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STATO DI NECESSITÀ?
A proposito di un atteggiamento securitario nelle recenti legislazioni di democrazie occidentali
Luca De Matteis Movimento per la Giustizia - Italy
Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertès

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1. - Negli ultimi anni abbiamo assistito alla produzione, nelle nostre democrazie, di un numero straordinario di misure legislative ed amministrative eccezionali che limitano pesantemente le tradizionali libertà dell'individuo nel nome di condizioni emergenziali.
Gli esempi più eclatanti:

1.1. - Lo Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism (meglio noto come "Patriot") Act, approvato nella sua versione definitiva il 25 ottobre 2001 dal Senato degli USA; oltre ad introdurre procedure più restrittive in materia di immigrazione, rafforzare i poteri delle forze investigative con riferimento a sospette attività terroristiche ed alla creazione di nuove figure di reato federali, questa legge permette allo U.S. Attorney General (Procuratore Nazionale) di porre in detenzione sospetti terroristi stranieri illegali sino a sette giorni sulla base di una semplice certificazione che esistono ragionevoli motivi per ritenere che il sospetto sia coinvolto in condotte che minacciano la sicurezza nazionale ovvero sia da respingere od espellere per motivi di terrorismo, spionaggio, sabotaggio o sedizione. Questo ordine di detenzione può essere impugnato solo in un numero molto limitato di casi.
Introducendo un'ancora più severa limitazione al tradizionale principio dell'habeas corpus, l'Ordine Militare del Presidente del 13 novembre 2001 permette al Segretario della difesa di ordinare la detenzione di sospetti terroristi sia sul territorio degli Stati Uniti che altrove, senza alcuna limitazione o condizione tranne che con riferimento a minimi trattamenti di sopravvivenza (cibo, acqua, medicine): questo provvedimento è alla base della perdurante detenzione di prigionieri non solo a Guantanamo ma anche in un numero imprecisato di siti segreti nel mondo, specialmente all'interno di teatri di guerra come l'Iraq e l'Afghanistan.

1.2. - Il "Prevention of Terrorism Bill" approvato nel marzo 2005 dal Parlamento britannico al fine di integrare la vigente legislazione antiterrorismo. Questa legge attribuisce al Segretario di Stato il potere di imporre c.d. "control orders", contenenti una varietà di obblighi per l'interessato (come, ad es., il divieto di possedere certi oggetti, restrizioni alla libertà di movimento, di comunicazione e di associazione, sino agli arresti domiciliari):
· senza previa audizione dell'interessato;
· senza previo controllo giurisdizionale sulla misura, tranne che per le ipotesi più rilevanti (che danno luogo ai c.d. "derogating control orders", laddove la deroga è da intendersi come riferita ai diritti ed alle libertà previste dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo), ed anche in questi casi con valutazione limitata alla verifica di "gravi indizi di reato";
· con gravi limitazioni alla ricorribilità giurisdizionale della misura, limitata al controllo di legittimità del provvedimento, in un'udienza nell'ambito della quale gli elementi di prova contro l'interessato sono tenuti segreti; inoltre, questi non ha il diritto di nominare un proprio difensore di fiducia, ma è invece assistito da uno "special advocate" incaricato dal Governo; ed infine,
· senza alcuna limitazione quanto a durata della misura, con illimitata possibilità di reiterazione della stessa; inoltre, anche qualora il provvedimento fosse annullato da una decisione giurisdizionale, il governo avrebbe la possibilità di emettere un provvedimento del tutto identico a quello impugnato.

1.3. - Legge 2004-204 approvata dal Parlamento francese il 9 marzo 2004 (c.d. "Legge Parben 2"), che introduce misure e giurisdizioni particolari per una varietà di reati, solo una parte dei quali possono essere ricondotti al campo della lotta al terrorismo: tra l'altro, questa legge attribuisce al Pubblico Ministero ed alle forze di polizia poteri particolarmente penetranti di indagine e di privazione della libertà personale (ad es., il potere delle forze di polizia di fermare persone sospette sino a 96 ore, ritardando il primo contatto con il suo difensore sino a 48 ore). Questa legge contiene altresì disposizioni che limitano i poteri degli organi giurisdizionali in favore del Pubblico Ministero (ed in particolare ai capi delle Procure, che sono nominati dal Governo), disposizioni che consentono la raccolta di dati relativi a persone anche solo sospettate di aver commesso delitti di natura sessuale, e disposizioni che limitano gravemente la libertà di stampa.

