad eventuali errori di fatto o di diritto che abbiano influito in modo decisivo sul dispositivo, stanno in un rapporto di reciproca esclusione. INZERILLO G., Riflessioni “a prima lettura” sul ricorso straordinario per errore di fatto, in L’indice penale, CEDAM, fasc. 1, 2002, pag 51.
11 ROMEO G., Passato e futuro per gli errori di fatto incorsi nel giudizio di Cassazione, in Cassazione penale, Giuffrè, 2002, pag. 3475. Non solo la disposizione di cui all’art. 130 c.p.p., ma altresì quella analoga di cui all’art. 149 c.p.p. 1930, riferibili al solo errore materiale, “furono spesso utilizzate per porre rimedio all’errore di fatto (e in qualche occasione non si trattava neanche di errore di fatto, bensì di errore di diritto) fin da epoca remota, costituendo così il “grimaldello” con cui la Corte stessa aveva aperto varchi, a volte di non poco conto, nell’irrevocabilità dei suoi provvedimenti”.
12 In sostanza sussisterebbe travisamento del fatto quando “la valutazione alla base del provvedimento del giudice di merito non è aderente e conseguenziale agli atti e alle risultanze probatorie del processo, ma presenta delle incongruenze rispetto a questi”. SAPONARO L., Il travisamento del fatto come motivo di ricorso per Cassazione, in Cassazione penale, Giuffrè, fasc. 4, 2004, pag. 1289.
La dottrina peraltro distingue il travisamento degli atti, che si verifica quando il giudice abbia ritenuto inesistenti fatti che emergono in realtà dalle risultanze processuali (o viceversa con fatti ritenuti erroneamente esistenti), dal travisamento delle prove, che si realizza quando vi è un’alterazione del valore o del contenuto delle prove.
13 Sezioni Unite, sentenza n. 15 del 31 maggio 2000, in Cassazione penale, Giuffrè, 2001, n. 2, pag. 441: “Può farsi ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all’art. 130 c.p.p. per emendare la sentenza che abbia erroneamente statuito in tema di condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria per l’inammissibilità, trattandosi di rettifica che non incide sul contenuto intrinseco della decisione ma su una pronuncia conseguenziale ed accessoria ad essa, non implicante alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice. (In applicazione di tale principio la Corte ha disposto la eliminazione dall’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso per Cassazione presentato da un minorenne della statuizione concernente la condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende)”.
14 Corte di Cassazione, III sezione, sentenza n. 1127 del 10 novembre 1993, in Cassazione penale, Giuffrè, 1994, pag. 1862.
15 Sezioni Unite, sentenza n. 387 del 9 ottobre 1996, in Cassazione penale, Giuffrè, 1997, n. 3, pag. 683: “Il principio della definitività delle sentenze della Corte di cassazione preclude – salvo i rimedi straordinari – l’ulteriore riesame di ogni questione di merito e di rito. (In applicazione di detto principio la Corte ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di correzione la pretesa contraddittorietà logica e giuridica di una sentenza di legittimità, se ne intendeva provocare la modificazione sostanziale)”.
16 Sezioni Unite civili, ordinanza di rimessione del 14 febbraio 1983, in Giurisprudenza Italiana, Utet Giuridica,1983, fasc. 1.
17 Corte Costituzionale, sentenza n. 17 del 22 gennaio 1986, in www.giurcost.org (decisioni).
18 Quanto all’art. 3 Cost., il contrasto risulterebbe dall’irragionevole disparità di disciplina rispetto all’ipotesi di errore del medesimo tenore commesso dal giudice di appello, in relazione al quale è consentito il ricorso in Cassazione dell’erronea ordinanza di inammissibilità dell’impugnazione.
Quanto invece all’art. 24 Cost., sarebbe invece leso il diritto dell’imputato ad ottenere una decisione, in termini di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
19 Così Corte di Cassazione, ordinanza n. 485 del 5 maggio 1999, di rimessione della questione di costituzionalità, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, 1999.
20 Così Corte Costituzionale, sentenza n. 395 del 2000, in www.giurcost.org (decisioni).
21 Nella pronuncia n. 294/1995 la Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibile una questione di legittimità costituzionale degli artt. 623 e 624 c.p.p. in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost. per la mancanza di un mezzo di impugnazione straordinario avverso le sentenze della Corte di Cassazione, la Consulta rilevava come le fosse stato in buona sostanza richiesto di introdurre nel sistema processuale proprio quel mezzo straordinario di impugnazione. E pur tuttavia “una siffatta richiesta di pronuncia additiva è palesemente inammissibile, comportando l’introduzione di innovazioni che, per la loro ampiezza e per la pluralità di soluzioni e modalità attuative, non possono che discendere da scelte riservate al legislatore, nell’esercizio della sua sfera di discrezionalità nell’opera di conformazione del processo”. Corte Costituzionale, sentenza n. 294 del 1995, in Riv. it. dir. e proc. pen., Giuffrè, 1995, con nota di Giarda A., Ancora sull’intangibilità assoluta delle sentenze della Corte di cassazione, pag. 915.
22 MAZZA O., Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto: un quarto grado di giudizio occasionale?, in Cassazione penale, Giuffrè, 2003, pag. 2313 e ss.
23 Non si dimentica che il giudicato può essere travolto anche dalla revisione; pur tuttavia questo rimedio straordinario non ha tecnicamente ad oggetto la decisione della Cassazione, che non viene in realtà censurata: la Corte d’appello conduce un nuovo giudizio basato su situazioni sopravvenute che non erano prima a disposizione dei giudici.
24 La revisione è diretta a far valere un errore in senso oggettivo, cioè non imputabile all’organo decidente, qualora emerga un quid novi tale da consentire di rimettere in discussione il risultato conseguito in un rapporto già chiuso.
25 In tal senso BARGI A, Ricorso straordinario per Cassazione, in Digesto delle discipline penalistiche – Aggiornamento II, Utet Giuridica, 2004.
26 DINACCI F. R., Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in Trattato di procedura penale – Impugnazioni (vol. 5), a cura di G. Spangher, Utet Giuridica, 2009. L’autore aggiunge come il ricorso straordinario costituisca “l’adeguamento alla Carta delle leggi del regime dei controlli processuali diretti a garantire la giusta decisione la quale, …, si pone come rafforzata tutela della presunzione di non colpevolezza”.
27 SANTALUCIA G., Art. 625 bis, in Codice di procedura penale – Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di Lattanzi e Lupo, Giuffré, 2008.
28 Mette in luce queste problematiche di coordinazione tra errore di fatto e giudicato CAPONE A., Note critiche in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, in Riv. It. dir. e proc. pen., Giuffrè, fasc. 1-2, 2003, pag. 224.
29 “Deve, anzitutto, premettersi che è senz’altro condivisibile l’opinione unanimamente espressa nei primi commenti delle disposizioni dell’art. 625 bis c.p.p., secondo cui nella previsione del ricorso straordinario sono accumunate due situazioni processuali radicalmente diverse, alle quali corrispondono rimedi nettamente differenti per struttura e per finalità”. Sezioni Unite, sentenza n. 16103 del 27 marzo 2002, in www.italgiure.giustizia.it.
