Magistratura, associazionismo, autogoverno
di
Valerio FRACASSI
pubblichiamo l’editoriale del segretario generale uscente del Mov3 sull’ultimo numero della Rivista Giustizia Insieme, in corso di stampa, come contributo al confronto di idee su queste tematiche di particolare attualità ed importanza per la vita professionale dei magistrati
E’ questo l’ultimo editoriale che firmo come segretario del Movimento per la Giustizia-art. 3. Lascio l’incarico con la consapevolezza di un percorso di rinnovamento ormai avviato.
Nell’augurare al neo-segretario Nicola Di Grazia buon lavoro, concludo offrendo qualche spunto di riflessione su un tema che ci sta molto a cuore nell’impegno a migliorare “dall’interno” il servizio giustizia.
Assistiamo, in questo periodo, ad una riflessione fortemente dialettica sul nostro autogoverno e sull'associazionismo.
E' un fenomeno che, proprio in questo momento, riflette quello che accade nella società.
Una crisi di fiducia, la contestazione alla "casta", l'antipolitica.
Anche nel nostro caso nasce, indubbiamente, dalla torsione di alcune dinamiche della rappresentanza tradizionale e dall'incapacità di percepire per tempo o comunque realizzare un processo di cambiamento.
Anche nella magistratura questa reazione, comprensibile e, in ogni caso, segnale da non trascurare, rischia talvolta di tradursi, nella generalizzata contestazione del sistema, in pericolose deviazioni autoreferenziali ed anche di difesa corporativa.
Abbiamo avuto modo di commentare (vedi editoriale al n.2/2010 “Correnti, turbolenze, Area”) il fenomeno delle correnti (occasione di aggregazione su valori e, quindi, fecondo stimolo di elaborazione culturale) e la sua degenerazione nel “correntismo” (l’occupazione dell’autogoverno, ma in realtà di tutti i momenti di gestione, ispirato alla logica dell’appartenenza).
Dicevamo che sarebbe ingiusto ed eccessivo valutare l’autogoverno solo in quest’ottica. Non tutti si sono comportati allo stesso modo e non tutto l’autogoverno è stato correntismo.
Ma è altrettanto errato confinare il fenomeno nella occasionalità o marginalità.
Il “correntismo” è sicuramente un altro motivo di crisi dell’associazionismo, anche questo variamente percepito.
Quale la possibile reazione?
La nostra risposta è il progetto di Area, di cui abbiamo già più volte parlato.
Un progetto che non nega ma anzi valorizza le identità di due gruppi (Movimento-art. 3 e Magistratura Democratica) come motori per l’aggregazione di non iscritti che si riconoscono in un determinato modello di magistrato e per consentire loro di partecipare a progetti che a tale modello si ispirano.
Un progetto che, dunque, riunisce iscritti – a due gruppi – e non iscritti. Che si propone di coinvolgere tutti sia nella scelta degli organi di rappresentanza che nell’accesso a tali organismi.
E’ un cantiere in costruzione che ha già visto con successo una serie di tappe importanti: un gruppo unico al CSM ed al Comitato direttivo centrale dell’ANM, la scelta dei candidati attraverso le primarie e non all’interno dei gruppi, la prima assemblea nazionale di Area.
Siamo in vista anche della seconda assemblea di Area che deve definire la carta dei valori di Area e scegliere un organismo di coordinamento nazionale.
Area ha l’ambizione di proporre un progetto concreto contro il correntismo con chiunque ci vorrà stare.
Questo percorso ci pone oggi di fronte a interrogativi su cui è il caso di riflettere e che, ancora una volta, anche nelle scelte associative, richiamano un’attenzione su alcuni valori che il progetto di “Area” deve presupporre per scongiurare soluzioni non meditate soprattutto nelle loro implicazioni in un sistema democratico.
Il primo è nella convinzione, più o meno consapevole, che gli eccessi del correntismo si possano neutralizzare con il ricorso alla primazia di un organo tecnico, al di sopra della collegialità che si sostiene essere "governata" dalle correnti.
Al massimo livello dell’autogoverno, per esempio, con il Comitato di presidenza del CSM, composto dal Vice-Presidente del CSM, dal primo presidente e dal procuratore generale della Cassazione.
Persone di indiscussa autorevolezza e qualità, ma che NON sono il CSM.
Non quell'organo collegiale, composto non solo da magistrati, che il costituente ha - non a caso - previsto a tutela dell'indipendenza ed autonomia della magistratura, ma anche della società democratica che ha sempre cercato di evitare la creazione di corpi separati, autoreferenziali, e come tali nemici della democrazia.