1.4. - Se questi esempi derivano dal settore della lotta al terrorismo, un'area nella quale sono concentrate le più gravi preoccupazioni dell'opinione pubblica europea, occorre notare come altri provvedimenti legislativi ed amministrativi, adottati in campi diversi dall'azione antiterrorismo, presentino alcune notevoli similarità con le linee guida delle leggi sopra richiamate.
Ad esempio, nell'ottobre 2004 il Parlamento spagnolo ha approvato un'ampia riforma dei suoi codici penale e di procedura penale, che è stata accusata di trasformare il concetto di "sicurezza" in "sicurezza delle strade", in quanto prevede allo stesso tempo un inasprimento delle trattamento per i "crimini comuni" (innalzamento delle per i crimini contro la proprietà privata, inasprimento del trattamento dei recidivi, reintroduzione della carcerazione breve anziché misure alternative alla detenzione) ed da un rilassamento della risposta penale verso la criminalità dei "colletti bianchi" (come la parziale depenalizzazione della frode fiscale e dell'insider trading). Questa riforma è seguita ad una legge approvata alla fine del 2003 che ha reso la carcerazione preventiva quasi obbligatoria per i recidivi, oltre che molto più la regola che l'eccezione per gli altri casi.

1.5. - Porterò solo un piccolo esempio di questa tendenza dal mio Paese, ricordando che dal settembre 2004 la pena per stranieri clandestini trovati sul territorio nazionale senza autorizzazione che violino l'ordine del Questore di lasciare il Paese entro cinque giorni è stata innalzata dal precedente massimo di un anno di arresto all'attuale reclusione da uno a quattro anni. Per dare un riferimento comparativo, questa pena è più alta di quella per il furto, per la subornazione, per la creazione di un deposito illegale di rifiuti pericolosi, per l'abuso di ufficio, ed eguale al favoreggiamento di associazioni a delinquere di stampo mafioso.
L'esempio della norma penale in questione permette di osservare come l'intero settore della legislazione in tema di immigrazione in tutta Europa può essere iscritto nella tendenza sopra delineata. Guardando alla nostra esperienza nazionale, si può osservare in primo luogo come questo settore sia stato da sempre caratterizzato da una forte amministrativizzazione delle procedure, in ossequio al principio che la disciplina dell'immigrazione è questione politica che deve essere gestita dall'esecutivo e dalle sue ramificazioni. Per contro, i poteri della giurisdizione in un settore che, evidentemente, coinvolge molti dei diritti fondamentali del migrante, sono sempre stati relegati al margine attraverso la previsione di procedure così brutali che lo spazio per la revisione giurisdizionale è virtualmente annullato.
In secondo luogo, l'idea di fondo sottesa allo statuto dell'immigrazione è l'illegalità dell'ingresso non autorizzato nel territorio dello Stato: con ciò producendo una categoria di "quasi-criminali" definiti "clandestini". Va peraltro rimarcato come la definizione non è, dal punto di vista storico, naturale, ma al contrario strettamente di natura legale, riflettendo il pensiero guida della normativa in materia. Nella legislazione italiana, tale pensiero guida è quanto meno ambiguo: non si definisce apertamente il migrante non autorizzato come criminale (ancorchè la suggestione emerga di quando in quando in certi settori della politica italiana, ed ancorchè alcune previsioni normative subdolamente puntino in questa direzione: ad es., la contravvenzione consistente nella mancata esibizione da parte del clandestino di documenti d'identità, la quale, considerando l'ordinaria situazione sociale ed economica di provenienza degli immigrati, confina con l'aperta sanzione dello stato di clandestinità); c'è, comunque, un'evidente, ancorchè non sempre espressa, convinzione che il clandestino sia persona attualmente o potenzialmente pericolosa da tenere lontano dal territorio dello Stato.
La lotta alla clandestinità consta, a tal fine, di tre fasi: respingimento dei migranti in ingresso: attraverso una vasta militarizzazione delle frontiere con attribuzione alle forze navali di penetranti poteri di polizia da esercitarsi anche al di fuori delle acque territoriali; inoltre, l'Italia ha intrapreso una campagna per stabilire strutture di controllo all'estero, in Paesi dai quali originano o transitano le migrazioni (ad es., la Libia); inseguimento dei clandestini: e, se trovati, espulsione: questa misura è la risposta finale del sistema legale italiano all'immigrazione non autorizzata. Non c'è alcuno stabile meccanismo per la naturalizzazione o de-illegalizzazione, salvo periodiche (e largamente attese) regolarizzazioni di massa.
Ciò che traspare dall'analisi di queste norme è che, in applicazione della logica securitaria, non viene fatto alcuno sforzo per confrontare realisticamente il fatto che le migrazioni accadono e disciplinare e governare questo fenomeno nel rispetto dei diritti basilari di coloro che vi sono coinvolti: c'è, all'opposto, l'utopistico (o, più spesso, demagogico) perseguimento di una lotta all'immigrazione attraverso una serie di divieti ed attraverso la criminalizzazione dell' "altro", in un vano sforzo di proteggere i diritti e le aspettative dei cittadini residenti che sono portati ad identificare il migrante come fonte della loro insicurezza.

2. - Quest'ultimo punto ci consegna ad alcune considerazioni di carattere generale.

