Madia D'Onghia
Allora, non è facile. Voglio condividere con voi qualche riflessione, ma prima vorrei vedere i ragazzi. Posso?
Voglio condividere con voi alcune riflessioni. Mi riallaccio un po’ a questa mattina. Stamattina mi sembrava che ci fosse una prospettiva che ci ha accompagnato, partendo dall’amico Lorenzo Gaeta: la storia.
Voglio leggervi un testo e poi condividere con voi alcune riflessioni anche di carattere giuridico. È un testo che forse qualcuno di voi conosce perché è anche una canzone di Simone Cristicchi.
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città, dove vivono vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro, affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con una cucina. Poi però, dopo pochi giorni, diventano 4, 6, 10. Tra di loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Fanno molti figli che faticano a mantenere. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina. Dicono che sono dediti al furto e, se ostacolati, violentano le nostre donne, che li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché è diffusa in giro la voce di alcuni stupri. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere, ma soprattutto non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o addirittura attività criminali.”
Questo testo risale all’ottobre del 1912 ed è tratto dalla relazione dell’ispettore – scusate l’emozione, ogni volta è così – dell’ispettorato del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti d’America. E quando io lo leggo, mi sembra di vedere il ghetto di Borgo Mezzanone, che io conosco molto bene.
Questo per dire che la storia ci insegna moltissimo e che i fenomeni migratori appartengono alla nostra storia, e non ci sarà mai modo di fermarli.
Noi, nel nostro ordinamento, abbiamo un quadro legislativo sull’immigrazione che regola le immigrazioni economiche per entrare nel nostro paese, pasticciato per essere benevoli, ostico perché è complice di irregolarità e di fenomeni di sfruttamento. Il Testo Unico del 1998 è stato più volte rimaneggiato con la legge Bossi-Fini e, negli ultimi anni, una serie di interventi con un approccio prevalentemente securitario, con l’idea di ordine pubblico, con un’attenzione soltanto alle politiche migratorie e mai all’inclusione e all’integrazione.
C’è un sistema che regola l’ingresso per motivi economici nel nostro paese a dir poco ipocrita. Tutto funziona attraverso due passaggi: c’è un provvedimento triennale di programmazione e poi, su questa programmazione triennale, si inseriscono i famosi decreti flussi che stabiliscono un numero di migranti che possono entrare nel nostro paese a lavorare con un contratto di lavoro subordinato, stagionale o autonomo.
A fronte di una domanda altissima in quei settori dove ormai gli italiani non vogliono più lavorare – e non è soltanto l’agricoltura, ma anche la logistica, l’edilizia, il lavoro di cura – questi lavoratori fingiamo che non siano presenti nel nostro paese. Per cui si avvia il famoso “click day”: il datore di lavoro fa la richiesta, ma in realtà questi lavoratori sono già presenti nel nostro paese in maniera irregolare. Una volta ottenuta l’autorizzazione dagli uffici, questi lavoratori devono andare nel loro paese per ottenere il visto. Molto spesso pagano, perché c’è tantissima corruzione nei loro paesi. Ritornano nel nostro paese e fingono di iniziare a lavorare per la prima volta. È questo il sistema, naturalmente in estrema sintesi.
Un sistema che, nel corso degli anni, si è mostrato assolutamente insoddisfacente. Primo, perché, come dicevo un attimo fa, è complice di tantissima irregolarità e di infiltrazioni criminali, perché questo sistema facilita tutto quel mondo dell’intermediazione illegale, i famosi caporali. E poi non soddisfa la richiesta del mondo delle imprese, tant’è che il legislatore poi periodicamente tira fuori le famose sanatorie. Ne abbiamo avute otto; l’ultima è quella del periodo del Covid. Sanatorie che, peraltro, sono fatte di burocrazia e si rivelano perlopiù dei flop, perché l’ultima sanatoria che era stata emanata per il lavoro in agricoltura, in realtà, le domande in agricoltura sono state pochissime, molto più alte quelle per il lavoro di cura. Quindi non sono neanche riusciti a soddisfare la domanda di lavoro.