E allora non è per sfiducia in questo o quell'organo di direzione, ma per il rispetto di una ben determinata concezione dell'autogoverno democratico e della sua valenza anche “politica” che occorre ribadire, sia nelle grandi questioni che in quelle di dettaglio dell'autogoverno, il ruolo centrale del CSM rispetto a chi ha compiti, pur importanti e svolti in modo egregio, di direzione.
Anche perché, nella inevitabile semplificazione mediatica, una presa di posizione pubblica del Comitato di presidenza appare come quella dell’intero autogoverno.
Cito, a titolo di esempio, quanto avvenuto in prossimità delle ultime elezioni politiche, quando il Comitato di presidenza del CSM è intervenuto con un comunicato stampa .
Rispondendo alle “alle invocazioni rivolte da alcuni esponenti politici al Csm perché intervenga sulle vicende delle udienze del Tribunale e della Corte di Appello di Milano”, dopo aver ribadito che non gli competeva intervenire sul merito delle singole vicende né nella gestione delle udienze aveva tuttavia auspicato che si evitassero “nei limiti del possibile interferenze tra vicende processuali e vicende politiche”.
L'auspicio non poteva che essere letto, e così è stato, come un invito a sospendere i procedimenti in corso fino alle elezioni. Un auspicio attribuito all’intero organo di autogoverno che non ne aveva affatto discusso e che, come emerso da alcune prese di posizioni immediate, nemmeno l’aveva condiviso.
Proprio perché non è in discussione la qualità delle persone, si può ribadire però il principio della centralità dell’organo di autogoverno rappresentativo, che va sicuramente criticato, quando assume posizioni errate, ma non sottoposto a tutela.
Ma il principio va salvaguardato anche nella gestione dell'ordinario, dove la lotta alla degenerazione correntizia deve passare attraverso l'introduzione di regole e prassi condivise, la verifica della sua applicazione, la critica delle posizioni che vengono assunte in trasparenza dall'autogoverno. Su questo tema Area ha dimostrato, di recente, di aver avviato un pubblico e sofferto confronto al proprio interno.
La soluzione non può essere quella di un arretramento dell'organo collegiale rispetto al suo organismo di direzione cui viene assegnato, riconosciuto o tollerato, il compito di “svincolarsi” dalle logiche di maggioranza dell'organo collegiale che è chiamato a dirigere.
Non credo sia accettabile l'idea - che alcuni sembrano avallare anche al di là delle intenzioni degli interessati - di un organismo di direzione dell'autogoverno che agisce quale “amministratore di sostegno” di un CSM in preda alle correnti, quale salvifico tutore che deve con ogni mezzo cercare di ovviare alle distorsioni di un organo collegiale liberamente eletto da persone che fanno i magistrati.
Si parla di lottizzazione, spesso con accenti demagogici, talvolta anche da chi ne è stato protagonista, e in un confronto mediatico che ha mutuato spesso i peggiori canoni di confronto della politica.
Siamo tutti d'accordo sulla necessità di estirpare il male della lottizzazione tra le cosiddette correnti. Ma stiamo attenti a non sostituirla con il rapporto personale, con il lobbismo, con le cordate di collegamento ai centri decisionali, anche se in apparenza dichiaratamente animate dalla ricerca della soluzione migliore.
Mi sembra un rimedio peggiore del male. Preferisco i difetti della democrazia.
Altrettanto negativa, a mio avviso, è l’idea di superare gli inconvenienti con il ricorso a valutazioni numeriche, a parametri minuziosamente delineati ed insuperabili, ad una riduzione degli spazi di discrezionalità.
Il rimedio è illusorio e pericoloso. Illusorio perché l’attribuzione di un numero, di un parametro, presuppone una valutazione. Pericoloso perché finisce per ricondurci nel recinto dell’anzianità senza demerito. Al passato.
L’autogoverno deve mantenere invece il suo spazio di responsabile discrezionalità che dovrà sempre più esercitare in modo trasparente.
I magistrati dovranno vigilare sull’esercizio di questo potere senza sconti per nessuno, evitando di cadere nell’atteggiamento di un attacco indiscriminato all’autogoverno (che fa il gioco di chi nulla vuole cambiare, o vuole dall’esterno ridimensionarlo), ma con un’attenta valutazione delle singole posizioni espresse, astenendosi da private sollecitazioni e, soprattutto, accettando l’idea che possa esserci qualcun altro più adatto o comunque preferito in una nomina, senza che il tutto sia frutto di accordi o prassi illecite.
Un altro interrogativo importante, per chi, come noi, ritiene essenziale l’associazionismo nel percorso di rinnovamento, riguarda le dinamiche della rappresentanza associativa.
Area è stata il primo e, a quanto consta, unico movimento associativo a selezionare i candidati con primarie o comunque selezioni aperte nei territori.
Primarie certo da migliorare, con difetti, ma assolutamente vere e libere.
