
Il nostro 8 marzo

Videomessaggio di Ida TERESI
del direttivo del Movimento per la Giustizia - art.3 ETS
Donne e carcere:
la terra come strumento di rieducazione

La terra che dà il titolo al suo docufilm è anche una delle sue protagoniste. Lavorare la terra consente di coltivare piante e fiori, raccontano le detenute protagoniste. Ma non importa solo il prodotto finale, il contatto con la terra cura. Nella sua esperienza di insegnante dentro gli istituti penitenziari, quanto è cruciale il contatto con la terra nei processi di rieducazione?
La rieducazione, quella indicata dalla Costituzione, l'istruzione e la cultura passano se si crea una relazione empatica fra insegnanti e allievi in in clima di benessere, che va ricercato anche in un istituto di pena. Su questo non c'è dubbio. Il contatto con la natura, la terra del mio documentario, fa riferimento alle radici, alla semplicità e a una meta, il grido del marinaio: terra terra! La natura fa bene al corpo e alla mente e dunque fare scuola all'aperto, in un giardino, nell'orto didattico o in un'azienda agricola di un carcere, potenzia molti processi d'apprendimento, di crescita culturale e direi anche etica e spirituale.
Lei è scrittrice, regista e insegna anche italiano nella sezione femminile del Carcere di Rebibbia. La letteratura oltre essere educativa, è anche terapeutica?
L'arte lava l'anima dice Picasso, la letteratura e la poesia sono fortemente terapeutiche, soprattutto quando si è rinchiusi in un istituto di pena, con i propri pensieri e le proprie emozioni h.24.
In Terra Terra si dà voce a un gruppo di detenute della sezione femminile del Carcere di Rebibbia. La voce è ora individuale, ora collettiva, restituendo a chi guarda le identità personali e collettive delle protagoniste. La loro partecipazione è stata volontaria?
La scuola e tutte le offerte culturali si scelgono liberamente anche se si è recluse in un carcere. Tutte le partecipanti al documentario Terra Terra hanno fortemente voluto essere coinvolte, anche mettendoci la faccia. Io sono molto grata a tutte loro. Ci siamo regalate un'esperienza indimenticabile, e ringrazio anche l'associazione LIBERA, soprattutto Gabriella Stramaccioni che ai tempi si occupava delle politiche sociali, l'Arsial della Regione Lazio, il CPIA 1 di Roma, il centro provinciale per l'istruzione degli adulti, presso il quale insegno in carcere insieme a dei colleghi bravissimi, direi straordinari, e ringrazio la Direttrice in quegli anni della Casa Circondariale femminile di Roma Rebibbia, Ida Del Grosso e l'educatrice Sabrina Maschietto, senza le quali non sarei riuscita a realizzare questo film.
Terra Terra è stato girato quasi un decennio fa, ma sembra ancora in grado di restituire allo spettatore lo spazio e il tempo del carcere femminile in Italia. In questi anni, dal suo punto di vista, qualcosa è cambiato?
Purtroppo in circa 10 anni tutto è cambiato. Io andavo con la mia classe da sola in azienda, sorvegliata dalle telecamere e da un agente soltanto quando stavamo fuori. Ora c'è l'ossessione della sorveglianza che frena molte attività cruciali per la rieducazione, per la riuscita del percorso scolastico e di un nuovo progetto di vita. Sorvegliare, reprimere, punire, esaspera gli animi e peggiora la condizione in carcere per le recluse e per chi opera all'interno. Il progetto Terra Terra doveva essere apripista per altri istituti di pena italiani ma non si è potuto più realizzare e oggi sembra un'utopia, quasi un sogno.