2.1. - E' evidente che le nostre società sono attanagliate da una diffusa paura di attacco dall'esterno. In termini estremamente semplicistici, si può dire che questa paura sorga dalla combinazione di prosperità economica e di incertezza sulla possibilità di mantenerla nel futuro. Questa insicurezza crea, come sottoprodotto, la disponibilità ad accettare limitazioni alle libertà individuali se ciò viene prospettato come necessaria reazione alle pretese cause di insicurezza e per confrontare quello che viene presentato come "nemico"; limitazioni la cui accettazione sarebbe stata impensabile pochi anni addietro, quando la lotta per ottenere le libertà civili in questione era ancora in corso o ancora viva nella memoria di tutti.

2.2. - I governi nazionali si trovano oggi in posizione ambigua: da un lato sembra esserci, da parte di certe autorità nazionali, una tendenza a rinfocolare queste paure, forse per approfittare del rilassamento della gelosia dei cittadini verso le loro libertà individuali, al fine di introdurre misure di controllo più penetranti sulla società nel suo insieme.
D'altro canto, c'è una sottomissione apertamente ammessa all'opinione pubblica che spinge le autorità nazionali a confrontare questi fenomeni con eccesso di reazione ovvero reagendo in direzioni populistiche in modo da assecondare paure largamente irrazionali.
Mi ha particolarmente colpito leggere in rapporto officiale della Commissione congiunta House of Lords - House of Commons sui diritti umani in merito al Prevention of Terrorism Bill (X° rapporto della sessione 2004-2005), del quale ho detto in apertura, che "tanto l'Home Secretary che il Primo ministro sono stati molto franchi nell'ammettere che propongono legislazione di questa natura eccezionale perché non vogliono che sia possibile accusarli di non aver fatto di più per proteggere il pubblico nel caso di successo di un attacco terroristico". Se si deve apprezzare il pragmatismo dell'impostazione del governo britannico, allo stesso tempo non si può non concordare con la conclusione presa dalla Commissione immediatamente appresso nello stesso documento: "Ancorchè troviamo questo sentimento integralmente comprensibile in rappresentanti elettivi direttamente responsabili verso il pubblico, consideriamo altresì che ciò dimostri esattamente la ragione per la quale sono essenziali garanzie indipendenti delle libertà individuali".

3. - E' esattamente questo aspetto che lega tutte le misure legislative sopra richiamate: l'esercizio di poteri politici eccezionali in un data direzione è accompagnata dalla rimozione di tutti gli ostacoli che potrebbero fiaccarne gli effetti immediati: e tra questi vi è il controllo giurisdizionale sull'esercizio di tali poteri, annullato ovvero ridotto ad un controllo formale o superficiale.
E' forse presto per affermare che questo cambia la qualità delle nostre democrazie.
E', al contrario, possibile affermare che ciò che appare cambiato, addirittura "geneticamente mutato", è il tradizionale rapporto tra "riduzione dei diritti individuali" e "sicurezza".
Se accettiamo la validità del tradizionale sistema di "pesi e contrappesi" sviluppatosi nella nostra tradizione europea dobbiamo invocare il rispetto delle più profonde implicazioni della tripartizione dei poteri.
Dobbiamo quindi accettare che il concetto di sicurezza è innanzitutto collettivo e le misure prese per garantirla possono e spesso devono guardare oltre la protezione immediata di libertà, diritti ed aspettative individuali: come tale, è compito affidato al ramo esecutivo che vi adempie nella cornice legale create dal potere legislativo e, oggi più che mai, dal complesso delle norme sovranazionali nel campo dei diritti umani.
Tuttavia, il sistema può funzionare ed essere protetto, in primo luogo da sé stesso, solo se la protezione ed il bilanciamento (e, ove necessario, la negazione) dei diritti individuali a fronte di tali misure sia integralmente affidata al potere giurisdizionale.
E' dunque necessario chiederci sino a che punto la limitazione delle libertà individuali debba essere sottratta ai poteri dell'esecutivo o a maggioranze parlamentari transeunti. E' questo livello che rappresenta la vera "qualità" di una democrazia: in questo ambito, il corretto esercizio del potere politico deve basarsi sul rispetto dei principi comuni e fondanti, la "costituzione" di qualunque democrazia, e sulla protezione di questa area dal potere politico stesso mediante l'individuazione di guardiani indipendenti che vigilino sul rispetto di questi principi.
Infatti, continueremo a parteggiare per Lord Atkin che, durante uno dei più bui momenti della seconda guerra mondiale, scrisse, in una memorabile dissenting opinion: "in questo Paese, nel clangore delle armi le leggi non sono silenti. Possono essere cambiate, ma parlano la stessa lingua in guerra come in pace".
Crediamo che l'interesse all'autoconservazione della società debba essere perseguito con gli stessi mezzi a prescindere dalle contingenze storiche, perché è questo il vero fondamento della democrazia.

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