30 L’accostamento sembra voler sottintendere una precisa actio finium regundorum tra i concetti di errore di fatto ed errore materiale, “spesso in passato sovrapposti nell’interpretazione a maglie larghe dell’art. 130 c.p.p.”. MAZZA O., Il ricorso straordinario per errore di fatto: un quarto grado di giudizio occasionale?, cit., pag. 943.
31 Secondo RIVIEZZO A., Pacchetto sicurezza. Commento alla legge 26 marzo 2001, n. 128, Giuffrè, 2001, pagg. 83 e ss., “il procedimento in esame, quanto all’errore materiale, non sostituisce quello di cui all’art. 130 c.p.p., che si continuerà ad applicare in tutte le ipotesi non disciplinate dal nuovo art. 625 bis c.p.p.. Una lettura di tipo diverso si scontrerebbe con fondati dubbi di ragionevolezza, e, quindi, di legittimità costituzionale”.
32 L’errore è falsa conoscenza della realtà, sia essa naturalistica o normativa. Si distingue infatti l’errore di fatto da quello di diritto; anche se sarebbe più proficuo distinguere tra errore sul fatto ed errore sul precetto, giacché il primo può derivare non solo da errore di fatto (mancata o imperfetta percezione o valutazione di un dato della realtà naturalistica), ma anche da errore sulle norme extrapenali, penali o extragiuridiche richiamate. MANTOVANI F., Diritto penale, CEDAM, 2003, pagg. 376 e ss.
33 Sezioni Unite, sentenza n. 16103 del 27 marzo 2002, in www.italgiure.giustizia.it.
34 Un errore di valutazione, come già più sopra accennato, potrebbe essere astrattamente censurabile all’infinito, per questo è necessario porre un punto fermo con l’irrevocabilità delle sentenze della Cassazione. E così deve rimanere estranea alla nozione di errore di fatto la fattispecie relativa agli “errori di valutazione e di giudizio dovuti a una non corretta interpretazione degli atti del processo di Cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali” – Corte di Cassazione, sezione I, sentenza del 13 novembre 2001, in Giurisprudenza Italiana, Utet Giuridica, 2002, pag. 2371.
35 “…la locuzione “errore materiale di fatto” vanta una storia risalente e alla stessa idea unitaria del ricorso potrebbe riconoscersi un qualche fondamento “storico”, se si tiene presente che l’istituto in parola è nato come mero strumento di “autofagia”, plasmato dalla Corte per far fronte a situazioni di evidente ingiustizia e ricondotto, ora all’istituto della correzione degli errori materiali, ora alla categoria dogmatica della revoca”. GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, cit., pag. 100.
36 DINACCI F.R., Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, cit., pagg. 906 e ss. L’autore precisa che “si verterebbe nel vizio materiale dell’atto allorquando la sua eliminazione non comporta alcuna alterazione della situazione giuridica con riferimento agli effetti sostanziali dipendenti dall’atto”.
37 Sussisterebbe nel nostro ordinamento il principio per cui ogni giudice è vincolato al rispetto della propria sentenza, o comunque del proprio provvedimento finale, che si tradurrebbe nell’irretrattabilità del dictum da parte del giudice stesso (anche la sentenza di primo grado avrebbe effetti obbligatori di fronte all’organo giurisdizionale che l’ha emessa): “in virtù di tale canone tradizionale, una volta emessa la decisione sul tema principale, questa non può più essere modificata né, tantomeno, revocata, dal medesimo organo”. GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, cit., pag. 102.
Si avverte, tuttavia, che è attualmente in discussione in Parlamento il disegno di legge n. 2798 del 23 dicembre 2014, il cui art. 19 (nono comma) andrebbe a modificare il terzo comma dell’art. 625 bis c.p.p.. All’attuale testo dovrebbero essere aggiunte le seguenti parole: “e senza formalità. L’errore di fatto può essere rilevato dalla corte di cassazione, d’ufficio, entro novanta giorni dalla deliberazione”. Quindi viene specificato come la Cassazione possa rilevare l’errore materiale d’ufficio, senza alcun limite di tempo e senza alcuna formalità (perciò si avvalla l’indirizzo secondo cui non vi sarebbe necessità di instaurare un contraddittorio per effettuare una mera correzione); ed inoltre – ed è questa la vera novità – è prevista, anche per l’errore materiale, la possibilità che venga rilevato d’ufficio dalla Corte entro tre mesi dalla pronuncia.
38 Il quarto comma dell’art. 625 bis c.p.p. esplicitamente dispone l’inammissibilità del ricorso presentato fuori dal termine di 180 giorni solo in riferimento all’errore di fatto (si avrà una dichiarazione di inammissibilità qualora la richiesta “riguardi la correzione di un errore di fatto, fuori del termine previsto al comma 2”), quasi a voler ulteriormente rimarcare la differenza rispetto alla deducibilità in ogni tempo dell’errore materiale già prescritta dal terzo comma.
39 Sezioni Unite, sentenza n. 16103 del 27 marzo 2002, in www.italgiure.giustizia.it.
40 BARGI A., Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio di Cassazione, CEDAM, 2004, ma sul punto appare essere pressoché unanime sia la giurisprudenza che la dottrina. In tal senso è esplicita anche la sentenza delle Sezioni Unite n. 16103/2002, nonostante essa precisi che il rimedio dell’errore di fatto abbia “la funzione tipica di una impugnazione in senso tecnico”, quasi a voler identificare l’istituto in ragione della sua funzione piuttosto che della sua natura e struttura.
41 L’istituto di correzione degli errori materiali è diretto a soddisfare un interesse tendenzialmente neutrale rispetto alle posizioni delle parti e non contrastante con quello di tutela del giudicato, dal momento che rimedia una situazione di sola apparente incertezza o invalidità del provvedimento.
42 VENTURA N., In tema di emendatio errorum ex art. 625 bis c.p.p., in La giustizia penale, 2005, fasc. 10, pag. 559: “In definitiva, dunque, può affermarsi che l’esperimento della procedura di correzione in discorso integrerebbe un rimedio proteso alla generale affermazione del canone della rettitudine decisionale in ogni situazione rilevante sotto il profilo processuale penale, dunque, anche in fase di naturale conclusione dell’instaurato rito (penale) e più precisamente, nel momento clou del medesimo, cioè allorché si registri la risolutiva definizione del relativo esito; il che interesserebbe la determinazione del quantum della punizione, sulla scorta di specifiche argomentazioni giustificanti l’assunzione delle corrispondenti statuizioni, le quali – al pari della quantificazione della pena – ben potrebbero implicare la verificazione di errori nella operata ricostruzione logico-giuridica, (errori) del tipo percettivo ovvero materiale, ma in ogni caso, tali da minare la validità del provvedimento, così compromettendo l’idea di giustizia”.
