INFORMATICA, INDIPENDENZA, TRASPARENZA
Cari colleghi,
è sotto gli occhi di tutti la situazione drammatica in cui versano le risorse a disposizione degli uffici giudiziari, a partire dalle carenze di personale e di supporti, che invece di essere risolte sono diventate croniche e non mostrano inversioni di tendenza.
Mentre il Presidente del Consiglio si vanta in Parlamento di avere realizzato la digitalizzazione della giustizia, noi ci lamentiamo tutti i giorni delle condizioni dei nostri computer, del livello dell’assistenza tecnica, della mancanza di programmi gestionali che agevolino il nostro lavoro.
Eppure sappiamo molto poco di quello che si sta facendo a livello centrale e di quali sono le partite che si giocano attorno alla tecnologia e all’informatica.
Di questo vorremmo parlare, con alcune informazioni e con analisi critiche che possono avviare una riflessione sul sistema che, nei fatti, ci governa.
Una premessa ci sembra necessaria: la partita che si gioca attorno alle politiche ministeriali sulla innovazione tecnologica è vitale per la stessa indipendenza della magistratura. Il tentativo di spostare in ogni modo verso il Ministero il baricentro del controllo sui registri generali, sulla gestione dei dati e sulla statistica giudiziaria trova radice in una lettura strumentale dell’art.110 Costituzione e molto maggiore fondamento nella consapevolezza che il controllo delle informazioni è oggi più che mai vitale e che il controllo della tecnologia è in grado di condizionare l’operato della magistratura, indirizzandone scelte processuali e soluzioni organizzative, incidendo sulla funzionalità del servizio e sulla stessa responsabilità dei capi ufficio e dei singoli magistrati.
Quello che abbiamo cercato di sintetizzare nelle poche pagine che seguono non è, dunque, un’analisi tecnica, ma un ragionamento sulle politiche ministeriali, sulle difficoltà che noi abbiamo a capire ciò che accade, sulle criticità che diventa sempre più difficile affrontare con le conoscenze e con gli strumenti che possediamo.
E, dunque:
CHIEDIAMO TRASPARENZA
1. La prima considerazione è di ordine generale: nessuno sa cosa il Ministero voglia fare davvero e cosa sia in grado di fare davvero. Il taglio dei fondi imposto dal Ministero dell’Economia richiederebbe oggi più che mai idee chiare e una forte condivisione di analisi e di obiettivi, ma dalla DGSIA non vengono né notizie precise né aperture di confronto vere con la magistratura.
Non è difficile immaginare che il Ministero debba fronteggiare debiti pregressi e scadenze già programmate, ma anche questi aspetti non sono conosciuti né controllabili, anche grazie ad una struttura del bilancio statale che rende quasi impossibile comprendere dall’esterno come stanno davvero le cose.
2. Altrettanto vaghe sono le notizie sul Fondo Unico Giustizia (FUG), così che non è chiaro quale sia l’entità vera delle somme che il Governo destinerà al Ministero della giustizia e quali siano gli eventuali vincoli. Si parla della assegnazione al Ministero di 75-80 milioni di euro, ma non si comprende perché in una fase così critica non sia possibile ottenere una distribuzione più consistente, visto che si tratta di fondi che la giustizia ha recuperato e che sono fondi reali. Anche di questo vorremmo sapere qualcosa, e non attraverso commenti sui giornali.
3. L’esigenza di trasparenza è tanto più importante in quanto le scelte sulla tecnologia applicata alla giustizia sono in realtà scelte politiche che coinvolgono enormi interessi economici (si pensi al contratto da 17 milioni di euro stipulato, pare, con Microsoft o al contratto con Telecom) e, insieme, incidono sull’indipendenza della giurisdizione. Basterà leggere quanto segue (sulla PEC in alternativa al PCT; sulle politiche in tema di registri penali; sulle politiche in tema di gestione dei dati statistici) per comprendere che è in corso una partita tutta politica su chi debba controllare le informazioni sulla giustizia e su chi debba avere la possibilità concreta di fare scelte gestionali anche nei singoli uffici.
