MOVIMENTO PER LA GIUSTIZIA
INTERVENTO DEL SEGRETARIO NINO CONDORELLI AL XXVIII CONGRESSO NAZIONALE DELL’ANM
L’ambizioso, ma irrinunciabile, obbiettivo del Congresso, sintetizzato nel suo
titolo che richiama un percorso da tempo iniziato dall’ANM verso la figura del
“magistrato” come antitesi del “burocrate” (e delle sue tipiche categorie
gerarchiche), in funzione della effettiva tutela dei diritti (resa possibile
solo dal recupero dell’efficienza della giustizia e dalla salvaguardia dei
sempre più minacciati principi costituzionali) si propone su due distinti
versanti, già tracciati dalla prospettiva congressuale con le relazioni che
hanno preceduto il dibattito.
Il primo profilo è evidentemente quello della riforma ordinamentale e normativa.
A questo riguardo le richieste articolate dall’ANM, in particolare con la
relazione di questa mattina sull’ordinamento giudiziario, sono state chiare ed
esplicite.
Al di là di quelli che potranno essere gli strumenti tecnici in concreto
utilizzati (abrogazione o sospensione dei termini di efficacia dei
provvedimenti, temporanea reviviscenza della normativa precedente etc.), si
afferma la ineludibile necessità di procedere ad un “azzeramento” della
incostituzionale e ingestibile riforma Castelli, e dell’immediata elaborazione –
seguendo il metodo del confronto con tutte le articolazioni della cultura
giuridica e degli operatori del diritto ed utilizzando peraltro gli ampi
contributi già esistenti – e della conseguente, sollecita approvazione, di una
Riforma dell’ordinamento giudiziario finalmente “in conformità con la
Costituzione” e quindi realmente in attuazione della VII disposizione
transitoria.
Il discorso ovviamente non finisce qua: non vi è solo la pessima legge
sull’ordinamento giudiziario a determinare una situazione normativa
assolutamente emergenziale e insostenibile per un moderno Paese civile ad alta
tradizione giuridico-democratica. L’ormai noto appello “Un impegno per la
giustizia” già sottoscritto da tanti accademici, avvocati, operatori del diritto
e da molti di noi (una copia al di fuori di questa sala è depositata per le
ulteriori adesioni) contiene al riguardo una elencazione di alcuni tra i
provvedimenti legislativi più obbrobriosi - come la Legge di “depenalizzazione”
del falso in bilancio, la Legge cd. “ex Cirielli”, la barbara riforma della
legittima difesa, la cd. Legge Pecorella sulla inappellabilità delle sentenze di
proscioglimento - di cui appare indifferibile l’abrogazione. Il documento
ricorda che “si tratta di leggi che – a prescindere da ogni altra considerazione
- hanno devastato il nostro sistema giustizia e compromesso il principio della
ragionevole durata dei processi”.
Come ho già avuto modo di dire in questa stessa sala poco più di un mese fa, è
necessario a questo proposito ricordare a coloro che si accingono ad assumere la
direzione politica del Paese, ai futuri legislatori e governanti (di qualunque
colore politico essi saranno) che incombe su di loro uno specifico obbligo di
intervenire, giacché l’omissione dei loro doverosi interventi li renderebbe
gravemente corresponsabili dei danni fin qui, in gran parte, soltanto annunciati
delle varie leggi-vergogna, appena entrate in vigore o in procinto di entrare in
vigore (si pensi soprattutto alle più recenti ex Cirielli, legittima difesa e
Pecorella bis), ma che si produrrebbero copiosi nei prossimi mesi e nei prossimi
anni . Anzi, se vogliamo ragionare secondo categorie mutuate dal diritto penale,
possiamo tranquillamente affermare che l’obbligo (delle nuove maggioranze) di
intervenire per impedire che i guasti programmati da Castelli & C. si producano,
o “siano portati ad ulteriori conseguenze”, deriva da una vera e propria
“posizione di garanzia” direttamente collegata alle responsabilità di Governo,
che non può essere rimossa né sottovalutata. Chi andrà al potere dopo il 9
aprile, anche in caso di mera inerzia, non potrà certo “chiamarsi fuori”
rispetto alle devastanti conseguenze delle leggi vergogna che ricadranno sulla
comunità e su ciascun cittadino, offendendo irreparabilmente le loro aspettative
di giustizia!
