Ordinanza del 15 dicembre 2009, con la quale il giudice di pace di Agrigento, ritenendo non manifestamente infondata la questione, ha rimesso alla Corte Costituzionale con il seguente dispositivo:
Solleva questione di legittimità costituzionale degli artt.: 10 bis del D.L.vo n. 286 del 1998, introdotto, dall’art. 1, comma 16°, lett. a), della Legge 94 del 2009; 16, comma 1°, del D.L.vo n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 3, comma 16°, lett. b), della Legge 94 del 2009; e 62 bis del D.L.vo n. 274 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 17°, lett. d), della Legge 94 del 2009; e ciò per contrasto con gli artt. 3, 25, 27 e 117 della Costituzione della Repubblica Italiana.
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UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI
AGRIGENTO
Il Giudice di Pace di Agrigento, in pers. dell’Avv. Giuseppe Alioto, ha emesso e dato lettura alle parti della seguente
ORDINANZA
nel processo penale iscritto al n. 19/2009 del R.G. G.d.P. (n. 624/2009 del R.G. Noti-zie di Reato P.M.) nei confronti dei Sigg.ri: Warhani Mohamed, Djridi Farhat, Labdali Mosbah, Abdelhak Khaladi, Bouchriha Charif, Boulaich Abdessalam, Alabdali Saber, Ayar Ramzi, Fayala Youssef, Sabri Chata Giuseppe, Gannouni Bilal, Benhamda Nizar, Younes Monder, Karamoun Anouar, Jabbi Mohamed, Eldin Najmi, Dhebi Nabil, Ben Abdelkader Fares, Kittar Saaid, Ardaoui Mouaz, Ayari Mohamed, tutti sedicenti e tutti imputati per il reato previsto e punito dall’art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98, come introdotto dall’art. 1, comma 16°, lettera a), della Legge n. 94 del 2009 perché facevano ingresso nel territorio dello Stato Italiano in violazione delle norme del d.lvo 286/98; in particolare giungevano presso l’Isola di Lampedusa a bordo di un motopesca lasciato alla deriva; in Lampedusa il 9 agosto 2009
PREMESSO
Con provvedimento del 14.08.09, ritualmente notificato agli imputati ed al loro difen-sore, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento autorizzava la cita-zione contestuale a giudizio (ex art. 20 ter D.L.vo n. 274 del 2000), davanti a questo Giudice di Pace, degli stranieri in epigrafe generalizzati, per rispondere della contrav-venzione di cui all’art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98 con specifico riferimento alla con-dotta di cui al capo di imputazione sopra riportato.
All’udienza del 27.08.09, corretti degli errori materiali nel capo di imputazione, la di-fesa dell’imputato Dhebi Nabil, depositando apposita memoria, sollevava la questio-ne di legittimità costituzionale degli artt. 10 bis e 16, comma 1°, del D.L.vo n. 286 del 1998 e 62 bis del D.L.vo n. 274 del 2000 per la violazione: degli artt. 3 e 25 della Costituzione, sotto il profilo della denunciata lesione del principio di ragionevolezza e della natura di extrema ratio della norma penale; degli artt. 3 e 27 della Costituzio-ne, sotto il profilo della ritenuta violazione del principio di eguaglianza, proporziona-lità della pena e personalità della responsabilità penale; degli artt. 2 e 117 della Costi-tuzione, sotto il profilo della ritenuta violazione dell’art. 8 della C.E.D.U.; dell’art. 25 della Costituzione, sotto il profilo della asserita violazione del principio di irretroatti-vità della legge penale; dell’art. 117 della Costituzione, sotto il profilo della inosser-vanza dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali assunti con l’art. 11 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 16.11.66 dell’Assemblea Generale del-l’O.N.U.. Deduceva, altresì, l’incostituzionalità dell’art. 4, comma 2°, del D.L.vo n. 274 del 2000 per la ritenuta lesione del principio di irragionevolezza stante l’attribu-zione della specifica competenza penale al Giudice di Pace, nonché degli artt. 20 bis, 20 ter e 32 bis dello stesso D.L.vo per la violazione degli artt. 25 e 111 della Costitu-zione, sotto il profilo della lesione del diritto di difesa e del principio del giusto pro-cesso.