43 FUMU G., Commento all’art. 6 della legge n. 128 del 2001, in La legislazione penale, Jovene Editore, 2002, n. 1-2. Nel ritenere che nell’art. 625 bis c.p.p. siano impropriamente affiancati due procedimenti diversi per finalità, struttura e valore, l’autore afferma che, ai fini della correzione dell’errore materiale, nonostante nella disposizione si parli dell’atto introduttivo come di ricorso, l’atto in questione si configurerebbe come semplice sollecito alla Corte perché provveda alla doverosa correzione (che può conseguire anche ad iniziativa dell’ufficio) previa verifica.
44 La giurisprudenza di legittimità giunge ad affermare questo valorizzando la formula secondo cui il giudice “anche d’ufficio, dichiara con ordinanza l’inammissibilità”, che ricorre identica pure nelle norme di cui agli artt. 634, I comma, e 591, II comma, c.p.p.: tale locuzione avrebbe nel lessico codicistico il significato di escludere qualunque spazio al confronto dialettico tra gli interessati. La natura informale del sindacato previsto dall’art. 591 e dall’art. 634 pare peraltro trovare largo consenso sia in dottrina che in giurisprudenza.
46 GIALUZ M., Osservazioni sul vaglio preliminare di inammissibilità del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., in Cassazione penale, Giuffrè, 2003, fasc. 11. L’autore afferma che “per giungere ad asserire che il vaglio preliminare avviene de plano è necessario un secondo passaggio: occorre dimostrare anche l’inoperatività, in materia di ricorso straordinario, dell’art. 610 c.p.p.”.
47 Concorda sul punto SCELLA A., Il vaglio d’inammissibilità dei ricorsi per Cassazione, Giappichelli Editore, 2006, pagg. 127-128.
48 Così DINACCI F.R., Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, cit.: “si è visto che gli ambiti di azione dell’errore revocatorio si prestano a momenti di confusione tra il giudizio di ammissibilità e quello di merito. Di qui la necessità di precisare ancor più la distinzione e l’autonomia tra il giudizio di ammissibilità e quello sulla fondatezza dell’azione”.
50 Con la precisazione che dovrà essere escluso dal vaglio preliminare “qualsiasi anticipazione dell’esito conclusivo della fase rescindente, oltre che di quella rescissoria, oltretutto suscettibili di esaurirsi entrambe in un unico contesto”. BARGI A., Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio di Cassazione, cit., pag. 240.
51 Diversa la conclusione qualora l’impugnazione sia diretta a lamentare un errore di fatto tradottosi nell’adozione da parte della Corte Costituzionale di una decisione nulla o ingiusta. In tal caso il giudizio avrà struttura monofasica, non essendo inquadrabile una fase specificamente rescindente del provvedimento precedente.
53 La formula “contrasto manifesto tra la formula e l’idea” si deve a CARNELUTTI F., Istituzioni del nuovo processo civile italiano, 1951, pag. 368.
54 ACONE M., Riflessioni sul rapporto tra la correzione degli errori materiali ed i mezzi di impugnazione, in Studi in memoria di Salvatore Satta, CEDAM, Padova, 1982, pag. 38.
In giurisprudenza a tal proposito si è rilevato come alcune irregolarità non andrebbero a costituire delle nullità proprio perché desumibili dal documento da correggere; mentre diverrebbero delle nullità vere e proprie se fossero frutto di un atto volitivo.
55 GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, in Trattato di procedura penale – diretto da Ubertis e Voena, Giuffrè, 2005, pag. 403: “La situazione, insomma, è quella in cui il supporto cartolare rivela elementi grafici tali da indurre prima facie a credere che il provvedimento presenti un vizio di forma o di contenuto, quando dalla lettura complessiva dello stesso atto risultino chiaramente altri dati testuali idonei a far ritenere la decisione – sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo contenutistico – conforme alla legge”.
56 L’errore di fatto revocatorio – a norma di quanto disposto dall’art. 395 n. 4 – risulta “dagli atti o documenti della causa”, quindi non deve essere necessariamente dedotto dal provvedimento impugnato.
57 L’art. 535 c.p.p. si riferisce alle spese del procedimento penale; è diverso il caso dell’omessa condanna delle spese processuali in favore della parte civile di cui all’art. 541 c.p.p.. Nell’ordinanza della Cassazione, sezione II, n. 29749 del 16/06/2003 si afferma che “Non può essere rimediata da un provvedimento di correzione di errore materiale, ai sensi degli artt. 130 e 547 cod. proc. pen., l’omessa pronuncia in ordine alla condanna delle spese giudiziali in relazione al rapporto civile tra le parti definito con sentenza, che costituisce omissione di carattere concettuale e sostanziale”; in www.italgiure.giustizia.it..
58 In questo senso anche DIDDI A., Presupposti e limiti del ricorso straordinario per Cassazione, in La giustizia penale, 2002, item 8-9, pagg. 450 e ss.
60 I due caratteri della statuizione sulle spese vengono esplicitati nella sentenza a Sezioni Unite del 31 maggio 2000 sul caso Radulovic, in cui è stata ammessa la correzione dell’errata condanna alle spese pronunciata dalla Corte di Cassazione.
61 In senso parzialmente contrario DIDDI A., Presupposti e limiti del ricorso straordinario per Cassazione, cit., che distingue tra correzione e rettificazione: la prima, di carattere generale, sarebbe tesa “a riportare l’atto documentale al suo schema formativo”; la seconda, di natura eccezionale, interverrebbe “per la adesione tra atto documentale ed atto materiale e per l’adeguazione dell’atto documentale alle sue funzioni”.
62 In questo senso DINACCI F.R., Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in Trattato di procedura penale – Impugnazioni (vol. 5), a cura di Spangher G., Utet Giuridica, 2009. Secondo l’autore si sarebbe quindi “coniata un’ipotesi di errore che modifica, anche nella struttura essenziale, la sentenza e, se così è, lo stesso non può essere relegato a mera inadeguatezza della forma espressiva rispetto alla volontà effettiva”.
63 Letteralmente GIALUZ M., Ricorso straordinario per Cassazione, in Enciclopedia del diritto – Annali, Giuffrè, 2010.
64 L’irrilevanza emerge anche dalla constatazione logica che l’omissione si risolve in ogni caso in un errore. Un’opinione diversa è invece quella di INZERILLO G., Riflessioni “a prima lettura” sul ricorso straordinario per errore di fatto, in L’indice penale, CEDAM, 2002, secondo il quale la mancata previsione delle omissioni comporta l’impossibilità di applicare l’art. 625 bis c.p.p..
65 Questa è la soluzione che in effetti trova maggiore approvazione in dottrina. Tra gli altri INZERILLO G., Riflessioni “a prima lettura” sul ricorso straordinario per errore di fatto, cit., pagg. 101-102.
66 Questo rileva anche ai fini della proposizione del ricorso da parte del difensore del condannato non munito di procura speciale. Nella sentenza della Cassazione, sezione IV, n. 7660 del 17/11/2005, si dispone infatti che “nel caso in cui venga dedotto un mero errore materiale, rilevabile di ufficio ex art. 625 bis c.p.p. ed emendabile con la procedura di cui all'art. 130 c.p.p. non appare necessaria una procura speciale del difensore per proporre l'impugnazione straordinaria in parola”; in www.iusexplorer.it.
