QUALE “RIFORMA DELLA GIUSTIZIA” A SETTEMBRE?
E’ ripetutamente annunciata la RIFORMA DELLA GIUSTIZIA a settembre. Tre i punti indicati dal Governo: cambiare il CSM, separazione delle carriere, discrezionalità dell’azione penale.
Ricordano le prime parole della relazione al progetto originario della Riforma del ministro Castelli: la giustizia non funziona, i cittadini giustamente si lamentano, quindi cambiamo l’assetto della magistratura. E i riti ormai irrazionali e sfuggiti ad ogni corretto equilibrio tra efficacia e tutela di garanzie reali? E le risorse per fare i processi in tempi ragionevoli e secondo le regole? E le scelte coerenti per garantire effettività alle sentenze definitive, civili e penali? Si vedrà, forse, dopo.
Ricordano le prime parole della relazione al progetto originario della Riforma del ministro Castelli: la giustizia non funziona, i cittadini giustamente si lamentano, quindi cambiamo l’assetto della magistratura. E i riti ormai irrazionali e sfuggiti ad ogni corretto equilibrio tra efficacia e tutela di garanzie reali? E le risorse per fare i processi in tempi ragionevoli e secondo le regole? E le scelte coerenti per garantire effettività alle sentenze definitive, civili e penali? Si vedrà, forse, dopo.
Insomma, nuovamente un approccio dove la preoccupazione principale non è quella di dare innanzitutto ai cittadini una giustizia civile e penale efficace, in tempi ragionevoli e secondo regole razionali e a tutela di valori reali, davvero uguale per tutti.
Risponda invece oggi il legislatore a questa domanda: se tutti i magistrati in servizio avessero la sapienza delle sezioni unite e una capacità lavorativa di 24 ore su 24, sarebbero le pendenze dei procedimenti civili e penali definite tutte nei tempi ragionevoli indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo? Se – come è evidente a chiunque sia in buona fede – la risposta è no, dare priorità agli interventi che riguardano l’assetto della magistratura significa solo perseguire finalità diverse da quelle di giustizia: più un regolamento dei conti e la ricerca di un diverso equilibrio tra potere esecutivo e magistratura rispetto a quello delineato dalla Costituzione, invece che cura degli interessi diffusi dei cittadini normali.
Emblematica la questione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Si osserva giustamente che l’incapacità oggettiva del sistema giudiziario di definire tutti i procedimenti penali prima della prescrizione dei relativi reati comporta di fatto che siano i p. m. a decidere quali procedimenti mandare avanti, con scelta quindi attribuita a soggetti non legittimati a fare quelle valutazioni di valore che competono a chi poi ne risponde al cittadino elettore. Problema serio, ma anche strumentalizzato per sovresporre il ruolo dei pubblici ministeri: chi vive il quotidiano esercizio della giurisdizione sa bene che in realtà il problema è presente pure nelle varie fasi del giudizio. Oggi ad esempio un presidente di sezione di corte d’appello decide cosa si prescrive e cosa no, quando in concreto sceglie quali processi fissare in tempo utile perché la cassazione – di fronte alla quale nulla si prescrive, a prezzo di un carico di lavoro senza filtri seri che nuoce inevitabilmente alla qualità della funzione di legittimità che le compete – esamini il ricorso prima della prescrizione. Quali le soluzioni del problema? Due. La prima: rendere l’esercizio dell’azione penale discrezionale, ovviamente a quel punto individuando chi ha il potere di decidere cosa fare e cosa no; qualcuno che non potrà essere il singolo magistrato ma inevitabilmente un soggetto collegato con il potere politico: quindi è il potere politico che decide quali processi fare. La seconda: razionalizzare riti (quale organizzazione può ‘reggere’ l’impegno di almeno quattro pubblici ministeri e da nove a tredici giudici per processi che si concludono con pene pecuniarie o che non verranno eseguite?) e geografia giudiziaria, razionalizzare e dare risorse perché i processi si possano fare (in tanti uffici alle 14 stop alle udienze perché il personale non è pagato). La seconda è più faticosa, ma è l’unica che assicura l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Si sceglierà la prima, e chi sarà vicino al potere politico di turno sarà più tranquillo.
Riforma del CSM. La proposta: ad altri il disciplinare, e maggioranza ai non togati. A parte la compatibilità con la Costituzione, onestà intellettuale vorrebbe che si constatasse che le pagine più negative del governo autonomo sono scritte con il concorso indispensabile dei componenti non togati. A riprova che la maggioranza ai non togati serve solo a ridurre l’indipendenza della magistratura.
Separazione delle carriere. Già dopo la legge Mastella c’è l’esodo dalle procure, di fatto le funzioni sono separate. In Italia separare anche le carriere vorrà dire p.m. raccordati all’Esecutivo: + discrezionalità dell’azione penale = addio alla giustizia uguale per tutti. Un giudice indipendente serve a poco se si selezionano secondo interessi di parte i procedimenti che gli arrivano.
Carlo Citterio, segretario generale del Movimento per la giustizia