All’udienza del 22.09.09, risolte le questioni di nullità della citazione dedotte nell’u-dienza precedente e data lettura dell’imputazione, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, depositando anch’essa apposita memoria, sollevava la que-stione di legittimità costituzionale degli artt. 10 bis e 16, comma 1°, del D.L.vo n. 286 del 1998 e 62 bis del D.L.vo n. 274 del 2000 per la violazione: degli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, sotto il profilo della ritenuta violazione dei principi di materia-lità ed offensività del diritto penale nonché di quelli di proporzionalità e ragionevo-lezza della legge penale; dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della evidenzia-ta ingiustificata disparità di trattamento tra condotte identiche per fatti che esulano da una condotta volontaria dei soggetti interessati; dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza per la mancata attribuzione di ri-levanza, in seno alla nuova fattispecie criminosa, ad eventuali giustificati motivi che potrebbero determinare la condotta illecita; e dell’art. 117 della Costituzione, sotto il profilo della violazione degli obblighi internazionali assunti dall’Italia in materia di trattamento dei migranti.
All’udienza del 29.10.09, anche la difesa degli altri imputati sollevava la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 bis e 16, comma 1°, del D.L.vo n. 286/98 e 62 bis del D.L.vo n. 274/00, depositando memoria nella quale censurava le citate dispo-sizioni nei medesimi termini già dedotti dalle altre parti.
Il giudizio veniva istruito con le produzioni documentali offerte dalle parti e con l’as-sunzione della prova testimoniale a mezzo dei testi: Sanfilippo Giuseppe, assistente della P.S. in servizio presso la Squadra Mobile di Agrigento; Miragliotta Federico, di-rettore pro tempore dell’associazione “Lampedusa Accoglienza”; e Neri Federico, in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Lampedusa.
Esaurita l’istruttoria dibattimentale, il processo veniva rinviato all’odierna udienza, in esito alla quale viene data lettura del presente provvedimento.
Tanto premesso, il sottoscritto Decidente, in riferimento alle dedotte censure di inco-stituzionalità
OSSERVA
1) Sulla rilevanza delle questioni sollevate
Gli elementi di prova acquisiti in giudizio consentono di ritenere astrattamente prova-ta la responsabilità degli imputati in relazione alla fattispecie contravvenzionale loro contestata in imputazione.
Ed invero, dall’esame del teste Neri è emerso che egli, nella mattina del 09.08.09, su segnalazione pervenuta presso la Stazione ove prestava servizio, si recava nella locale Via Madonna di Lampedusa ove riscontrava dei gruppi di stranieri che presentavano le scarpe e le parti basse del pantalone bagnate; richiesti loro i documenti, questi non gli venivano esibiti; indi, gli stranieri venivano prelevati dal personale della “Lampe-dusa Accoglienza” e condotti presso il locale C.I.E.. Il teste ha, altresì, riferito che, a seguito del rinvenimento della imbarcazione, si appurava che gli stranieri erano sbar-cati nella spiaggia denominata Isola dei Conigli. Ha, infine, precisato che le successi-ve fasi di identificazione degli stranieri erano state effettuate da personale della Que-stura di Agrigento presso il C.I.E. e che gli stranieri erano in numero di 21.
Il teste Sanfilippo ha riferito di avere ricevuto presso il proprio Ufficio i cartellini dat-tiloscopici redatti dal personale dell’Ufficio Immigrazione presso il C.I.E. di Lampe-dusa, unitamente ad una informativa nella quale si precisava che gli stranieri sbarcati il 09.08.09 ed ivi identificati erano privi di documenti e/o di valido titolo per l’ingres-so nel territorio nazionale. Ha, pertanto, proceduto alla denuncia degli stessi, ossia gli odierni imputati, per il reato di cui all’art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98, per avere fatto ingresso in Italia violando le disposizioni del decreto medesimo.