67 Peraltro l’art. 130 c.p.p., pur riconoscendo la possibilità di far pervenire una richiesta di rettifica al giudice (la correzione può essere disposta “anche d’ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento”), non prevede una legittimazione esclusiva di alcun soggetto, contrariamente all’art. 625 bis c.p.p..
68 CAPONE A., Errore materiale ed errore di fatto della Corte di Cassazione, in Diritto penale e processo, Ipsoa, 2002, n. 7, pag. 861. Secondo l’autore, si avrebbe una condizione apparente solo se si seguisse la tesi per cui anche nei casi di “contraddittorietà innocua, la sentenza sarebbe comunque valida e giusta, in quanto l’errore “non tocca la sentenza della decisione”.
69 Sembra aderire a questo indirizzo la sentenza della Cassazione, sezione III, n. 1265 del 15/01/2009, in www.italgiure.giustizia.it: “In tema d’impugnazione, in caso d’omessa pronuncia della Corte di Cassazione su un ricorso in materia di riparazione per ingiusta detenzione, non è esperibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in quanto esso è previsto esclusivamente a favore del condannato (in motivazione la Corte, nell’enunciare il predetto principio, ha precisato che in tal caso è attivabile la procedura di cui all’art. 130 cod. proc. pen.)” (massima).
70 Si veda sul punto, sentenza della Cassazione, sezione VI, n. 3923 del 06/12/2001, in www.italgiure.giustizia.it: “Nel caso in cui il ricorso straordinario per la correzione di un errore di fatto è inammissibile, perché riferito ad una decisione della Corte di Cassazione anteriore all’entrata in vigore della legge 26 marzo 2001, n. 128, che nell’introdurre il nuovo art. 625-bis cod. proc. pen. non ha previsto specifiche disposizioni transitorie, deve ritenersi comunque applicabile la procedura di cui all’art. 130 cod. proc. pen., sulla base di un’interpretazione estensiva ispirata ad un intento di adeguamento delle norme ordinarie ai principi costituzionali – da ultimo ribaditi con la sentenza 28 luglio 2000, n. 395 della Corte Costituzionale – in modo da consentire la correzione degli errori di fatto contenuti in decisioni adottate in palese violazione del diritto di difesa e che sarebbero altrimenti irrevocabili” (massima).
71 GIALUZ M., Ricorso straordinario per Cassazione, cit..
Si veda sul punto, sentenza della Cassazione, sezione I, n. 27269 del 10/06/2002, in www.italgiure.giustizia.it, relativa al caso in cui un indagato aveva proposto ricorso ex art. 625 bis c.p.p. contro una decisione di annullamento di un decreto di archiviazione assunta dalla Cassazione: “In tema di correzione di errori contenuti nelle decisioni della Corte di Cassazione che non si possano rimuovere con il ricorso alla procedura prevista dall’art. 625-bis cod. proc. pen., poiché la sentenza n. 395 del 2000 della Corte Costituzionale ha riconosciuto che l’errore “percettivo” in cui sia incorso il giudice di legittimità e dal quale sia derivata l’indebita compromissione di un diritto deve avere necessariamente un rimedio, che spetta alla stessa Corte di Cassazione individuare all’interno del sistema, è legittima l’estensione operativa dell’art. 130 dello stesso codice fino a comprendervi l’errore che essa abbia compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio, i quali, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, devono essere esaminati dalla Corte medesima con propria e autonoma indagine di fatto” (massima).
72 MARINELLI C., L’emendabilità dell’error in computando mediante ricorso straordinario per Cassazione, in Diritto penale e processo, Ipsoa, 2003, pag. 969: l’autore, nel concordare con la decisione della Corte, ne definisce ineccepibile l’iter logico che “muove dalla qualificazione della svista in termini di errore materiale di cui, sia pure implicitamente, si rimarcano i connotati cumulativi della rilevabilità ictu oculi, resa manifesta dalla locuzioni all’evidenza, e della rilevanza rispetto all’esito del procedimento”.
73 GIALUZ M., sub art. 625-bis c.p.p., in Commento al codice di procedura penale, a cura di Giarda-Spangher, Ipsoa, 2007. Secondo l’autore la Cassazione in tal caso avrebbe preso “un abbaglio”, visto che nella sentenza originariamente impugnata, la prescrizione era stata esclusa non per mancata decorrenza del termine, bensì per l’inammissibilità originaria dell’impugnazione di terzo grado.
74 Si ammette la natura di rimedio impugnatorio – escludendo si tratti di revoca, che ha carattere meramente rescindente – del ricorso per errore di fatto, anche se lo stesso si rivolge contro il medesimo organo giudicante che ha assunto il provvedimento che si asserisce viziato: la diversità del giudice non costituendo una qualità essenziale del concetto di impugnazione; così come d’altro canto l’identità del giudice non è qualità essenziale della revoca.
75 In questo senso, tra gli altri, BARGIS M., Impugnazioni, in Compendio di procedura penale, a cura di Conso G. e Grevi V., CEDAM, 2006, pagg. 779 e ss.
76 Così argomenta la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, n. 16103 del 27/03/2002, in www.italgiure.giustizia.it..
77 GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, in Trattato di procedura penale – diretto da Ubertis e Voena, Giuffrè, 2005, pagg. 143-145: secondo l’autore “l’esclusione dell’effetto sospensivo risulta davvero decisiva per affermare il carattere extra ordinem dell’impugnazione in discorso”; l’art. 27, comma 2, Cost., “ricollegando il venir meno della presunzione di innocenza alla condanna definitiva, postula necessariamente il carattere sospensivo delle impugnazioni ordinarie”. La conseguenza è che “il ricorso ex art. 625 bis c.p.p., proprio in quanto privo di effetto sospensivo, si atteggia a impugnazione straordinaria”.
78 BARGI A., Ricorso straordinario per Cassazione, in Digesto delle discipline penalistiche – Aggiornamento, Utet Giuridica, 2004, pagg. 730 e ss. La nozione di sentenza ingiusta ex art. 625 bis c.p.p. si fonda su “un vizio intrinseco alla formazione del giudizio ed antecedente ad esso, in grado di inficiarne la corrispondenza alla verità processuale. Perciò l’ingiustizia della decisione che fonda la disciplina dell’errore di fatto ha riguardo ad un’anomalia di carattere processuale, tutta interna al giudizio di Cassazione”.
79 BARGI A., Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio di Cassazione, CEDAM, 2004, pagg. 152-158: precisa l’autore che “a meno di volere ritenere ridondante la previsione in parola, l’esplicita esclusione della sospensione degli “effetti del provvedimento” a seguito della presentazione del ricorso straordinario comporta, a rigore di termini, che, in assenza della regola enunciata, il nuovo mezzo di impugnazione è stato ipotizzato nella mens legis come suscettibile di determinare l’ordinario effetto sospensivo di cui all’art. 588 comma 1 c.p.p.”.