Non conosciamo i meccanismi di selezione di altre liste che hanno contestato il centralismo delle “correnti”. Non sono stati resi noti.
Le primarie di Area sono la dimostrazione di una sincera volontà di reagire a meccanismi di cooptazione, lasciando che sia la base a decidere. Questo non significa certo, secondo lo strano concetto di democrazia di alcuni, che si debba lasciare campo libero solo ai non iscritti, ma che ciascuno sperimenta sul campo la capacità persuasiva delle candidature che vengono proposte e offerte alla libera competizione elettorale.
Non è inutile ricordare che oggi abbiamo un segretario generale dell’ANM che NON è iscritto ad alcuna corrente. E’ stato scelto come candidato dalla base di Area. E’ stato eletto dalla base di Area.
Le scelte di rappresentanza affidate alla base richiedono, tuttavia, anche una consapevolezza da parte di chi si propone nei circuiti di rappresentanza chiedendo il voto in nome di Area.
Potrebbe accadere che singoli rappresentanti, eletti dalla base di una “non corrente”, rifiutino poi, in varia misura, il collegamento con l’organizzazione dell’esperienza per la quale si erano candidati, in nome della “libertà di coscienza” e dell’assenza di “vincoli di mandato”.
Questo atteggiamento finirebbe per mettersi inconsapevolmente al servizio di logiche strumentali di altri gruppi associativi che, lungi dall’essere interessati ai contenuti, intendono approfittare delle divergenze altrui.
Il problema principale è, però, quello della possibile incidenza sull’efficacia dell’azione di una “formazione-Area”che ha chiesto il voto su un certo programma, di contenuti e metodo, e può veder indebolire la sua azione su scelte collegialmente concordate.
Il problema della rappresentanza del non “organico” ad un gruppo richiede alcuni punti fermi ed un processo di maturazione.
Il primo punto fermo è che non si può tornare indietro. Le scelte della base di Area sono un valore acquisito di Area, non modificabile delle organizzazioni dei singoli gruppi. Il futuro è questo, senza se e senza ma.
Il secondo è che non vi è ovviamente alcun “vincolo” di mandato, ma di metodo di lavoro.
Il processo di maturazione deve partire dalla consapevolezza da parte del singolo di non essere investito di una missione solitaria, di non essere designato come “giudice” nella camera di consiglio, come tale impermeabile ad ogni sollecitazione, ma di avere una responsabilità di rappresentanza.
All’interno di Area si dovrà comprendere che la designazione elettorale è indicativa del consenso ad un lavoro di gruppo, in cui gli eletti sono chiamati ad un continuo confronto che favorisca, proprio con il vantaggio della collegialità, la sintesi più felice per la realizzazione del programma su cui si è chiesta la fiducia, andando oltre le eventuali difficoltà nei rapporti personali, che non possono che soccombere alle aspettative collettive dell’elettorato che ha scelto.
In questo contesto e su queste premesse, le differenze sono una risorsa e non un problema.
Il confronto costante con i colleghi rimane naturalmente sullo sfondo come linea guida per le dinamiche di rappresentanza a qualunque livello. Consente di spiegare, far capire e capire, sentire anche la rappresentatività delle proprie posizioni.
Internet e la piazza telematica delle mailing list offrono oggi un potente strumento per la circolazione delle notizie e delle idee.
Si pongono però anche a tale proposito problemi di gestione di queste forme di comunicazione, in modo da salvaguardarne la funzione positiva.
I limiti espressivi del mezzo si prestano alla esasperazione dei toni ed alla torsione polemica della dialettica. Quando poi l’intento polemico è studiato o comunque cercato e praticato, il confronto diventa impossibile e le opinioni urlate occupano la piazza telematica creando l’illusione di una reale rappresentatività rispetto ad una maggioranza che rimane silenziosa per l’impossibilità di un confronto o il disinteresse ad un confronto di tal genere.
La stessa illusione incide poi su chi cede alla tentazione del consenso della piazza telematica quando non si accompagna al confronto reale, in incontri, assemblee.
Gli inconvenienti non devono scoraggiare ma spingere a cercare i rimedi per non rinunziare a preziosi strumenti di comunicazione.
Uno di questi è sicuramente quello di riprendere ad incontrarsi, a dedicare del tempo per riunirsi ascoltare e discutere, crescere insieme. Non è tempo perso ma guadagnato.
Esiste una terza via tra il conservare e il distruggere.
Non bisogna aver timore di cambiare, ma neppure di conservare quello che serve, senza dimenticare le ragioni per le quali lo vogliamo.
Tra queste ci deve essere anche la consapevolezza che la magistratura non è una società a parte, ma parte della società.
VALERIO FRACASSI
Segretario generale uscente del Movimento per la Giustizia-art. 3