Nessuna prova contraria, né la sussistenza di cause di giustificazione e/o di esimenti è stata, di contro, fornita dalla difesa degli imputati.
La risoluzione dei dubbi di legittimità costituzionale dedotti da tutte le parti del pre-sente processo si rende, quindi, pregiudiziale ai fini della decisione dello stesso.
In altri termini, laddove le norme censurate venissero ritenute incostituzionali, gli im-putati, nonostante l’esito della disposta istruzione, non potrebbero essere, comunque, condannati, stante l’irrilevanza penale dei fatti loro ascritti nel capo di imputazione.
2) Sulla non manifesta infondatezza di talune delle questioni sollevate
a) Violazione del principio di offensività della legge penale di cui agli artt. 25 e 27 della Costituzione.
Non appare a questo Giudice manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità della norma di cui all’art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98 sotto il profilo della violazione del principio di offensività della legge penale, ricavabile dagli artt. 25 e 27 della Co-stituzione, secondo il quale la sanzione penale può essere ammessa nel nostro ordina-mento soltanto per la protezione di beni giuridici di rilievo costituzionale (nullum cri-men sine iniuria). Si afferma, invero, in dottrina che l’oggetto del principio di offensi-vità non può che rinvenirsi nel novero dei beni costituzionalmente orientati, da inten-dersi sia nei beni costituzionalmente rilevanti sia in quei beni costituzionalmente non incompatibili (come, ad esempio, l’ambiente).
In particolare, così come argomentato dalla Pubblica Accusa, si dubita che le condot-te incriminate, già astrattamente considerate, siano offensive di un bene giuridico co-stituzionalmente orientato, risultando, piuttosto, formulate in chiave di mera disobbe-dienza delle norme che regolano il controllo dei flussi migratori.
Al riguardo, si rileva come il principio di necessaria offensività del diritto penale co-stituisca un limite alla discrezionalità del Legislatore: non è, invero, consentito, che - per finalità di mera deterrenza - siano introdotte sanzioni che non si ricollegano a fatti colpevoli ma, piuttosto, a modi di essere ovvero ad una mera disobbedienza priva di disvalore, anche potenziale, per un determinato bene giuridico che si deve proteggere (cfr. Corte Cost. n. 364/1988, n. 58/1995, n. 360/1995, n. 263/2000 e n. 354/2002).
Di contro, così come evidenziato dalla difesa degli imputati, l’art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98, non colpisce fatti materiali imputabili al soggetto incriminato, bensì unica-mente la sua condizione soggettiva, il suo status, di straniero irregolare.
In particolare, sebbene la Legge 94 del 2009 sia stata promossa come strumento volto a meglio tutelare la sicurezza dei cittadini, non si ritenere che le condotte di nuova incriminazione siano lesive del bene della sicurezza pubblica, in quanto - anche sulla scorta di quanto considerato nelle sentenze della Corte Costituzionale n. 22/2007 e n. 78/2007, il mancato rispetto delle norme sull’ingresso o sulla permanenza nel territo-rio dello Stato non può essere ritenuto, di per sé, quale indice di pericolosità sociale.
Più precisamente, con la pronuncia n. 22/2007, la Corte ha ritenuto il reato di cui allo art. 14, comma 5°-ter, del D.L.vo n. 286/98 (inottemperanza all’ordine di allontana-mento del Questore) come una fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili. E quindi, a maggior ragione, deve ritenersi che, una presunzione di pericolosità non possa affatto ricorrere per i soggetti responsabili della condotta tipica di nuova incriminazione, ai quali non è ascrivibile nemmeno la mancata osservanza di un provvedimento amministrativo.