CHIEDIAMO UNA POLITICA CHIARA SULLA TENUTA DEI REGISTRI
La priorità delle priorità è rappresentata dagli investimenti sui registri generali. Non solo su quelli tradizionali, a cui tutti pensiamo, ma anche sui registri dei settori più trascurati, a partire dalla giustizia per i minorenni, che versa in condizioni disastrose dopo anni di vuoto delle politiche ministeriali e di scelte settoriali e improvvide, ed il settore della sorveglianza, che ancora deve confrontarsi con sistemi diversi senza che sia chiara la direzione che sarà presa a livello centrale.
Avere registri generali funzionali e aggiornati nel software è la premessa perché gli uffici possano utilizzarli correttamente e riceverne utilità di ritorno. La felice scelta di impostare i registri civili attorno agli “oggetti” fatta nel 2000 – scelta che ha consentito di sviluppare software moderni e di avere statistiche migliori – non ha ricevuto assistenza e sviluppi adeguati (v.aggiornamenti normativi e rilevazioni statistiche) così che l’esperienza del processo telematico è stata ridotta ad aree limitate del contenzioso, senza alcuna evoluzione dei sistemi verso dinamiche cooperative e di rappresentazione della conoscenza inizialmente avviate (l’archivio delle sentenze degli uffici giudiziari in relazione a quanto fatto dal CED della Cassazione). L’assenza di una strategia di medio termine sui sistemi informativi interessati dal PCT riduce in modo drastico il campo delle evoluzioni programmate nella relazione avvocatura / giustizia, riducendo al minimo le potenzialità della piattaforma pure originariamente progettate per aperture sistematiche ai sistemi di classificazione e di qualificazione dell’azione svolta dai vari attori del processo (v.infra).
Nel settore penale la situazione è ancora peggiore, con il nuovo S.i.c.p. che, nonostante il collaudo positivo, viene tenuto fermo per, sembra, rispolverare la versione relazionale di Re.Ge., col risultato che al momento i registri penali in Italia sono gestiti da tre programmi diversi (uno dei quali antediluviano) e non si capisce bene quale direzione verrà presa, con quali risorse e quali tempi.
E non solo: l’idea della DGSIA di “spacchettare” i registri, separando le procure dagli uffici giudicanti – idea che si è per adesso arenata sulla scelta della collocazione del G.i.p. – non appare disgiunta dal progetto più ampio di separazione delle carriere. E di questo è bene essere consapevoli.
Sulla base di queste premesse, è tutto il sistema che mostra segnali preoccupanti di debolezza sia nella gestione degli uffici sia nell’organizzazione della conoscenza, tanto che risulta impraticabile anche una seria politica di gestione e sviluppo della statistica giudiziaria.
CHIEDIAMO CHE IL PCT SIA FATTO FUNZIONARE
La vicenda del Processo Civile Telematico è paradossale e indicativa della gestione centrale.
Dopo una legge che aveva fissato al 1° Gennaio 2002 l’avvio di operatività del PCT il Ministero ha continuato a procedere con incertezze e contraddizioni, fino al punto di voler abbandonare il progetto e ripiegare sulla PEC (posta certificata) come strumento di collegamento fra utenti e uffici giudiziari. Il fatto che in molte sedi l’avvocatura segua con difficoltà l’innovazione costituita dal PCT avrebbe richiesto una forte politica di incentivazione e di dialogo e non, come è avvenuto, la scorciatoia del passaggio alla PEC, sulle cui ragioni economiche e sulla cui funzionalità non possiamo che dare valutazioni negative [1]. Così ha fatto l’Avvocatura milanese che, dopo avere investito nel PCT quasi 100.000 euro con iniziale soddisfazione dei risultati ha costretto la DGSIA a fare marcia indietro sul proposito di abbandonare il progetto.