Il secondo versante è quello dell’auto-riforma di cui pure un importante
accenno, in materia di incarichi direttivi, è contenuto nella relazione di
Mario Fresa sulla giurisdizione civile, e che dovrà anche essere oggetto della
specifica relazione sul tema di Maurizio Millo, prevista per domani.
Diciamo subito che auto-riforma significa anche auto-organizzazione e in questa
direzione possiamo dire che le importanti esperienze già maturate dalla
collaborazione tra magistrati, avvocati, personale di cancelleria, professori
universitari, ufficiali giudiziari nei gruppi del civile rappresentano già delle
conquiste beneaugurati con la diffusione delle prassi virtuose.
Ma anche per ciò che concerne lo snodo dei dirigenti degli uffici dice bene
Fresa: vi è spazio per una immediata “auto-riforma” da parte degli organi del
Governo autonomo della magistratura, per “costruire una professionalità dei
quadri dirigenziali basata effettivamente sulle capacità organizzative…e per
accertare e valutare oggettivamente e fedelmente tali capacità ed attitudini ed
il loro contrario..” Per operare in questa direzione occorre affrontare però
la spinosa e fondamentale questione delle nomine in termini ben più netti e
decisi di quanto non sembri fare (ad una prima lettura) la relazione Millo
laddove, dopo una corretta ricostruzione storica dei passaggi essenziali che
hanno segnato l’evolversi del dibattito - dalla sottovalutazione
dell’organizzazione alla funzione dirigenziale “come premio alla carriera”,
dalla preponderanza del criterio dell’anzianità al prevalere delle “logiche di
appartenenza e di schieramento” - rimette all’auspicato recupero dello spirito
e dell’etica della Costituzione le possibilità di superamento di tali logiche.
In realtà io non credo, noi non crediamo, che sia possibile, di fronte a un
meccanismo così ben “oliato” e inesorabile di produzione clientelare delle
decisioni, affidare alle speranze di una sorta di miracolo etico del
volontarismo individuale, o anche di un singolo gruppo, l’indilazionabile
soluzione del problema. Il ritorno alla funzione del CSM come organo di
garanzia (in cui quindi ogni componente delibera liberamente “secondo scienza e
coscienza”, e partecipa ai singoli atti di amministrazione della giurisdizione
in assoluta ed esclusiva funzione dell’interesse generale sotteso all’atto) e
non di gestione politica e (purtroppo) clientelare delle nomine può essere
soltanto il frutto di una dura e convinta battaglia che ci conduca ad una vera e
propria rivoluzione culturale e politica, capace di fare definitivamente
tramontare la logica delle stabili (anche se “miste”) maggioranze precostituite
e delle simmetriche minoranze imposte (in una inquietante e significativa
asintonia con le posizioni invece assunte sulle grandi questioni di principio e
sui temi generali riguardanti le attuali difficoltà di rapporti tra magistratura
e politica).
A chi, come Antonio Patrono, ci contesta di rifugiarci nel classico comodo
riparo secondo cui “la colpa” viene ammessa e denunziata ma è soltanto riferita
agli “altri”, rispondo innanzitutto che la responsabilità di determinati atti di
(impropria) “maggioranza” non può che riguardare chi tali atti decide e/o
accetta di compiere; ma, soprattutto, che l’opposto slogan che lo stesso Patrono
ci propone invece come chiave interpretativa del fenomeno (“la colpa c’è, ma è
di tutti”) è tradizionalmente utilizzato per coprire, estendendole alla massa
indistinta dei “tutti”, le responsabilità dei “pochi” o dei “molti”, effettivi
protagonisti di tali degenerazioni, e finisce così quasi sempre con lo svolgere
una funzione conservativa dell’esistente. Questa formula ci ricorda infatti
altri analoghi, vieti luoghi comuni del tipo“tutti i politici sono ladri”, che
contiene in sé i germi di una doppia gravissima ingiustizia (accomunando i
politici probi e onesti, che pure esistono, a quelli che mestano e rubano a
mani basse, e consentendo a questi ultimi di continuare a prosperare
indisturbati sotto la tranquillizzante protezione delle anonime
generalizzazioni) e che mira ad espropriare, obnubilandoli, i
cittadini-elettori del loro diritto-dovere di decidere e di scegliere (tra gli
uni e gli altri).