Mentre, con la sentenza n. 78/2007, la Corte ha sottolineato che il mancato possesso di titolo abilitativo alla permanenza nello Stato è un indice che di per sé non è univo-camente sintomatico … di una particolare pericolosità sociale.
In definitiva, l’ingresso o la presenza illegale del singolo straniero non paiono rappre-sentare, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l’espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante; la relativa incriminazione, quindi, assume un connotato discriminatorio ratione subiecti contrastante, tra le altre cose, con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale in base alla quale si può essere puniti solo per fatti materiali.
b) Violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e sussidiarietà della legge penale di cui agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione.
Ugualmente, questo Giudice fa proprio e condivide il dubbio di legittimità costituzio-nale della norma di cui all’art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98, sollevato sia dalla pubbli-ca accusa e sia dalle difese degli imputati, con riferimento ai principi costituzionali di ragionevolezza, proporzionalità e sussidiarietà, ricavabili da una interpretazione siste-matica degli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, che impongono l’intervento della san-zione penale soltanto come extrema ratio, quando, cioè, lo scopo protettivo non possa essere raggiunto attraverso altri strumenti dell’ordinamento giuridico.
In merito, si approvano le considerazioni svolte dalla difesa degli imputati secondo le quali la nuova norma penale ha introdotto una fattispecie di reato tecnicamente inuti-le … in quanto la sua applicazione si sovrappone integralmente alla già esistente di-sciplina amministrativa relativa all’espulsione e persegue le stesse finalità perseguite dal legislatore in campo amministrativo.
Nel caso di specie, invero, l’obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatri-ce è costituito dall’allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato.
Ciò è dimostrato, come dettagliatamente rilevato dalla Procura della Repubblica, dal fatto che la sanzione penale di cui all’art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98 è caratterizzata da un carattere cedevole che, oltre a comprovare l’assoluta inconsistenza della lesio-ne al bene giuridico che si assume di voler tutelare, ne rivela la superfluità.
Si considerino, in tal senso, le seguenti disposizioni:
1) il nuovo art. 10 bis, comma 2°, del D.L.vo cit., che stabilisce che la pena prevista non si applica allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento emesso ai sensi dell’art. 10, comma 1°, del D.L.vo medesimo;
2) il nuovo art. 10 bis, comma 5°, del D.L.vo, che dispone la pronuncia di una senten-za di non luogo a procedere nei confronti dello straniero, la cui espulsione o il cui re-spingimento ex art. 10 comma 2° del D.L.vo n. 286/98, nelle more del giudizio pena-le per il reato de quo, venga effettivamente eseguito;
3) il nuovo art. 16, comma 1°, del D.L.vo cit., in uno al nuovo art. 62 bis del D.L.vo n. 274/2000, i quali consentono al Giudice di applicare in luogo della pena pecuniaria la sanzione sostitutiva dell’espulsione la quale, in ogni caso, deve essere già disposta in via amministrativa;
4) il nuovo art. 10 bis, comma 4°, del D.L.vo, che esclude la necessarietà (al contra-rio di quanto previsto in termini generali in caso di reato commesso da cittadini extra-comunitari) di un preventivo nulla osta da parte dell’A.G. per l’esecuzione dell’espul-sione dello straniero.