80 GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, cit.: il secondo passo “è senz’altro volto a definire l’errore di fatto, mentre il primo sembra individuare le condizioni di rilevanza di tale defaillance: esso prevede, in altri termini, che l’errore di fatto è suscettibile di essere posto a base dell’impugnazione solo se, da un lato, presenta un nesso causale rispetto alla sentenza e, dall’altro risulta dagli stessi atti o documenti di causa”.
81 GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, cit.: la scelta dell’avverbio incontrastabilmente nella disposizione “sembra assumere un significato ben preciso: quello di riconoscere rilevanza alla sola proposizione fattuale la cui falsità emerga in modo tanto chiaro da non poter dar adito ad alcuna disputa. Dovrà trattarsi, dunque, di un asserto del quale si possa predicare il massimo grado di falsità e che sia il prodotto di una cognizione la più immediata possibile”.
82 MAZZA O., Il ricorso straordinario per errore di fatto. Un quarto grado di giudizio occasionale?, in Cassazione penale, Giuffrè, 2003, pagg. 942-943. L’autore sostiene come “non emergendo dal testo del provvedimento né l’esame del motivo di ricorso, né, quantomeno, la dichiarazione del suo assorbimento in altri argomenti già valutati, risulta oggettivamente impossibile stabilire con certezza se l’omessa pronuncia sia stata frutto di una scelta consapevole da parte del giudice o di un suo mero errore percettivo”.
83 Sentenza Cassazione, Sezioni Unite, n. 16103 del 27/03/2002, in www.italgiure.giustizia.it.
Conferma l’orientamento la sentenza della Cassazione, sezione I, n. 17362 del 15/04/2009 secondo cui si ha errore di fatto qualora la disattenzione percettiva abbia causato la supposizione non veritiera sull’inesistenza del motivo di gravame, la cui presenza è in realtà immediatamente rilevabile semplicemente controllando il contenuto del ricorso (ordinario) in Cassazione presentato. Ed inoltre la sentenza della Cassazione, sezione I, n. 25374 del 28/05/2014, a norma della quale la nozione di errore di fatto “resta confinata ai casi di omessa considerazione di uno o più motivi del ricorso per Cassazione, intesa quale totale pretermissione delle doglianze riguardanti un capo o un punto della decisione, ovvero all’errore di percezione in cui sia incorsa la Corte di Cassazione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità”. In www.italgiure.giustizia.it.
84 L’errore di fatto sarà perciò irrilevante qualora i motivi di ricorso non valutati “risultino infondati, ovvero inconferenti rispetto al tema di indagine o non dedotti con l’appello”. Sentenza 16103/2002. “Deve chiarirsi, tuttavia, che la sola possibilità di qualificare la predetta svista come errore di fatto non può giustificare, di per sé, l’accoglimento del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. in mancanza di una situazione in cui non sia verificabile un rapporto di derivazione causale necessaria della decisione adottata dall’omesso esame del motivo di ricorso, nel senso che il risultato della deliberazione della Corte di Cassazione non sarebbe cambiato, anche se fosse stata sottoposta a vaglio la censura dedotta dal ricorrente”.
85 Critica in parte questa impostazione, in una nota alla sentenza delle Sezioni Unite, GIALUZ M., Omesso esame di una censura da parte della Cassazione e ricorso straordinario per errore di fatto, in Diritto penale e processo, Ipsoa, 2002, n. 8, pag. 986. Secondo l’autore “che le censure omesse siano infondate o inammissibili è problema che attiene logicamente alla fase rescissoria: tenerne conto nella fase rescindente significa confondere i due momenti che, come ci ricordano proprio le Sezioni Unite, sono sempre “concettualmente distinguibili”, anche laddove si susseguono senza soluzione di continuità”; egli sostiene quindi che la Corte dovrebbe comunque rescindere la precedente pronuncia per sostituirla con una avente una motivazione esaustiva e completa.
86 GIALUZ M., I limiti “esterni” all’errore di fatto rimediabile con ricorso straordinario per Cassazione, in Cassazione penale, Giuffrè, 2008, fasc. 2, pag. 522. L’autore constata come parte della dottrina ritenga che, “con riguardo all’ipotesi in cui dagli atti risulti evidente l’ormai intervenuta prescrizione del reato e la Cassazione abbia omesso di dichiararla”, sarebbe impossibile “distinguere tra l’errore di percezione dei verbali processuali che riportano la data della commissione del reato, l’errore di giudizio sul tempus commissi delicti e l’errore di diritto nell’interpretazione delle disposizioni che fissano gli atti interruttivi e i termini di prescrizione”. Egli tuttavia ribatte che “siffatta impossibilità non si traduce nell’irrilevanza dell’omissione, in quanto vi è una regola presuntiva destinata a operare proprio in questi casi”: trattasi della regola, esplicitata nell’ultima parte dell’art. 395 n. 4 c.p.c. in cui viene definito l’errore di fatto percettivo, secondo cui il fatto su cui cade l’errore non deve aver costituito “un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”. La norma parrebbe reggersi “sull’idea che, quando su una questione non controversa tra le parti il giudice giunge a una conclusione opposta a quella risultante incontrovertibilmente dagli atti, senza fornire una spiegazione, di norma ciò si deve a un errore protocollare e non, invece, all’errore di giudizio o ad un errore di interpretazione delle norme”.
87 Si deve distinguere tale fattispecie da quella diversa dell’omesso esame del motivo di ricorso con cui si deduce l’intervenuta prescrizione del reato. In quest’ultimo caso, secondo quanto già precedentemente si è avuto modo di rilevare, la Corte dovrà piuttosto valutare se l’omissione sia dipesa da una svista nella percezione, che abbia fatto supporre l’inesistenza della stessa censura (facilmente riscontrabile solo controllando il contenuto del ricorso).
Inoltre si precisa che potrà generarsi un errore sull’accertamento della prescrizione solo qualora la Cassazione non dichiari inammissibile ab origine il ricorso ordinario, nel suo vaglio preliminare del gravame presentato.
88 FAMIGLIETTI A., Ricorso straordinario ed errore sulla prescrizione, in Processo penale e giustizia, Giappichelli Editore, 2012, n. 2, pagg. 60 e ss.
89 Sentenza Cassazione, sezione VI, n. 10781 del 24/02/2009: nella pronuncia si escludeva l’utilizzabilità del rimedio straordinario ex art. 625 bis c.p.p. allo scopo di far dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione; ciò perché l’individuazione del momento di consumazione del reato, la verifica dell’esistenza di cause di sospensione o di interruzione della prescrizione, richiederebbero sempre un apprezzamento discrezionale, diverso da un controllo suscettibile di immediata evidenza. In www.iusexplorer.it.
90 Sentenza Cassazione, Sezioni Unite, n. 37505 del 14/07/2011. La Corte nella fattispecie rigetta il ricorso straordinario in quanto, pur emergendo un indubbio errore di percezione quanto al primo periodo del termine prescrizionale di cui si censurava il mancato computo, per quanto concerne invece il secondo periodo di sospensione relativo al procedimento in appello, la conclusione cui era giunta la Cassazione in sede di legittimità aveva richiesto una valutazione nella lettura del verbale. In www.italgiure.giustizia.it.