Abbiamo un provvedimento ultimissimo di qualche settimana fa: è stato approvato un decreto legge. Naturalmente, anche qui, come accade per la sicurezza sul lavoro – è stato detto stamattina – ogni volta che c’è una tragedia, il legislatore ci mette mano. Il “Decreto Cutro”, con tutti quei morti, centinaia di morti, interviene a semplificare le procedure. E anche il provvedimento di qualche settimana fa segue questa logica, ma in realtà mantenendo fermo il sistema originario, quando invece bisognerebbe ripristinare il meccanismo della sponsorizzazione, che pure il nostro ordinamento ha conosciuto, che è un meccanismo di garanzia, ed evitare poi quelle scadenze brevi per cui i permessi hanno una durata e, alla scadenza dei permessi che sono legati a un contratto di lavoro, questi ragazzi sono costretti in pochissimo tempo a trovare un altro lavoro, altrimenti devono ritrovarsi in una situazione di illegalità.
Considerate, giusto per fare un altro esempio di come il legislatore sia complice di un sistema di sommerso e di irregolarità, che abbiamo nel nostro ordinamento due regole – ve le racconto molto brevemente. Una è quella che i migranti non possono riportare nel proprio paese i contributi che versano, e quindi non c’è neanche la volontà e l’interesse alla regolarità. Questa è una novità introdotta dalla Bossi-Fini. E poi c’è un’altra regola che, nel caso di contratto di lavoro stagionale, non possono chiedere l’indennità di disoccupazione agricola, che è nel nostro ordinamento una misura direi quasi assistenziale e che è importante. Quindi ci sono delle regole che disincentivano il lavoro regolare.
Qualche giorno fa – due giorni fa – è stato presentato il Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes, il 16 ottobre. Il rapporto ci racconta che in Italia sono presenti oltre 5 milioni e 300.000 cittadini stranieri, circa il 9% della popolazione residente in Italia, 400.000 unità in condizioni di irregolarità, quasi 4 milioni di stranieri provenienti da paesi extracomunitari.
Ho voluto portarvi questo rapporto perché c’è un dato molto interessante. Ascoltate: il rapporto sottolinea che la migrazione internazionale è un motore di sviluppo umano e di crescita economica. C’è stato un aumento di oltre il 6% delle rimesse internazionali: dal 2000 al 2022 sono passate da 128 milioni di dollari a 831 milioni di dollari. Di questi, 8,2 miliardi sono stati inviati dai migranti a basso e medio reddito nei propri paesi. Guardate quanta economia gira intorno alle migrazioni.
E in questo rapporto, il cardinale Zuppi, presidente della CEI, nella prefazione del rapporto dice:
“Spesso assistiamo al perdurare di un approccio orientato solo all’emergenza, che trascura promozione e integrazione. Dimentichiamo che l’immigrazione, se ben gestita, può essere una risorsa per la società. L’eccessiva politicizzazione del fenomeno migratorio, fondata sulla ricerca del consenso e sulle paure, impedisce la creazione di un sistema di accoglienza autentico e non opportunistico. Ed è invece di questo che abbiamo bisogno, per la sicurezza reciproca di chi parte e di chi accoglie”.
E quindi, se è vero che il nostro mercato del lavoro ha bisogno di manodopera, e quindi se noi cerchiamo braccia – e qui consentitemi anche di richiamare un’altra espressione abbastanza nota: “Cerchiamo braccia ma arrivano persone, arrivano uomini” – guardate, questa è una frase che è presente in un libro scritto nel 1865 da uno scrittore svizzero. Il libro si chiama Siamo italiani. Colloqui con lavoratori immigrati italiani, e utilizza questa espressione quando tentava di descrivere il rapporto ambivalente che legava, nella seconda metà del secolo scorso, la Svizzera al fenomeno migratorio e in particolare l’ostilità manifestata dagli svizzeri nei confronti degli italiani.
Mi sembra un’espressione di estrema attualità e forse sarebbe utile ricordare, quando ci occupiamo delle politiche migratorie, di quando noi eravamo migranti. È una storia molto recente. Anche noi eravamo un paese di emigrazione prima di diventare un paese di immigrazione. E così, probabilmente aiutandoci con la storia, riusciremo a comprendere che i sentimenti, il rispetto per la dignità della persona sono analoghi, e che niente e nessuno potrà fermare le migrazioni che sono parte intrinseca della storia umana.
Grazie.