Quanto si è sperimentato positivamente sui numeri contenuti del decreto ingiuntivo può essere finalmente esteso a tutto il settore civile. Come del resto ha dimostrato anche l’esperienze delle notifiche on line nel settore civile già in atto in diversi uffici (Milano, Monza, Modena, Rimini) che possono rappresentare un formidabili risparmi anche di tempo e un miglioramento della qualità del servizio. Dopo anni di progettazione ed analisi è giunto il momento di capitalizzare i risultati ottenuto: non farlo rappresenta uno spreco che non crediamo possibile tollerare.
Diciamo con forza che bisogna avere il coraggio di investire nelle priorità:
1. Investire sugli strumenti di statistica interna e sulla “consolle” del magistrato – e relativa formazione – produrrebbe in breve tempo vantaggi enormi per le cancellerie e per gli stessi magistrati, così potendosi dirottare su altri servizi essenziali le energie risparmiate dal personale amministrativo, accrescere la qualità del lavoro, rendere più rapida la definizione dei procedimenti.
2. Investire sull’ufficio del giudice come supporto indispensabile per la diffusione del processo telematico. Occorre sfatare l’idea semplicistica che l’introduzione delle tecnologie si traduca in una riduzione di attività e di lavoro per il personale: la scienza dell’organizzazione e l’esperienza pluridecennale sul campo ci dicono che tutti i processi di riorganizzazione richiedono ridefinizione dei ruoli e delle attività e che la diffusione delle tecnologie introduca necessità di nuove mansioni e nuove relazioni governabili solo con l’assunzione di nuovo personale e la riqualificazione professionale di quello in servizio, avendo, però, come risultato l’aumento esponenziale della qualità del servizio.
CHIEDIAMO SOFTWARE PENALI CHE DIANO ANCHE UTILITA’
Nel settore penale non ci sono solo i problemi della molteplicità dei software che gestiscono i registri e dello spreco di risorse che questo comporta. C’è il fatto che la stasi in cui versa il progetto S.i.c.p. sta bloccando lo sviluppo che prevedeva il collegamento fra il registro generale di procure e uffici giudicanti e i settori collegati, come le misure cautelari, l’esecuzione della pena, la gestione dei corpi di reato, il sistema del Casellario; sta bloccando il progetto di abbandono della ricezione delle notizie di reato su carta; non permette lo sviluppo delle relazioni con la Corte di Cassazione.
Lo scollamento a livello informatico fra i gradi di giudizio e, ancor di più, fra la fase di merito e quelle successive comporta un deficit di informazioni tempestive, un aggravio di lavoro per segreterie e cancellerie, ritardi nelle decisioni e nell’esecutività delle sentenze e nel recupero delle spese di giustizia.
Del tutto inaccettabili sono i limiti del sistema, che ancora una volta chiamano in causa la stasi nello sviluppo dei registri, dai quali discende la moltiplicazione delle attività e l’impossibilità di utilizzare la tecnologia per quello che può dare: sistemi antiquati di ricezione delle notizie di reato e di rilascio delle copie, un progetto di digitalizzazione che non marcia, al di là della propaganda del Governo, la mancata circolazione dei documenti del processo… comportano sprechi di lavoro e di tempi che contrastano con qualsiasi ipotesi di processo “breve”.
CHIEDIAMO UN SISTEMA DI ASSISTENZA CHE FUNZIONI E DIA GARANZIE
Le difficoltà in cui versa l’assistenza sistemistica e l’assistenza hardware sono sotto gli occhi di tutti. Ci sono uffici, sia di grandi dimensioni che piccoli, che restano bloccati anche per giorni quando il server va in crisi, con ricadute inaccettabili sulla gestione delle urgenze e sulla possibilità per segreterie e cancellerie di tornare a regime in tempi brevi.