91 ANGELONI C., [Nota in tema di errore di fatto sulla prescrizione], in Giurisprudenza Italiana, Utet Giuridica, 2012, n. 4. L’autore sottolinea come le pronunce che si inseriscono nell’indirizzo poi accolto dalla sentenza n. 37505/2011, “più che da una chiara presa di posizione sull’argomento, sembrano essere dettate dalle concrete circostanze dedotte in giudizio; cosicché, l’inammissibilità dell’impugnazione, anziché essere la conseguenza di una precisa affermazione di principio, pare, piuttosto, derivare dalla mancata ravvisabilità, nel caso concreto, di un errore di fatto”; laddove l’intervento delle Sezioni Unite sembra in realtà “solo fare chiarezza tra quelle che sono le incertezze emerse in ambito giurisprudenziale”.
La successiva giurisprudenza sposa pressoché all’unanimità l’orientamento delle Sezioni Unite: nella sentenza della Cassazione, sezione I, n. 16280 del 12/03/2014, la Corte rileva come la situazione che ricorre nel caso di specie corrisponde a quella “dell'errore di fatto di natura percettiva, dovuto a una svista che ha impedito l'immediata rilevazione della causa estintiva del reato, evincibile direttamente dalla lettura degli atti e che sarebbe stata dichiarata dalla Corte ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., se non fosse incorsa nell'errore (di natura omissiva) lamentato dal ricorrente”. In www.iusexplorer.it.
92 GIALUZ M., Appunti sul concetto di errore di fatto nel nuovo ricorso straordinario per Cassazione, in Cassazione penale, Giuffrè, 2002, fasc. 7-8, pag. 2317. L’autore sembra accogliere con estrema naturalezza la tesi della rilevabilità della prescrizione sopravvenuta, qualora ovviamente la Corte abbia degli elementi per poterlo fare, ed afferma che “le sopravvenute cause di estinzione del reato dovranno essere dichiarate in quello che, a ben pensarci, assomiglia più a una continuazione del precedente processo di Cassazione che a un nuovo giudizio”.
93 L’errore di fatto può infatti riguardare anche una decisione strumentale, incidente sui sui presupposti per l’emanazione della sentenza, rendendo così la stessa invalida, piuttosto che ingiusta (il che accade qualora l’errore di fatto cada proprio sul contenuto decisorio del provvedimento).
94 Così si legge nella sentenza della Cassazione, sezione IV, n. 7660 del 03/03/2006: “Risolta detta questione preliminare, il ricorso appare fondato, sicché si deve revocare la sentenza n. 14784/2004 della terza sezione penale di questa Corte ed, in sede di giudizio rescissorio, annullare senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1248 del 19 febbraio 2003 per essere il delitto di violazione di sigilli aggravata contestato estinto per prescrizione, …”. In www.iusexplorer.it.
95 CRICRì L., Ricorso straordinario per errore di fatto e rilevabilità della prescrizione sopravvenuta: un passo indietro della Corte di Cassazione sul terreno delle finalità dell’accertamento penale, in Cassazione penale, Giuffrè, 2006, fasc. 11. La Cassazione in tal caso si troverebbe a dover operare nella medesima condizione in cui si era trovata la Corte stessa nel giudizio di legittimità attivato con ricorso ordinario, non potendo prestare attenzione ad elementi emersi dopo il passaggio in giudicato della decisione.
96 ROMEO G., Passato e futuro per gli errori di fatto incorsi nel giudizio di Cassazione, in Cassazione penale, Giuffrè, 2002, pag. 3494. L’autore sostiene che il termine di prescrizione debba rimanere sospeso almeno fino a che il procedimento “non venga legittimamente riaperto”, non potendosi tenere conto del tempo intercorso tra la sentenza della Cassazione e la proposizione del ricorso straordinario ai fini della maturazione della prescrizione stessa. Non sussistono particolari dubbi sul fatto che il procedimento si chiuda una volta che la Cassazione si sia pronunciata sul ricorso ordinario, dato che a quel punto si ottiene res iudicata, e solo in casi assai rari la condanna può essere legittimamente rimessa in discussione.
97 Tuttavia il disegno di legge n. 2798 presentato nel dicembre 2014, ed attualmente al vaglio del Parlamento, all’art. 19 prevede che al terzo comma dell’art. 625 bis c.p.p. siano aggiunte le seguenti parole: “[…] L’errore di fatto può essere rilevato dalla corte di cassazione, d’ufficio, entro novanta giorni dalla deliberazione”.
98 In tal senso CORBO A., Il “favore del condannato” come presupposto di ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto, in Cassazione penale, Giuffrè, 2011, n. 9, pag. 3063.
99 Sentenza Cassazione, sezione VI, n. 91 del 03/01/2014, in www.italgiure.giustizia.it: “Il ricorso straordinario è consentito esclusivamente in favore del condannato poiché tale rimedio è esperibile contro una decisione della Corte di Cassazione solo quando questa, rigettando o dichiarando inammissibile il ricorso, renda definitiva una sentenza di condanna, sicché la persona offesa è soggetto non legittimato a proporre tale impugnazione” (massima).
100 ROMEO G., Passato e futuro per gli errori di fatto incorsi nel giudizio di Cassazione, in Cassazione penale, Giuffrè, 2002, pagg. 3475: muovendo dall’idea che occorra dare un’interpretazione finalistica alla norma ex art. 625 bis c.p.p., “deve ammettersi che la correzione di un errore non può essere un problema che riguardi solo il condannato”.
101 Sentenza Cassazione, sezione III, n. 39179 del 08/05/2014, in www.iusexplorer.it: “Con l’istituto ex art. 625 bis c.p.p., è stato introdotto nel nostro sistema processuale penale e nel modello giurisdizionale del processo di legittimità un rimedio di natura straordinaria, incidente sulla nozione fondamentale di giudicato, di guisa che non appare in contrasto col principio di uguaglianza limitarne l’accesso al di fuori delle parti principali e necessarie del processo penale.
Neppure appare ipotizzabile, seppur nei limiti della non manifesta infondatezza, la violazione dell’art. 24 Cost., sul rilievo che la limitazione al ricorso di un rimedio processuale di carattere straordinario non appare ragionevolmente idonea a comprimere il diritto di difesa né pregiudica il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti”.
102 Si veda, tra le altre, la sentenza della Cassazione, sezione VI, n. 28713 del 11/05/2012, in www.iusexplorer.it: “In tema di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, la presentazione del ricorso presso la cancelleria della Corte di Cassazione deve essere effettuata dal condannato personalmente o dal difensore di fiducia munito di procura speciale”.
103 In questo senso GIALUZ M., Sulla legittimazione del difensore a proporre ricorso straordinario per errore di fatto, in Cassazione penale, Giuffrè, 2003, fasc. 6, pag. 1856.