L’esame di tali norme induce a ritenere non manifestamente infondato il dubbio rela-tivo alla ragionevolezza ed alla proporzionalità (e, quindi, alla costituzionalità) di un reato:
- la cui configurabilità o punibilità viene meno in caso di emissione di un provvedi-mento di respingimento alla frontiera;
- per il quale il Giudice è obbligato a prendere atto, senza rilasciare alcun nulla osta, dell’avvenuta esecuzione dell’espulsione amministrativa o del respingimento c.d. dif-ferito (art. 10, co. 2°, D.L.vo 286/98) dell’imputato che sta giudicando e limitarsi ad emettere una mera pronuncia di non luogo a procedere;
- il cui accertamento può concludersi con l’irrogazione di un provvedimento (avente natura di sanzione sostitutiva) di espulsione che, per quel che qui specificamente inte-ressa, in nulla differisce ed in tutto si sovrappone al provvedimento (amministrativo) di espulsione ovvero di respingimento differito che, peraltro, deve essere vincolativa-mente emesso dall’Autorità amministrativa competente;
- che prevede (così come evidenziato da tutte le parti) una pena priva di effettività, di funzione deterrente e di efficacia rieducativa, dal momento che appare probabile che la pressoché totalità degli stranieri condannati risulterà insolvibile (cfr., sul punto, il parere espresso dal C.S.M. in data 10.06.09 sul d.d.l. n. 733 del 2008).
Appaiono, pertanto, evidenti sia la piena corrispondenza della sfera applicativa della nuova figura di reato con l’area dei casi per i quali era già - ed oggi continua ad esse-re - prevista l’espulsione amministrativa o il respingimento differito e sia il carattere obiettivamente superfluo della sanzione penale, testimoniato dalla chiara volontà le-gislativa di privilegiare risultati (l’effettivo allontanamento dello straniero clandestino o irregolare) ottenibili attraverso l’uso di strumenti amministrativi già esistenti prima della riforma, alla cui concreta operatività ostavano non già carenze normative bensì difficoltà di carattere amministrativo/organizzativo (cfr. il citato parere del C.S.M.).
La perseguibilità penale dello straniero appare irragionevole, non agevolando né con-dizionando in alcun modo le procedure di espulsione, le quali restano ancorate ai pre-supposti giustificativi e fattuali previsti dalla legge - anche relativamente alla possibi-lità di eseguirle nel concreto - del tutto impermeabili all’esito del processo penale.
c) Violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
Si condividono, ancora, le censure di incostituzionalità, sollevate dalla Procura della Repubblica sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, della norma di cui all’art. 10 bis, comma 5°, del D.L.vo n. 286/98, che prevede la pronuncia di u-na sentenza di non luogo a procedere per il reato de quo nell’ipotesi in cui, nelle mo-re del giudizio, sia acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingi-mento differito dello straniero nei confronti del quale si sta procedendo penalmente.
In merito, si osserva come tale previsione finisca col generare una disparità di tratta-mento, priva di ragionevole giustificazione e lesiva dell’art. 3 della Costituzione.
Poiché, infatti, la esecuzione dei provvedimenti di espulsione e/o di respingimento è rimessa alla discrezionalità (ed alla disponibilità di mezzi) dell’Autorità amministra-tiva, senza che nessun rilievo ricoprano a tal fine la volontà e le azioni dello straniero, l’accertamento giurisdizionale di condotte identiche potrà determinare effetti diversi (sentenza di condanna o di non luogo a procedere) in forza di circostanze assoluta-mente estranee alla sfera di intervento degli imputati.
Per tale ragione, la norma impugnata collide con i principi di ragionevolezza e di u-guaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, in quanto impone l’applicazione della condanna penale nei confronti di un soggetto la cui condotta in nulla si discosta da quella di un altro soggetto, il quale, tuttavia, per il verificarsi di condizioni che pre-scindono dalla sua volontà e dalla sua azione (l’esecuzione del provvedimento di es-pulsione o di respingimento nei suoi confronti) e, comunque, in assenza di una valida ragione che giustifichi la disparità di trattamento, deve essere prosciolto.