Ma, al di là di questo: 1) ferma restando la possibilità utilità di un unico contratto nazionale, lascia perplessi la scelta di avere come controparte un’azienda nazionale (Telecom) che è privo di specifiche conoscenze nel settore, che non ha potuto fare altro che subappaltare il lavoro (trattenendo per sé una bella fetta di intermediazione) e che ha nei fatti lasciato inalterati i soggetti che operavano sul campo procedendo a tagli di personale che incidono negativamente sul servizio; 2) deve essere rivista la concreta modalità di funzionamento dell’assistenza, del tutto incompatibile con un sistema avanzato di digitalizzazione: assistiamo, infatti a interventi che richiedono giorni per essere avviati e all’assenza di alcune funzionalità essenziali (ad esempio l’assistenza a fini statistici); 3) occorre ridiscutere il tema della sicurezza legata all’accesso da remoto nei sistemi e nei computer dei magistrati.
Questo tema, sia chiaro, chiama in causa aspetti centrali delle politiche per la giustizia: la perdita di professionalità interne, con i Cisia sempre più sguarniti e la rinuncia a dotare l’amministrazione di un nucleo forte di personale tecnico su cui investire; la opzione in favore di forme di esternalizzazione che, giustificate da ragioni di bilancio, rischiano di essere disfunzionali e addirittura in perdita se non controllate da un’amministrazione che abbia figure interne in grado di controllare ciò che accade e di crescere professionalmente.
CHIEDIAMO UNA POLITICA CHIARA SULLA RETE E SULLE DOTAZIONI HARDWARE
Il fatto che la rete sia sempre meno capace di sostenere i collegamenti locali e nazionali e che server, computer, stampanti e altri accessori stiano invecchiando senza essere sostituiti costituisce un problema sempre maggiore, soprattutto negli uffici periferici che hanno minore attenzione, e pesa in modo ulteriore sugli uffici che riescono ad attivare progetti di innovazione organizzativa che chiedono maggiori collegamenti, nuovi software non supportati dalle macchine in uso.
Se il Ministero intende rivendicare a sé funzioni di coordinamento e di intervento, deve dire con chiarezza come intende rispondere alle difficoltà segnalate, con quali risorse e con quali tempi. In caso contrario non può lamentarsi se le sedi locali assumono iniziative di surroga, presso necessitate da mera sopravvivenza.
CHIEDIAMO INFORMAZIONI STATISTICHE CORRETTE E IN GRADO DI SUPPORTARE LE SCELTE DELLA DIRIGENZA
La situazione di stallo sui registri e i limiti dell’assistenza tecnica concorrono a rendere sempre più difficile le soluzioni necessarie per una crescita qualitativa del dato statistico.
A fronte di uffici sempre più in difficoltà nel produrre statistiche attendibili, il Ministero non ha trovato di meglio che chiedere ai capi ufficio l’autorizzazione ad accedere da remoto e con personale DGSTAT alle banche dati, con ciò chiedendo di accedere anche ai registri e non più soltanto ai dati statistici che dai registri vengono estratti. La nostra attenzione e il nostro allarme hanno portato il tema all’attenzione di tutti, a dimostrazione dell’importanza che i magistrati prestino la massima cura nel seguire quanto avviene su questi terreni.
E’ bene, infatti, che tutti comprendiamo la portata di questo passaggio, che si inserisce in una strategia di concentrazione dei registri in pochi server e nella politica di raccogliere tutti i dati in un “datawharehouse” nazionale. Si tratta di una politica che altera i rapporti fra giurisdizione-Csm, da un lato, e Ministero-Esecutivo, dall’altro[2]; che accresce i rischi di intrusione nel sistema; che consente al Ministero di avere a disposizione in unico contesto non solo i dati sull’andamento degli uffici, certamente necessari per esercitare le prerogative e i doveri discendenti dall’art.110 Cost., ma anche dati di dettaglio che non dovrebbero interessare l’organo centrale.
Invece di procedere su questa strada, il Ministero dovrebbe investire sulla qualità dei registri, sulla pulizia dei dati che vi sono contenuti, sulla realizzazione di estrattori statistici che diano risultati corretti, sulla semplificazione delle procedure e sulla corretta distinzione fra statistiche “giurisdizionali” e statistiche “organizzative”.