104 GIALUZ M., Sulla legittimazione del difensore a proporre ricorso straordinario per errore di fatto, cit.. L’autore, a sostegno della tesi della permanenza di un rapporto fiduciario tra difensore ed avvocato adduce anche una considerazione di ordine operativo: “Com’è noto, il termine di 180 giorni previsto dall’art. 625-bis comma 2 c.p.p. decorre dal deposito del provvedimento della Corte: dunque, non essendo previsto alcun avviso, si ritiene che in capo all’interessato gravi l’onere di effettuare periodici controlli presso la cancelleria della Cassazione. Ed è ragionevole pensare che tale attività venga svolta dal difensore e non direttamente dal condannato”.
INZERILLO G., Riflessioni a prima lettura sul ricorso straordinario per errore di fatto, in L’indice penale, CEDAM, 2002, pagg. 108-109, distingue “tra il difensore già nominato al momento dell’emissione della sentenza della Suprema Corte e quello munito di formale nomina specificamente diretta alla proposizione del ricorso straordinario previsto dall’art. 625 bis c.p.p.: il primo non sarebbe legittimato , visto che col giudicato si esaurisce il rapporto tra l’imputato ed il suo difensore; “qualora, invece, per l’esercizio del diritto di impugnazione ci si avvalga del ministero di un difensore – il quale deve essere munito del requisito dell’iscrizione all’albo speciale della Corte di Cassazione – l’autonoma titolarità a proporre il ricorso straordinario sembra discendere dalla disposizione dell’art. 571, comma 3, c.p.p. che si riferisce, senza alcuna specificazione, a tale soggetto”.
105 Si veda ad esempio la sentenza della Cassazione, sezione VI, n. 26485 del 27 aprile 2010: nel caso di specie il condannato ai soli effetti civili aveva proposto ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., per avere la Corte di Cassazione rigettato il (secondo) ricorso ordinario dopo essere incorsa in un errore di fatto. La stessa infatti non si sarebbe avveduta della circostanza che in sede di rinvio (in seguito al primo ricorso ordinario in Cassazione) la Corte d’appello, pur confermando la sentenza di non doversi procedere, aveva emesso condanna in favore delle parti civili, che in realtà le era preclusa: la preclusione derivava dal fatto che il ricorso in appello della parte civile era stato precedentemente dichiarato inammissibile, mentre in primo grado l’imputato veniva assolto con formula piena. La Suprema Corte ha quindi dovuto affrontare preliminarmente il vaglio di ammissibilità della legittimazione del condannato ai soli effetti civili a proporre ricorso straordinario, decidendo in senso positivo. PERONI F., Il condannato ai soli effetti civili è legittimato al ricorso straordinario per Cassazione, in Diritto penale e processo, Ipsoa, 2010, pag. 1070.
106 In questo senso, sentenza Cassazione, sezione I, n. 46277 del 03/12/2008, in www.iusexplorer.it: nella sentenza si afferma in maniera esplicita come debba ritenersi inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto proposto contro una sentenza della Cassazione che abbia reso definitiva una decisione di estinzione del reato per prescrizione, confermando però anche le statuizioni in favore della parte civile: all’imputato, così condannato ai soli effetti civili, veniva perciò preclusa la possibilità di veder annullare la sentenza per errore di fatto.
107 FRATANGELI E., Ricorso straordinario per Cassazione e statuizioni civili, in Giurisprudenza Italiana, Utet Giuridica, 2013, n. 4: il mezzo di impugnazione ex art. 625 bis c.p.p. assume “così le vesti di una estrema tutela che, in via del tutto eccezionale e solo in omaggio al favor innocentiae, consente di sacrificare il valore del giudicato, anch’esso costituzionalmente protetto ma che, nel giudizio di bilanciamento con i principi di cui agli artt. 24, 27, comma 3 e 111, comma 7, Cost., è senza dubbio destinato, in siffatte ipotesi di errore, a cedere il passo”.
108 Sentenza Cassazione, Sezioni Unite, n. 28719 del 21/06/2012, in www.italgiure.giustizia.it: la Corte sottolinea come, in caso di diniego di esperire il ricorso ex art. 625 bis c.p.p. per il condannato ai soli effetti civili, l’errore di fatto sarebbe “emendabile in caso di azione esercitata in sede propria, e non emendabile se esercitata in sede penale, pur in presenza di un vizio strutturalmente identico (stesso errore di fatto, di tipo percettivo, attinente alla lettura degli atti interni al giudizio) e di un ugualmente identico tipo di giudizio (davanti alla Corte di Cassazione)”.
109 La revisione ha ad oggetto la cosa giudicata che si è formata nel corso del giudizio di merito; il ricorso straordinario ha ad oggetto invece proprio la decisione della Cassazione, cioè solo il segmento finale della fattispecie costitutiva della cosa giudicata (l’ultimo tassello necessario alla formazione del giudicato). Il ricorso ex art. 625 bis c.p.p. perciò pone in discussione l’iter di formazione della decisione della Corte dal punto di vista della mancata corrispondenza storica della stessa agli atti del giudizio di legittimità. BARGI A., Ricorso straordinario per Cassazione, in Digesto delle discipline penalistiche – Aggiornamento, Utet, 2004, pag. 733.
110 GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, in Trattato di procedura penale – diretto da Ubertis e Voena, Giuffrè, 2005, pagg. 175-176. La fattispecie che dà luogo al giudicato si compone di due elementi: una sentenza di merito (di condanna nel caso di cui all’art. 625 bis c.p.p.) ed una pronuncia della Cassazione, la quale o si limita a conferire autorità di cosa giudicata alla decisione di merito, oppure modifica il dispositivo nei limiti consentiti.
111 Sentenza Cassazione, sezione III, n. 43697 del 10/11/2011, in www.italgiure.giustizia.it: “È inammissibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avverso una ordinanza della Corte di Cassazione che abbia dichiarato l’inammissibilità di un ricorso proposto contro un provvedimento di rigetto di una richiesta di revisione, atteso che la disposizione di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen., che ha carattere tassativo e non è suscettibile di interpretazione analogica, circoscrive l’esperibilità del gravame (proponibile solo dal condannato e dal Procuratore generale) esclusivamente alle sentenze della Corte per effetto delle quali diviene definitiva una sentenza di condanna” (massima).
Sentenza Cassazione, sezione I, n. 32828 del 27/05/2014, in www.italgiure.giustizia.it: “Il ricorso straordinario ex art 625-bis cod. proc. pen., contenente richiesta di correzione dell’errore materiale o di fatto, può avere ad oggetto esclusivamente pronunce di condanna, dovendosi intendere con tale termine l’applicazione di una sanzione penale, mentre non è esperibile allorché la decisione della Corte di Cassazione riguardi quei provvedimenti adottati dai giudici di sorveglianza (nella specie, diniego della liberazione anticipata)” (massima).
112 Sentenza Cassazione, Sezioni Unite, n. 16103 del 27/03/2002, in www.italgiure.giustizia.it.: non sarebbe accoglibile secondo il collegio l’indirizzo che ritiene proponibile il ricorso straordinario “anche contro le decisioni adottate nei procedimenti incidentali “de libertate””.