E’ allora necessario, innanzitutto, che facendo progredire il discorso per la
prima volta, e alquanto timidamente, accennato nel documento programmatico che
ha accompagnato la nascita dell’attuale G.E.C., ma efficacemente ripreso oggi
nella relazione del Presidente Riviezzo si sviluppi e si dispieghi
effettivamente la funzione critica ed autocritica dell’ANM nei confronti di
quelle gravi cadute dell’autogoverno che sono sotto gli occhi di tutti; l’ANM
non deve tacere e così favorire, ma deve contrastare con una opportuna e non
generica azione di denunzia il processo di rimozione delle degenerazioni, e
quindi richiamare ciascuno alle proprie responsabilità.
Questa funzione critica deve fungere da stimolo anche, seppure non
esclusivamente, nella elaborazione di nuove disposizioni regolamentari che
aiutino ed accompagnino, incoraggiandolo, il processo di “liberazione” degli
organi di autogoverno dalle prassi e dagli accordi clientelari.
Data la ristrettezza dei tempi a mia disposizione, concludo facendo un solo
esempio che riprende una nostra concreta proposta già contenuta nel programma
del Movimento per la Giustizia per le lezioni del prossimo CSM :
abbiamo tutti presente l’importanza del principio costituzionale che richiama
l’attenzione del legislatore alla “ragionevole durata del processo”, e ben
sappiamo come, ormai sempre più, il “tempo” impiegato per adottare un
provvedimento non costituisce un mero dato quantitativo, soggetto a misurazione
cronometrica, ma rappresenta un vero e proprio dato qualitativo, un fattore
indicativo di grande importanza nella valutazione del provvedimento stesso. Si
può anzi dire senza aver paura di esagerare che la piena “tutela dei diritti”,
l’obbiettivo indicato dal nostro congresso , non è attuabile al di fuori del
parametro della ragionevolezza dei tempi del processo, che una tutela dei
diritti non tempestiva, una “tutela tardiva” non è più concepibile,
ontologicamente non esiste come tale, esaurendosi in una forma particolare di
“non tutela”.
Simmetricamente a quanto accade per i processi che si celebrano nelle nostre
aule, e ricordando i ripetuti e solenni moniti del Presidente della Repubblica,
possiamo ora, e forse ancora a maggior titolo, dire lo stesso delle
deliberazioni del CSM in materia di nomine dei dirigenti degli uffici. Ancor più
in questo caso il tempo decide della qualità delle decisioni (oltre che della
loro effettività rispetto alle esigenze di uffici in taluni casi rimasti privi
dei loro dirigenti per un biennio ed oltre, a discapito di ogni più elementare
criterio di efficienza), laddove lo stazionare limaccioso delle varie pratiche
negli uffici della Commissione competente costituisce lo strumento più
comunemente usato, spesso anzi la pre- condizione necessaria per il maturare di
intese e di scambi altrimenti improponibili.
Ecco allora che non sarebbe cero scandaloso pensare, a 16 anni dall’esordio
della normativa sulla trasparenza del procedimento amministrativo, in materia di
nomine ad una modifica del regolamento del CSM che preveda esplicitamente, allo
spirare di un ragionevole termine previsto per l’istruzione della singola
pratica, precisi e non aggirabili poteri-doveri sostitutivi nei confronti del
singolo relatore del Presidente della Commissione e/o del V. Presidente. Una
simile norma avrebbe anche l’importante effetto di dare concretezza e visibilità
alla fin qui solo declamata intenzione di imprimere una decisiva svolta, e di
dare una prima risposta alle innumerevoli e meritate critiche che hanno
sicuramente contribuito in rilevante misura ad indebolire la credibilità e
l’autorevolezza del nostro organo di autogoverno e del fondamento democratico
del pluralismo associativo.
Roma 24 febbraio 2006 nino condorelli