Solo in tal modo sarà possibile migliorare la capacità auto-organizzativa degli uffici, che necessitano di un controllo di gestione moderno ed affidabile anziché di obsoleti modelli statistici che nella loro assoluta rigidità, oscurano con le specificità degli uffici, le specificità del territorio.
CHIEDIAMO CHE IL MINISTERO DIA CONCRETEZZA
AL (SUO) PROTOCOLLO DEL 26.11.2008
Il Protocollo 26 novembre 2008 tra Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e il Ministero della Giustizia prevedeva alcuni obiettivi condivisibili, una temporizzazione chiara degli stessi e adeguate risorse finanziarie (90,5 milioni di euro di investimenti in conto capitale e 12 milioni di euro l’anno a regime di spese correnti). Gli obiettivi erano:
a) notificazioni telematiche delle comunicazioni e degli atti processuali ad Avvocati e ausiliari del giudice, in attuazione dell’art. 51 della Legge 6 agosto 2008, n. 133;
b) rilascio telematico di certificati giudiziari e aumento degli sportelli sul territorio dove gli utenti possono richiedere i certificati;
c) trasmissione telematica delle notizie di reato tra forze di polizia e procure della Repubblica;
d) registrazione telematica degli atti giudiziari civili presso l’Agenzia delle Entrate;
e) accesso pubblico via rete alle sentenze ed ai dati dei procedimenti, in attuazione del Codice dell’Amministrazione Digitale.
Obiettivi e tempi sono stati clamorosamente mancati. Basti pensare che sempre secondo tale protocollo le notifiche telematiche ad oggi avrebbero dovuto essere realizzate in tutta Italia sia nei procedimenti di cognizione che di esecuzione ( mentre sono in corso solo in cinque sedi), il rilascio di certificati giudiziari doveva essere stato attivato in almeno il 25 % dei Comuni ( non risulta alcuna sede), la trasmissione telematica delle notizie di reato doveva essere realizzata e diffusa entro la fine del 2010 presso le forze di polizia e le procure dell’Italia meridionale, oltre che con moduli di accesso per gli avvocati (non si hanno notizie in merito), la razionalizzazione, evoluzione e messa in sicurezza delle infrastrutture ICT, dei sistemi informatici e della rete di telecomunicazioni doveva essere in larga parte completata entro la fine 2010 ( e solo qualche parte è stata realizzata).
A questo punto la nostra domanda è semplice: che fine ha fatto questo protocollo ? Si tratta dell’ennesimo annuncio o si ha intenzione di ritemporizzare gli obiettivi ? E come ? Ed infine, che fine hanno fatto le risorse stanziate di cui ben poco abbiamo visto nei nostri uffici ?
CHIEDIAMO UN RILANCIO DEL CED DELLA CASSAZIONE
Restano incomprensibili le ragioni per cui il Presidente Carbone ne ha depotenziato l’autonomia ed ha progressivamente ridotto le risorse assegnate al CED vero fiore all’occhiello della giustizia italiana, strumento indispensabile per l’esercizio quotidiano della giurisdizione e per l’incremento della qualità della giurisprudenza e della stessa cultura giuridica. E’, peraltro, chiaro che tale politica non ha avuto cause confinate all’interno della gestione della Corte ed ha chiamato in causa oggettivamente in causa una prospettiva più vasta di riassetto nei rapporti tra giurisdizione ed Esecutivo.
La situazione si è fatta così grave che lo stesso Csm ha ritenuto di intervenire con la delibera del 28 Luglio 2010 (trasmessa con protocollo P18716/2010 del 30 Luglio) che esprime giudizi assolutamente critici verso le soluzioni adottate, ritenute “non conformi al quadro normativo richiamato” e definite “anche non collocate all’interno del quadro ordinamentale descritto e delle specifiche competenze del Ministro della Giustizia e del CSM”. Sulla base di tali valutazioni il Consiglio ha sollecitato il Primo Presidente a rivalutare le scelte organizzative al fine di “assicurare alla giurisdizione le complessive funzionalità” garantite dal CED fin dalla sua nascita.