113 DIDDI A., Presupposti e limiti del ricorso straordinario per Cassazione, in La giustizia penale, Franco Angeli Editore, 2002, item 8-9, pagg. 450 e ss.
114 REPETTO G., Ricorso straordinario in Cassazione e giudicato cautelare: un’ordinanza di inammissibilità, in attesa d’altro?, in Giurisprudenza Costituzionale, Giuffrè, 2014, fasc. 3, pag. 2870. Secondo l’autore, l’occasione avrebbe potuto rivelarsi propizia per poter superare l’orientamento restrittivo seguito dalla Cassazione, che tende comunque a considerare in modo diverso la situazione dell’indagato sottoposto a misura cautelare, in ragione della provvisorietà del relativo provvedimento.
115 Risulta evidente come le sentenze di annullamento con rinvio non possano essere comprese tra quei provvedimenti della Cassazione che rendono irrevocabile una sentenza di condanna, proprio in quanto si deve ancora celebrare perlomeno il giudizio di rinvio. D’altra parte il procedimento penale non si può dire concluso fino a quando non siano esauriti i diversi gradi di giudizio garantiti dal sistema. PIERDONATI M., Ricorso straordinario per Cassazione ed errore contenuto in una sentenza di rinvio, in Diritto penale e processo, Ipsoa, 2011, n. 4, pagg. 445 e ss.
116 Aderisce alla tesi per cui pure la sentenza di annullamento con rinvio può essere formativa di un giudicato che riesce ad estendere i suoi effetti su tutto il dedotto ed il deducibile ad essa precedente, anche GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, in Trattato di procedura penale – diretto da Ubertis e Voena, Giuffrè, 2005. L’autore peraltro avanza più di una perplessità quanto alla legittimità della scelta del legislatore di negare l’impugnabilità della pronuncia di annullamento con rinvio, proprio per gli effetti che da un errore sulla stessa possono derivare in termini di ingiustizia della decisione successiva.
117 L’orientamento è accolto dalla sentenza della Cassazione, sezione I, n. 4975 del 28 gennaio 2004, in www.iusexplorer.it: la Corte in questo caso, pur ritenendo inammissibile il ricorso straordinario proposto contro una sentenza di annullamento con rinvio, aggiunge che “l’ammissibilità dell’impugnazione straordinaria può essere, semmai, riconosciuta soltanto all’esito del giudizio rescissorio, allorquando sia passata in giudicato la sentenza emessa dal giudice di rinvio”.
118 BARGI A., Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio di Cassazione, CEDAM, 2004, pagg. 229-231: “In altri termini, essendo incontrovertibile che con riguardo al “capo” della sentenza si possa parlare di cosa giudicata, in quanto contiene l’accertamento definitivo della situazione giuridica che ha condotto all’eventuale condanna, si può agevolmente concludere che avverso tale parte della sentenza può essere proposto tempestivamente il ricorso straordinario: ne ricorrono, infatti le condizioni dello status di condannato e della pronuncia passata in giudicato formale”.
119 In questo senso ad esempio la sentenza della Cassazione, sezione I, n. 24659 del 15/06/2007, in www.iusexplorer.it: secondo questa sentenza varrebbe il principio per cui non si è in presenza di una condanna qualora sia stata accertata soltanto la responsabilità dell’imputato, ma non ancora applicata la relativa pena; l’irrevocabilità e l’esecutività della sentenza, condizioni per la proponibilità del giudicato, dovrebbero riguardare infatti il capo d’imputazione nella sua interezza.
Parimenti dispone la sentenza della Cassazione, sezione III, n. 7676 del 10 gennaio 2012, in www.iusexplorer.it: secondo la Corte, pur essendo passato in giudicato il capo relativo alla responsabilità, non sarebbe consentita l’esecuzione fino alla definizione del giudizio di rinvio relativo solo al quantum di pena.
120 In questo senso, tra le altre, sentenza della Cassazione n. 25977 del 08/06/2010, in www.iusexplorer.it: la Corte ha in questo caso rilevato come non vi possano essere dubbi sul passaggio in giudicato del punto della sentenza relativa all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato per un determinato fatto-reato, qualora l’annullamento sia disposto solo limitatamente alla necessità di ridefinire il trattamento sanzionatorio; si forma così un giudicato parziale e la qualità di condannato, nel significato che rileva per la proponibilità del ricorso straordinario, diviene non più rimuovibile.
121 Le Sezioni Unite aggiungono, a sostegno del loro ragionamento, che “se è pur vero […] che la giurisprudenza di questa Corte non ha mancato di sottolineare come, proprio in tema di giudicato parziale, non possa essere confusa la eseguibilità di una sentenza penale di condanna con l’autorità di cosa giudicata attribuibile ad una o più statuizioni in essa contenute, non può al tempo stesso trascurarsi di considerare che, in più occasioni, la stessa giurisprudenza ha avuto modo di affermare che, quando la decisione divenga irrevocabile in relazione alla affermazione della responsabilità e contenga già l’indicazione di una pena minima che il condannato deve comunque espiare, la stessa deve essere messa in esecuzione, in quanto l’eventuale rinvio disposto dalla Corte di Cassazione relativamente ad altri reati non incide sull’immediata eseguibilità delle statuizioni residue aventi propria autonomia” (sentenza Cassazione, Sezioni Unite, n. 28717 del 21/06/2012, in www.italgiure.giustizia.it). Pone qualche dubbio sulle ragioni addotte a sostegno della soluzione prescelta nella sentenza qui analizzata, ROMEO G., Le Sezioni Unite sull’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto contro la sentenza di legittimità di parziale annullamento con rinvio, in www.penalecontemporaneo.it, 10 settembre 2012.
122 BARGI A., Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio di Cassazione, CEDAM, 2004, pag. 248. L’autore aggiunge che inevitabilmente, la domanda di un nuovo giudizio avente ad oggetto lo stesso errore di fatto, “si risolverebbe in quella – inammissibile – di una rivalutazione della pregressa decisione di inammissibilità o di rigetto del ricorso straordinario”.
123 GIALUZ M., Il ricorso straordinario per Cassazione, in Trattato di procedura penale – diretto da Ubertis e Voena, Giuffrè, 2005, pagg. 375-379.
124 Pare infatti essere pacifica la possibilità di una reiterazione del ricorso, nell’ipotesi in cui l’impugnante si avveda delle imperfezioni o delle omissioni dell’atto di impugnazione, prima della pronuncia del giudice ad quem. In questo modo l’atto sarebbe invero sempre e solo uno, nel quale verrebbero fatti confluire tutti i ricorsi presentati; come unico sarebbe di conseguenza il relativo giudizio.
125 Si ricorda – come già precisato nel paragrafo 3.3. del terzo capitolo – che il ricorso straordinario deve rivolgersi sempre “a favore del condannato” (anche se proposto dal procuratore generale), come requisito di ammissibilità dell’impugnazione stessa. Ciò potrebbe far pensare che la consumazione del potere operi comunque anche nei confronti del condannato, pur se il ricorrente è il procuratore generale.