Né si può ritenere che il contrasto appena denunciato possa risolversi attraverso l’eli-minazione delle norme favorevoli al reo, in quanto ciò si tradurrebbe in un’inammis-sibile censura costituzionale in malam partem (cfr. Corte Cost. n. 508/2000).
d) Violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
Si condividono, ancora, i dubbi di costituzionalità della norma in questione, sollevati da tutte le parti sotto il profilo di una ulteriore violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
Appare ingiustificata ed immotivata, invero, la disparità di trattamento generata dalla mancata attribuzione di rilevanza, in seno alla nuova fattispecie criminosa, ad eventu-ali giustificati motivi che potrebbero determinare le condotte punite, diversamente da quanto è invece espressamente previsto nell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 14, com-ma 5°-ter, del D.L.vo n. 286/1998.
La Corte Costituzionale (sentenze n. 5/2004 e n. 22/2007) ha chiaramente sottolinea-to il rilievo che l’esimente in questione può avere ai fini della tenuta costituzionale di disposizioni del genere di quella introdotta.
e) Violazione dell’art. 117 della Costituzione.
Infine, il sottoscritto Giudice di Pace non ritiene infondato il dubbio sulla legittimità costituzionale della norma in questione per la violazione dell’art. 117 della Costitu-zione, con riferimento agli obblighi internazionali assunti dall’Italia in materia di trat-tamento dei migranti.
Ed invero, è pacifico come da tale norma costituzionale discenda l’obbligo del Legis-latore ordinario di rispettare le norme poste dai trattati e dalle convenzioni internazio-nali, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con gli obblighi inter-nazionali di cui all’art. 117, 1° comma, della Costituzione viola, per ciò stesso, tale parametro costituzionale, che realizza un c.d. rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazio-nali genericamente evocati. Ne consegue che al Giudice interno spetta interpretare la norma nazionale in modo conforme alla disposizione internazionale e, qualora dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, deve proporre la relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, 1° comma, della Costituzione (cfr. Corte Cost. n. 349/2007).
Sul punto, si condividono e si fanno proprie le censure di incostituzionalità sollevate dalla Procura della Repubblica di Agrigento in relazione alla violazione delle disposi-zioni del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la cri-minalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti, sottoscrit-to nel corso della conferenza di Palermo (12-15 dicembre 2000).
In particolare, l’art. 6 del Protocollo prevede che ogni Stato Parte adotta misure le-gislative … per conferire il carattere di reato ai sensi del suo diritto interno ad alcune condotte (traffico di migranti, fabbricazione di falsi documenti di viaggio, il permet-tere ad una persona che non è cittadina o residente permanente di rimanere nello Sta-to interessato senza soddisfare i requisiti necessari per permanere legalmente in esso, ecc.); mentre l’art. 5 stabilisce che i migranti non diventano assoggettati all’azione penale fondata sul presente Protocollo per il fatto di essere stati oggetto delle con-dotte di cui all’art. 6; infine, l’art. 16 obbliga gli Stati contraenti a prendere misure a-deguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per preservare e tute-lare i diritti delle persone che sono state oggetto delle condotte di cui all’art. 6, non-ché a fornire un’assistenza adeguata ai migranti la cui vita, o incolumità, è in perico-lo dal fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all’art. 6.
Può, quindi, ritenersi che la norma di cui all’art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98, compor-tando l’incriminazione di persone che si trovano in una determinata condizione in re-lazione alla quale si è assunto l’impegno di assisterle e proteggerle, versi in una con-dizione di contraddizione nei confronti delle disposizioni appena enunciate.