L’iniziativa che il Primo Presidente assumerà in questa direzione dovrà trovare una soluzione avanzata ai temi sul tappeto e agli assetti del CED, ma potrebbe costituire anche l’occasione per una riflessione complessiva sul ruolo che gli strumenti tecnologici assumono nel sistema giustizia di oggi e sulla riattivazione di un circuito positivo fra istanze di merito e di legittimità.
IN CONCLUSIONE
A nostro parere:
1. occorre che la magistratura in tutte le sedi associative e istituzionali chieda al Ministro trasparenza sulle risorse e chiare indicazioni sulle politiche e sulle priorità che intende seguire;
2. in particolare occorre che il Ministero sia chiamato a chiarire le ragioni effettive del mancato rispetto dei termini dell’accordo 26.11.2008, che non possono ricondursi unicamente all’ormai usuale richiamo ai “tagli” subiti;
3. occorre chiedere con forza che l’innovazione sia portata negli uffici giudiziari e non ridotta semplicemente ad annunci presentati delle conferenze stampa;
4. occorre che il Csm presti speciale attenzione a questi temi e chieda al Ministro di avviare un confronto costruttivo per sfruttare tutte le risorse disponibili, evitare sprechi, avviare ogni possibile collaborazione nel rispetto delle reciproche attribuzioni;
5. occorre che la magistratura abbia chiara l’importanza dei temi che abbiamo sintetizzato e che ciascun magistrato si attivi nel lavoro quotidiano per favorire le soluzioni organizzative più idonee; si confronti coi colleghi sulle criticità; collabori a progetti di innovazione; stimoli il capo dell’ufficio affinché egli presti attenzione ai rischi, si adoperi per reperire risorse e avviare progetti, si faccia carico delle soluzioni possibili.
[1] Lo stallo del PCT deciso dal Ministero per rimettere in gioco il progetto della posta certificata (PEC) non è giustificato, tanto più che l’ABI è disponibile a supportare i punti di accesso previsti dal PCT. Il costo della PEC (4 euro per account) non la rende affatto più economica per gli avvocati del punto di accesso e, soprattutto, la PEC non fornisce i servizi di consultazione e di informazione da remoto che sono oramai indispensabili per tutti gli utenti e per le cancellerie. Non solo ciò comporterebbe il rischio di dover far convivere in modo antieconomico PEC e punti di accesso, ma costringerebbe le cancellerie ad utilizzare un sistema di archiviazione e di gestione dei messaggi di posta enormemente dispendioso e scarsamente efficace.
[2] Scriveva il Gruppo di lavoro (settore penale) del Csm che si è occupato degli standard di produttività a pag.139 della prima relazione presentata nel 2009: “Nell’ambito delle relazioni tra CSM e Ministero della Giustizia delineate dagli artt.104-110 della Costituzione appare evidente l’esistenza di una netta distinzione tra le generali competenze ministeriali per il buon funzionamento “dei servizi relativi alla giustizia” (art.110) e le specifiche competenze del CSM in tema di valutazione dei magistrati (art.105). La chiara distinzione di attribuzioni porta con sé l’esigenza che il CSM non possa dipendere da entità o istituzioni esterne per quanto concerne gli strumenti che rendono possibile la valutazione dei magistrati, che rappresenta un momento essenziale anche per la progressione in carriera e quindi per il loro “status” concreto; fra detti strumenti va ricompresa la raccolta e l’utilizzazione delle informazioni necessarie a valutare il magistrato. Deve, dunque, essere escluso che il CSM possa dipendere dal Ministero per la raccolta e la gestione delle informazioni statistiche rilevanti”. Ma tale ragionamento porta ad un passaggio ulteriore: il Ministero non ha titolo per raccogliere in modo indiscriminato i dati individuali, che possono interessarlo solo a fini disciplinari e per i quali esistono strumenti diversi e mirati a disposizione del Ministro, attivabili solo con le forme e le garanzie proprie del controllo sui magistrati.