f) Le ulteriori censure di incostituzionalità sollevate dalle parti non possono assume-re rilievo nel caso in esame. Ed invero:
- la violazione degli artt. 117 della Costituzione ed 8 della C.E.D.U. appare irrilevan-te con riferimento al caso di specie, stante che gli imputati non si trovavano già in Ita-lia al momento dell’entrata in vigore delle norme denunciate e non potevano avere ivi instaurato rapporti privati e familiari;
- la violazione degli artt. 117 della Costituzione ed 11 del Patto Internazionale sui Di-ritti Civili e Politici non appare specificatamente motivata sotto il profilo della fonda-tezza né questo Giudice ravvisa idonei motivi per poterla sollevare d’ufficio;
- la violazione del principio di irretroattività della legge penale appare irrilevante a-vuto riguardo al caso di specie, stante che gli imputati non si trovavano già in Italia al momento della entrata in vigore delle norme denunciate;
- la violazione del principio di uguaglianza, dedotta dalla difesa degli imputati con ri-ferimento alla disparità di trattamento tra qualunque straniero irregolare e quello che rientri nella categoria colf e badanti, appare irrilevante, stante che gli imputati non si trovavano già in Italia al momento della entrata in vigore delle norme denunciate e la imputazione per cui è causa si riferisce alla condotta di ingresso illegale e non già alla permanenza illecita nel territorio dello Stato;
- l’attribuzione della competenza specifica per il reato in esame al Giudice di Pace non appare manifestamente irragionevole, stante che la pena prevista dalla legge rien-tra in quella, ordinariamente, irrogabile da questa Autorità Giudiziaria secondo le di-sposizioni di cui al D.L.vo n. 274/2000;
- la violazione del diritto di difesa e del giusto procedimento appaiono manifestamen-te infondate stante la facoltà per l’imputato, prevista dalla disposizione di cui all’art. 32 bis del D.L.vo n. 274/2000, di chiedere termine a difesa.
3) Sulla possibilità di offrire una interptretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate
La particolare natura delle censure di incostituzionalità sopra esposte sub a), b), c) ed e) nel paragrafo che precede rende oggettivamente impossibile la possibilità di offrire una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme contestate.
Qualche perplessità può sorgere in relazione al motivo di non manifesta infondatezza evidenziato sub d) nel paragrafo medesimo.
Ed invero, il sottoscritto si è domandato se la previsione di eventuali giustificati moti-vi che potrebbero determinare le condotte punite dall’art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98 si debba, comunque, ritenere sussistente nella fattispecie normativa, sia pure in assen-za di una esplicita disposizione, in esito ad un procedimento interpretativo compiuto in ossequio ai principi costituzionali sanciti dalle cit. sentenze n. 5/2004 e n. 22/2007 della Corte Costituzionale.
Tuttavia, stante l’espressa previsione contenuta nella norma di cui all’art. 14, comma 5°-ter, del D.L.vo n. 286/98, tenuto presente il principio interpretativo enunciato dal noto brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, questo Giudice presuppone che il Legislatore del 2009 abbia voluto categoricamente escludere la previsione della esi-mente in questione alla nuova fattispecie incriminatrice.
Di fronte a tale chiara opzione del Legislatore, si ritiene che non sussista alcuna pos-sibilità per questo Giudice di procedere ad interpretazioni nel senso sopra precisato, le quali risulterebbero, invero, additive della citata palese manifestazione della volun-tas legis.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace di Agrigento, in persona dell’Avv. Giuseppe Alioto.
Visti gli artt. 134 e ss. della Costituzione e 23 della Legge n. 87 del 11.03.53.
Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, nei termini di cui alla parte motiva del presente provvedimento.
Solleva questione di legittimità costituzionale degli artt.: 10 bis del D.L.vo n. 286 del 1998, introdotto, dall’art. 1, comma 16°, lett. a), della Legge 94 del 2009; 16, comma 1°, del D.L.vo n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 3, comma 16°, lett. b), della Legge 94 del 2009; e 62 bis del D.L.vo n. 274 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 17°, lett. d), della Legge 94 del 2009; e ciò per contrasto con gli artt. 3, 25, 27 e 117 della Costituzione della Repubblica Italiana.
Sospende il presente processo e dispone la trasmissione degli atti del medesimo alla Corte Costituzionale.
Manda alla Cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Con-siglio dei Ministri e per la comunicazione della medesima al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati.
Così deciso e letto in Agrigento, nell’udienza del 15 dicembre 2009.
Il Giudice di Pace
(Avv. Giuseppe Alioto)